L’Inghilterra e l’Europa stanno finanziando l’occupazione e l’espansione Israeliana
Ben lontana dal sostenere un serio processo di pace, la conferenza sul Medio Oriente di Tony Blair - tenutasi a Londra nella giornata di Martedì - potrebbe persino far peggiorare le cose. La folla dei "donatori internazionali”, che è stata invitata a Londra ad incoraggiare l'autorità Palestinese affinché proceda a riformarsi, ha una semplice espressione per riassumere l’assoluto disastro del fallito progetto per dar vita ad uno stato in Palestina, durante gli anni del processo di pace di Oslo dal 1993 al 2003: "i fatti concreti". Questo è un eufemismo per riferirsi alle politiche Israeliane di occupazione che hanno ucciso il processo di Oslo e che sono quasi arrivate a distruggere qualunque possibilità di arrivare alla creazione di due stati – e questo attraverso la espansione territoriale nella Palestina occupata con l’espansione delle colonie, la costruzione di strade e infrastrutture e, più recentemente, con la costruzione del muro di separazione all'interno della West Bank.
Per la maggior parte i donatori (che sono principalmente gli stati Europei) adesso accettano il fatto che invece di aver aiutato la gente Palestinese a raggiunger la propria indipendenza, hanno finito per fare l’esatto contrario di ciò. I fatti generati da Israele - e il rifiuto della comunità internazionale ad affrontarli sul piano politico - hanno trasformato il loro impegno in un finanziamento per l'occupazione. La Banca Mondiale, l'Unione Europea, le Nazioni Unite, le agenzie internazionali e i paesi donatori sono tutti giunti alla stessa conclusione. I loro diplomatici vagano da un meeting internazionale all’altro, scoraggiati e mortificati, con la profonda consapevolezza della propria complicità, ma senza avere la pur che minima idea di come uscirne - o, come nel caso Britannico, allineandosi interamente con gli Stati Uniti e la posizione Israeliana.
La riluttanza ad affrontare i fatti adesso si manifesta in un evento pubblico che cela la responsabilità degli stati donatori nella creazione e nella perpetuazione di questo disastro politico. Lo scopo è di mascherare la diretta assistenza politica data ad Israele offrendo assistenza economica ai Palestinesi.
Il meeting Londinese di Blair è stato convocato sulla base delle seguenti premesse: la mancanza di una riforma democratica ed istituzionale Palestinese sta tenendo indietro il progresso e l’onere a sviluppare queste istituzioni spetta alla leadership Palestinese. La conoscenza e la competenza del mondo occidentale possono aiutare i Palestinesi ad acquisire quelle capacità e quella cultura politica che non possiedono. Una combinazione di lezioni, segni di riferimento, condizioni, controllo e il sussidio economico sono i giusti meccanismi di assistenza da offrire ai Palestinesi, che sono in gran parte o interamente responsabili della violenza, lo squallore, la disoccupazione e il disordine che regna oggi nella Palestina occupata.
Alcuni potrebbero concludere che è ben meglio non fare niente piuttosto che attivamente aiutare gli Israeliani nelle loro attuali politiche contro i Palestinesi. Ma se gli errori disastrosi del processo di Oslo non devono ripetersi, una dimostrazione di buon governo da parte della stessa comunità internazionale sarebbe più che la benvenuta.
L'imparzialità e la trasparenza nel rapportarsi al conflitto sarebbero già un buon inizio. Non c’è stato un partner di pace in Medio Oriente per anni e il partner assente è Israele, non i Palestinesi. Il rifiuto assoluto da parte di Ariel Sharon ad un processo politico internazionale sta al cuore del problema. La domanda reale per la conferenza di Blair è: dov’è Israele? Perché gli è consentito ostruire il processo di pace, continuando ad occupare terra Palestinese ed esentando sé stessa da qualunque obbligo internazionale, mentre i Palestinesi diventano il capro espiatorio? L'insistenza data al fatto che l’attentato suicida di Venerdì scorso a Tel Aviv ha interrotto il cessate il fuoco, quando 25 Palestinesi erano stati uccisi da Israele dal momento in cui era cominciato, significa che non esiste un segno di riferimento trasparente per valutare chi sta davvero uccidendo le probabilità di pace.
Il buon governo significa applicare quei principi che siete ben felici di applicare ad altri conflitti. La citazione delle risoluzioni di sicurezza delle Nazioni Unite sulla inammissibilità dell'acquisizione di territorio con il ricorso alla forza, e questo dappertutto tranne che nella Palestina occupata. non è buon governo. Incoraggiare gli esiliati e i rifugiati Iracheni a partecipare alle elezioni mentre si continua a trattare i rifugiati Palestinesi come fossero dei pariah non è applicare quei principi democratici che la comunità internazionale sembra voler insegnare ai Palestinesi. Noi Palestinesi non abbiamo bisogno di lezioni sulla democrazia - durante gli ultimi 10 anni i Palestinesi hanno resistito ai tentativi concordati di trasformare le nostre istituzioni in agenzie che rappresentino i bisogni della occupazione Israeliana.
Il nostro movimento di riforma è genuino e riflette preoccupazioni reali: per la rappresentatività, la libertà politica, istituzioni giuste, protezione dalla violenza del corrente progetto Israeliano. Se la comunità internazionale desidera esercitarsi nel buon governo, i suoi rappresentanti devono solo ascoltare le richieste che vengono cortesemente espresse dalle delegazioni Palestinesi: per l'applicazione del diritto internazionale, la rintroduzione del multilateralismo, il bisogno urgente di una conferenza internazionale che richiami le questioni di status finale sui confini, gli insediamenti, i rifugiati, l'acqua e su Gerusalemme. Questa è la riforma che è necessaria in maniera tanto urgente - e la speranza è che la comunità dei donatori sia davvero capace di darsi da fare in tal senso.
Karma Nabulsi - karmanabulsi@hotmail.com - è un ricercatore al Nuffield College, Oxford, e un ex rappresentante dell’OLP
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