Dpef e sviluppo sostenibile
Quando il Dpef (Documento di Programmazione Economica e Finanziaria) del nuovo governo vedrà la luce il prossimo 7 luglio, sarà interessante analizzare non solo il complesso delle misure e dei provvedimenti specifici, ma anche la cornice politico culturale della visione della prossima politica economica. Secondo una rapida verifica dei ricercatori di Sbilanciamoci! (www.sbilanciamoci.org) il Dpef dell'anno scorso (quello del centro-destra) conteneva 113 volte la parola «Pil» e 0 la parola «Welfare», «47» la parola «Consumi» e «0» la parola «Povertà», 26 la parola «Sostenibilità» (finanziaria) e 0 la parola «Sostenibilità» (ambientale), 14 la parola «Competitività» e 0 la parola «Solidarietà», 9 «Liberalizzazioni», 0 «Pari opportunità», ecc. ecc.
Da sempre il Dpef misura solamente gli indicatori macroeconomici, ma mai quelli sociali ed ambientali (a differenza dei documenti di programmazione di Francia, Spagna e dell'Unione Europea), questo a testimonianza della visione angusta ed economicista di un modello di sviluppo tutto fagocitato dall'ideologia del Pil, della competitività, del mercato e dall'incubo della spesa pubblica. Sarà quindi importante per l'Unione innovare anche su questo terreno e fare del Dpef uno strumento di lettura e di indirizzo di un modello di sviluppo in cui gli indicatori macroeconomici si incontrano con quelli sociali ed ambientali: ci si aspetta, quindi, un riequilibrio del vocabolario (e quindi anche del segno e dell'indirizzo della politica economica) utilizzato dai loro estensori. Per un modello di sviluppo sostenibile, fondato sull'equità e la coesione sociale.
Ma vi sono poi evidenti quesiti di merito, oltre che di vocabolario e di prospettiva. Sono quelle che la campagna Sbilanciamoci! ha posto in questi giorni in ripetuti incontri ai responsabili del Ministero dell'Economia (grazie al percorso avviato dal Sottosegretario On. Cento), arrivando addirittura ad un documentino (solo su alcuni punti) siglato con i funzionari del Ministero.
Primo: non bisogna farsi strozzare da un rientro del deficit troppo rapido, perché ciò rischia di avere pesanti ripercussioni sociali (tagli alla spesa sociale, ecc.). L'immediato obiettivo, essenziale, è la stabilizzazione del rapporto deficit/pil (e già sarebbe un segnale enorme all'economia internazionale) e solo grazie ad una ripresa dell'economia reale si potrà procedere ad una riduzione più sostenuta; si tratta di prevedere almeno un anno in più di tempo rispetto alle scadenze prefissate. Secondo: per fare questo è necessario combinare il taglio agli sprechi e a quella spesa pubblica non virtuosa (come la spesa militare o i sussidi «perversi» alle imprese) e una politica fiscale più incisiva sia nella lotta all'evasione sia sul fronte della giustizia ed equità.
Secondo i calcoli di Sbilanciamoci! con una serie di misure ad hoc (innalzamento della tassazione sulle rendite, ripristino tasse di successione, minimum tax per le imprese troppo a lungo incapienti, carbon tax, varie tasse di scopo, ecc.) si potrebbero trovare oltre 10 miliardi di risorse fresche.
In questo contesto, la manovra, di questi giorni, dei 7 miliardi (buona, perché non taglia per l'ennesima volta le spese sociali e colpisce finalmente i privilegi di alcune corporazioni) rinvia però il discorso alla finanziaria, la vera prova del fuoco per l'indirizzo della politica economica del nuovo governo. Lì avremo modo di vedere se la strada sarà quella vecchia di un neoliberismo temperato e «dal volto umano» -sotto la tutela dell'idolatria del PIL e del mercato- o invece quella di un nuovo riformismo sociale che innova anche sul terreno del modello di sviluppo, con forme di creatività (non finanziaria) politico-culturale che costruisce forme di economia diversa sul terreno della sostenibilità e dell'equità e giustizia sociale.
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