L'acqua deve essere pubblica. Da qui comincia una politica dei beni comuni
Comincia una politica dei “beni comuni” e comincia una politica ambientale. Vedremo bene le carte, ma è chiaro che ieri il Consiglio dei Ministri ha assunto un atto di grande valore politico: l’acqua deve essere pubblica nella proprietà e nella gestione. Era un punto cardine del programma dell’Unione, ora è un punto acquisito nell’azione di governo. L’acqua pubblica è il fondamento di un’altra idea di economia. E’ il risultato di una concretissima, ma anche emblematica, evocativa e simbolica rivendicazione del movimento contro la globalizzazione neoliberista. Per l’acqua si fanno già le guerre e gli analisti prevedono scenari bellici prossimi venturi tutti attorno al dominio di questo fondamentale elemento per la vita. Togliere l’acqua dalle sgrinfie del mercato e degli interessi privati e definirla come “pubblica” è il segno che si può cominciare a costruire l’economia dei beni comuni, ma è anche una dichiarazione di pace e di cooperazione. Un punto importante per Rifondazione così come per tante parti del movimento (pensiamo al contratto mondiale per l’acqua, ma non solo). Per questo è indispensabile valorizzare il risultato e lavorare per consolidarlo perché abbiamo imboccato una buona strada e su questa strada bisogna camminare evitando buche e trabocchetti. La conquista di un principio è fondamentale, ma il praticarlo è azione quotidiana di vertenze, di conflitti, di protagonismo dei territori, di norme dettagliate, di successivi provvedimenti legislativi, di delibere comunali ecc, ecc. Si apre uno spazio di gestione democratica e di iniziativa politica. Ad esempio, l’aver definito il principio consente di chiedere che l’Italia ponga all’Unione Europea l’urgenza di scrivere la direttiva sui servizi, di definire quale idea di “pubblico” si vuole dare l’Europa, quale concreto spazio liberato dal mercato e dunque di bene comune è possibile costruire. Bisogna scrivere subito questo obbiettivo nell’agenda dei rapporti Governo-Ue perché anche così si contrasta la direttiva Bolkestein. C’è poi da definire in fretta una solida base giuridica al principio dell’acqua pubblica per metterla senza rischio di infrazione nell’elenco dei servizi che in Italia non rispondono alla Bolkestein. Ce n’è da fare ma già si è ottenuto che con un apposito decreto legislativo si provvederà a posticipare di 12 mesi la scadenza relativa agli affidamenti del servizio idrico integrato prevista dalla legge 326/03 dando così concreta attuazione ad una esplicita richiesta che proviene dagli Ato che vogliono tenere il servizio idrico in house.
E il Consiglio dei Ministri di venerdì scorso ha anche approvato in via preliminare il decreto legislativo per apportare sostanziali correzioni al “codice ambientale” voluto dal precedente Ministro dell’Ambiente Altero Matteoli.
Non c’è stata, come auspicavamo, la sospensione in toto della legge 152/06.
Ma alcuni significativi passi avanti e nella giusta direzione sono stati compiuti e inoltre si è espressa la volontà politica di procedere celermente sulla materia ambientale.
Le date uscite dalla riunione dell’esecutivo guidato da Romano Prodi sono lì a dimostrarlo.
Entro il 30 novembre 2006 si interverrà, tramite uno specifico decreto legislativo, per correggere, abrogare o modificare i punti più controversi della Delega ambientale, in relazione ai rifiuti, all’acqua e alle bonifiche.
L’operazione orchestrata dal governo delle destre sulla materia dei rifiuti è di quelle che fanno mettere le mani tra i capelli.
Con la scusa della semplificazione burocratica si è finito per riclassificare (sarebbe meglio dire de-classificare) i rifiuti pericolosi in materie prime seconde, lo stesso possiamo dire del regime delle acque, con l’abrogazione delle autorità di bacino.
Ieri al contrario il governo, si è impegnato a ripristinare le autorità di bacino soppresse dalla Legge Matteoli il 30 aprile scorso, con una proroga fino al 31 dicembre 2006,.
Infine si è previsto che entro il termine perentorio del 31 dicembre 2007 si procederà alla rivisitazione complessiva della legge delega.
Da questo “piano di lavoro” sull’intera questione ambientale emerge non solo la sostanziale differenza di indirizzo politico rispetto al governo delle destre. Emerge soprattutto una differente modalità di impostazione del lavoro e della produzione di atti normativi.
Come si ricorderà la scelta del governo Berlusconi era stata quella di scrivere il codice ambientale ignorando completamente le associazioni ambientaliste, le organizzazioni sindacali e perfino Comuni, Province e Regioni.
Da oggi c’è non solo la volontà di ascoltare le esigenze, le competenze e l’esperienza del vasto arcipelago delle associazioni ambientaliste e del mondo produttivo, ma di operare di concerto con gli Enti Locali e le Regioni.
Strillerà Confindustria, come sta già facendo da giorni, ma una direzione di marcia si è intrapresa e soprattutto si è sancito il nesso fra le grandi rivendicazioni del movimento e l’azione del governo. Vuoi vedere che…la lotta paga davvero.
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