Conflitti

Elezioni in iraq: un importante passo verso l’uscita dal caos del paese

La posizione dell'Associazione delle ONG Italiane sulle prospettive del dopo-voto iracheno
6 febbraio 2005
Fonte: Periferie N. 1

< Molte ONG italiane presenti in Iraq con propri operatori e operatrici si sono pronunciate in proposito nei mesi passati a più riprese, ma vogliamo oggi porre all’attenzione del Governo, degli schieramenti politici italiani e delle Istituzioni europee alcuni punti precisi che costituiscono, secondo noi, decisioni e passaggi utili per un’evoluzione positiva della complessità irachena.
Innanzitutto è necessario definire ed annunciare, senza ulteriori ritardi, una data per la fine dell’occupazione militare da parte degli USA e della Coalizione, un segnale politico chiaro pianificato in accordo con le Nazioni Unite, la Lega Araba e la Conferenza dei paesi islamici. Le elezioni del 30 gennaio, sebbene viziate, parziali e senza le necessarie condizioni di libertà, rimangono comunque un passo da valorizzare. Gli iracheni hanno potuto finalmente esprimersi e manifestare la volontà di una soluzione politica, alternativa all’occupazione militare e a decisioni imposte dall’esterno, ma alternativa anche al terrorismo.
Occorrerà però riuscire a ricreare un clima di dialogo durante il processo costituente anche con le forze politiche che non hanno partecipato alla consultazione elettorale. In questa linea si collocano altri segnali forti che andrebbero dati, sperando che non sia troppo tardi. Anche se difficili, a causa delle scelte errate sin qui fatte con pesanti conseguenze negative, i segnali necessari sono, a nostro avviso, soprattutto tre: la libertà di ricostituire il partito Ba’ath, il recupero dell’esercito iracheno esistente prima dell’occupazione, la riassunzione delle decine di migliaia di persone espulse dai loro posti di lavoro per il solo fatto di essere stati iscritti ed avere avuto responsabilità nel Ba’ath di Saddam Husseyn.
La possibilità di ricostituire il partito Ba’ath sarebbe un chiaro segnale di apertura per ristabilire un clima di dialogo. Dopo la sua messa al bando in seguito alla cattura di Saddam Husseyn e dei responsabili dei crimini, è divenuto un riferimento clandestino importante per la crescente resistenza armata, laddove avrebbe potuto invece essere accompagnato (analogamente ai partiti comunisti dell’Europa orientale) in un processo di transizione al gioco democratico. Ciò può essere forse fatto adesso, togliendo dalla clandestinità e coinvolgendo nel processo politico una parte fondamentale, anche se ormai minoritaria, della società, da cui non si può prescindere. Altro segnale importante per ridare stabilità, sicurezza e unità al paese sarebbe il recupero dell’esercito iracheno, integrato con le nuove leve recentemente formate. Averlo sciolto subito dopo l’occupazione, è stato un grave errore che pesa e peserà sul futuro.
Anche questa decisione, se ben gestita, è importante e urgente per recuperare decine di migliaia di persone che oggi alimentano la resistenza e possono facilmente optare per il terrorismo. Allo stesso modo e per gli stessi motivi, è indispensabile riassumere al loro lavoro le tante persone espulse dall’impiego pubblico (uffici ministeriali e servizi pubblici, sanità, educazione, università...) per il solo fatto di essere stati attivi nel partito Ba’ath, restituendo loro la propria dignità umana e professionale.
Guardando invece al quadro internazionale, non dobbiamo dimenticare il peso della mancanza di scelte politiche europee. Le conseguenze del caos iracheno e dell’aggravarsi del terrorismo ricadono infatti inevitabilmente anche sull’Europa, qualunque sia stata la posizione degli Stati membri rispetto a questa guerra. E’ perciò ora necessaria una chiara co-assunzione di responsabilità europea, non in ruolo subalterno, ma da alleata, anche per aiutare l’Amministrazione americana ad uscire dalla propria visione unilaterale del mondo e a riaffermare il diritto internazionale e la validità delle Istituzioni internazionali.
Rispetto al limitato ruolo delle Nazioni Unite, occorre evidenziare con forza che l’ONU è debole perché così vogliono i paesi che ne fanno parte. Potrebbe essere più forte, anche senza aspettare la necessaria riforma che tutti auspichiamo, se vi fossero volontà politica e impegno diretto della maggioranza dei paesi con la relativa dotazione delle risorse finanziarie, umane e di sicurezza necessarie. In Iraq l’ONU è stata umiliata due volte: dalle Forze occupanti, che l’hanno ignorata calpestando il diritto internazionale, e dal terrorismo che l’ha colpita direttamente. In questa fase non è purtroppo realistica alcuna ipotesi di presenza istituzionale operativa delle Nazioni Unite in Iraq, che sarà invece fondamentale successivamente per sostenere la fase della ricostruzione fisica, economica, ma anche istituzionale, sociale e civile del Paese in un ritrovato quadro di sicurezza.

Lo spazio umanitario da salvaguardare
Dal caso iracheno, come da quello afgano, occorre trarre alcune lezioni per il futuro. Una preoccupazione, in particolare, sta a cuore alle organizzazioni umanitarie: quella della salvaguardia dello spazio umanitario. I principi che guidano le organizzazioni umanitarie si basano sulla totale autonomia e indipendenza nelle scelte e nell’azione, al fine di garantire l’indispensabile neutralità e imparzialità dell’aiuto. Con severità esse sono state fedeli alla scelta di non collaborare con le forze di occupazione in Iraq, cercando così di salvaguardare l’integrità dello spazio umanitario contro ogni possibilità di confusione e di inquinamento. Purtroppo questo spazio è sempre più invaso da altri principi, come le strumentalizzazioni e le modalità di intervento di missioni militari definite umanitarie, dove i soldati portano aiuti nei villaggi su mezzi blindati o comunque dotati di quelle stesse armi che uccidono, dove gli aiuti sono decisi sulla base delle convenienze politiche, se non dai Servizi segreti. Tutto ciò produce un vero e proprio inquinamento dei principi e dell’azione umanitaria, creando grande confusione tra la gente che non riesce più a distinguere gli operatori umanitari dai militari e mettendo quindi a rischio l’azione umanitaria e la presenza di volontari, operatori umanitari e operatori sociali, la cui unica arma è, e deve rimanere, il rapporto di fiducia e di solidarietà costruito con la gente.
Imperativo umanitario, autonomia, indipendenza, neutralità e imparzialità sono principi inconcepibili in una forza armata, per definizione sottoposta a decisioni politiche di parte. Chiediamo con forza che sia abolito il termine umanitario da qualsiasi presenza o attività delle forze armate in Iraq come ovunque nel mondo. Chiediamo con forza che ognuno faccia il proprio mestiere ed adempia alla propria missione, senza ambiguità di sorta, senza sconfinamenti in terreni non propri e quindi senza confusioni. Occorre che siano individuate regole di comportamento, da far valere a livello internazionale, ad iniziare dall’UE, a salvaguardia dell’azione umanitaria e dei suoi principi e in applicazione del diritto internazionale umanitario».

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