Conflitti

Iraq: la lotta degli operai petroliferi "lasciate il nostro paese adesso"

Dal primo giorno dell’invasione britannico-statunitense dell’Iraq, gli operai petroliferi hanno resistito all’occupazione straniera
20 febbraio 2005
Hassan Juma’a Awad
Fonte: The Guardian

Oil Basra

Abbiamo vissuto giorni bui sotto la dittatura di Saddam Hussein. Quando il regime è caduto, la gente voleva una nuova vita: una vita senza manette e terrore, una nuova vita dove noi avremmo potuto ricostruire il nostro paese e godere delle nostre ricchezze. Invece le nostre comunità sono state attaccate con agenti chimici e bombe a grappolo e la nostra gente torturata, rapita e uccisa nelle proprie case.

La polizia segreta di Saddam sollevava i pavimenti delle nostre case di notte, le truppe di occupazione irrompono nelle nostre case alla luce del sole. I mass media non fanno vedere nessuna immagine delle devastazioni che hanno ingolfato l’Iraq. I giornalisti che hanno il compito di dire la verità su quello che sta succedendo in Iraq vengono rapiti dai terroristi. Tutto questo al servizio delle forze di occupazione che desiderano eliminare tutti i testimoni dei loro crimini.

I lavoratori dei pozzi petroliferi situati nel sud dell’Iraq si sono organizzati subito dopo che le forze inglesi hanno occupato Bassora. Abbiamo fondato il nostro sindacato Southern Oil Company Union 11 giorni dopo la caduta di Baghdad nell’aprile 2003. Quando le truppe di occupazione si sono ritirate e hanno permesso che l’ospedale, l’università e gli edifici pubblici venissero incendiati e saccheggiati, e loro si sono tenuti il ministero e i campi petroliferi, noi ci siamo resi conto che avevamo a che fare con una forza brutale preparata ad imporre le sue volontà senza nessun riguardo per le sofferenze umane. Dall’inizio non ci hanno lasciato alcun dubbio sul fatto che gli Stati Uniti e gli alleati sono venuti per prendere il controllo delle nostre risorse.

Le autorità di occupazione hanno mantenuto le leggi repressive di Saddam inclusa quella del 1987 che ci priva dei diritti basilari dei sindacati, incluso il diritto di sciopero. Oggi non abbiamo nessun riconoscimento ufficiale come sindacato, sebbene abbiamo più di 23.000 membri in 10 diversi impianti di estrazione del petrolio e del gas a Bassora, Amara, Nassiriya e fino la provincia di Anbar. Comunque noi abbiamo la nostra legittimazione dai lavoratori, non dal governo. Noi crediamo che i sindacati devono operare secondo i desideri del governo fino a che la gente sia in grado finalmente di eleggere un governo iracheno indipendente che rappresenti i nostri interessi e non quelli dell’imperialismo americano.

Il nostro sindacato è indipendente da ogni partito politico iracheno. Molti sindacati britannici sembrano di essere informati di un sindacato in Iraq, la Federazione Unitaria dei Sindacati Iracheni (IFTU) autorizzata dal regime, il cui presidente Rassim Awadi è deputato del partito del primo ministro iracheno imposto dagli USA Ayad Allawi. La leadership dell’IFTU è divisa tra il partito comunista iracheno, l’intesa nazionale irachena di Allawi ed i suoi satelliti. Infatti ci sono altre due organizzazioni sindacali legate a partiti politici oltre la nostra organizzazione.

Il nostro sindacato ha già dimostrato che può stare contro una delle più potenti compagnie statunitensi, la KBR di Dick Cheney, che ha tentato di togliere posti ai nostri lavoratori con la protezione delle forze di occupazione.

Noi li abbiamo costretti e forzato il loro subappaltatore kuwaitiano, Al Khourafi, a rimpiazzare 1.000 dei 1.200 impiegati che aveva portato con sé con lavoratori iracheni, 70% dei quali oggi sono disoccupati. Noi abbiamo lottato anche contro i salari imposti dal governatore Paul Bremer, che ha imposto che i lavoratori pubblici iracheni devono guadagnare 69.000 ID ($35) al mese, mentre pagano più di 1.000 dollari al giorno a migliaia di mercenari iracheni. Nell’agosto 2003 abbiamo scioperato e fermato l’estrazione del petrolio per tre giorni. Come risultato le autorità di occupazione hanno aumentato i salari ad un minimo di 150.000 ID.

Difendere le risorse del nostro paese l’abbiamo visto come un nostro dovere. Noi rifiutiamo e ci opponeremo a tutti i tentativi di privatizzare la nostra industria estrattiva e le nostre risorse nazionali. Noi consideriamo questa privatizzazione come una forma di neo-colonialismo, un tentativo per imporre un’occupazione economica permanente a seguito dell’occupazione militare.

L’occupazione ha fomentato deliberatamente una divisione settaria tra sunniti e sciiti. Noi non abbiamo mai conosciuto questo tipo di divisione prima di ora. I nostri matrimoni sono misti e abbiamo vissuto e lavorato insieme. E oggi abbiamo lottato assieme contro questa brutale invasione. Da Falluja a Najaf fino a Sadr City. La resistenza contro le forze di occupazione è un diritto divino degli iracheni e noi come sindacato ci vediamo come parte necessaria di questa resistenza – sebbene noi vogliamo lottare usando il nostro potere industriale, la nostra forza collettiva come unione e come parte della società civile che ha bisogno di crescere per difendersi sia dalle elitè saddamiste ancora al potere che dall’occupazione straniera del nostro paese.

Bush e Blair devono ricordarsi che chi hanno votato nelle scorse elezioni irachene sono ostili all’occupazione e chi la boicotta. Coloro che affermano di rappresentare la classe lavoratrice irachena mentre chiedono alle forze di occupazione di rimanere un po’ più a lungo per lottare contro la guerra civile, parlano in realtà solo per se stessi e la minoranza degli iracheni i cui interessi sono dipendenti dall’occupazione.

Noi come sindacato chiediamo unitariamente il ritiro delle forze di occupazione straniere e delle loro basi militari. Noi non vogliamo un orario preciso, questa è una tattica evasiva. Noi vogliamo risolvere i nostri problemi. Noi siamo iracheni, conosciamo il nostro paese e possiamo prenderci cura di noi stessi. Noi abbiamo i mezzi, le capacità e le risorse per ricostruire e creare una nostra società democratica.

Note: Hassam Juma’a Awad è il segretario generale dell’Iraq’s Southern Oil Company Union e presidente della Basra Oil Workers’ Union.

Tradotto da Chiara Panzera per l'associazione www.peacelink.it
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