«Acqua, urgente una legge nazionale per sottrarla ai processi di privatizzazione»

Rosario Lembo lancia l’allarme: «Gli amministratori locali vedono solo gli interessi immediati». Rivolta a Latina contro rincari del 300%
2 settembre 2006
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Rosario Lembo è il segretario generale del Comitato italiano per il Contratto mondiale dell’acqua. Quello dei beni comuni è il tema centrale di questo IV forum di Sbilanciamoci. Lembo ha messo in evidenza come dopo il piccolo ma importante risultato strappato con la direttiva Bolkstein proprio sull’acqua, che è stata esclusa dai servizi di cui è prevista la liberalizzazione dopo un lungo braccio di ferro al termine del quale è stato votato il compromesso raggiunto all’interno del Parlamento europeo, ora la battaglia per l’affermazione del principio dei beni comuni intagibili si sposta a livello di comuni, provincie e regioni.

Quali rischi ci sono a livello locale?

Gli amministratori locali vedono solo gli interessi immediati e in più, a quelli più sensibili, manca una legge nazionale di riferimento che consenta di mettere l’acqua fuori delle regole dell’economia di mercato. Si tratta di un intervento urgente perché nel frattempo gli interessi privati sono all’opera e cercano di imporre il project financing, “chiavi in mano”, agli amministratori locali. In questo modo ciò che abbiamo espulso dalla porta rientra dalla finestra. Quindi, anche laddove è stato proclamato il principio dell’acqua come bene pubblico poi bisogna fare attenzione agli strumenti di gestione.

Cosa dovrebbero fare gli amministratori locali?

Un nuovo patto con i cittadini che parta dai programmi elettorali e che preveda obiettivi come i cinquanta litri al giorno per tutti da perseguire con tasse sulla concessione delle acque minerali, il taglio dei consigli di amministrazione, e la relativa cancellazione delle spa.

A che punto è la mobilitazione?

In alcuni casi i cittadini, come a Latina, si ribellano agli aumenti delle bollette, che in quel caso hanno raggiunto anche punte del 300 per cento, non pagandole; in altri casi, come a Ragusa, Siracusa, Messina e Agrigento, c’è la rivendicazione diretta dell’acqua come bene comune. Certo, non siamo all’anno zero. Molti enti si stanno associando in una rete nazionale di enti pubblici. Il punto è il buco legislativo. Non bastano i passaggi del decreto Bersani e di quello della Lanzillotta sui servizi idrici. Si nota che la terminologia sui beni comuni sta cambiando, ma ciò che non ha maturato è la gestione di governo con criteri diversi da quelli di mercato.

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