Crescita e/o coerenza?
Penso al socialismo morto di nome e di fatto. Penso alla Chiesa, salda nella struttura, ma svilita nei contenuti.
L'affare Unipol presenta due aspetti che vanno tenuti distinti. Il primo di carattere penale, a carico di Consorte, che secondo l'accusa cercava di arricchirsi attraverso torbide operazioni di Borsa e ruberie, in combutta con Fiorani, Ricucci e altri degni compari. Il secondo di carattere politico, a carico di D'Alema, Fassino e molti altri dirigenti della sinistra, convinti che le cooperative devono appendere al chiodo la giacca della solidarietà per indossare quella del business più spinto. La disonestà di Consorte non mi scandalizza perché nelle migliori famiglie possono capitare dirigenti farabutti che prima o poi sono scoperti. Invece mi preoccupa la disinvoltura con la quale i Ds e il mondo delle cooperative hanno abbracciato il mercato. Una svolta che avrà ripercussioni sociali e ambientali, locali e mondiali, per decenni a venire. La trasformazione dei Ds è un fenomeno complesso riconducibile alla caduta del socialismo reale, all'imborghesimento della classe dirigente, ai calcoli elettorali. Ma la metamorfosi può coinvolgere anche noi dell'economia solidale, addirittura per troppo attaccamento alle nostre iniziative. La voglia di crescere è la ragione più frequente che ci spinge ad abbandonare l'inflessibilità dei nostri principi.
Ogni realtà conosce i propri compromessi. Le associazioni di solidarietà accettano i soldi delle imprese pensando ai bisogni dei loro assistiti. Le riviste alternative accettano la pubblicità per fare quadrate i bilanci. Le botteghe del mondo si inseriscono nella corrente del consumismo natalizio per vendere. Le cooperative di importazione si alleano con i supermercati, non sempre virtuosi, per ampliare gli sbocchi di mercato. La finanza etica istituisce fondi di investimento, comprendenti anche titoli di multinazionali, per attrarre qualche risparmiatore in più. Per la voglia di crescere Unipol ha messo gli occhi su bnl, banca di pessima reputazione, e si è infilata in un letamaio fatto di intrighi, opacità, connivenze. Forse per la stessa ragione, il commercio equo inglese ha commesso un atto stupido e suicida, annoverando Nestlé fra le imprese che praticano fair trade.
Non sono contro la crescita delle nostre iniziative. Al contrario voglio che conquistino il mondo. Ma non mi interessano come tali. Mi interessano solo come strumenti di cambiamento. Non mi interessa che il palazzo di Banca Etica diventi più alto o che il fatturato del commercio equo si moltiplichi.
Mi interessa che si affermi un altro modo di fare economia ispirato a diritti, equità, solidarietà, sostenibilità. Per questo la nostra stella polare non può essere la crescita, ma la coerenza. In questa prospettiva qualsiasi strategia può essere presa in considerazione, ma deve essere valutata non in base ai numeri, ma ai risvolti educativi, sociali, politici.
Perseguendo la coerenza può anche arrivare la crescita, ma guai se per la crescita svendessimo i nostri valori. In tal caso saremmo solo dei grandi sconfitti.
(Francesco Gesualdi su Altreconomia di Febbraio 2006)
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