L'alfabeto dell'altraeconomia
C'è il Fattore C dei produttori (cooperazione, comunità, collettività, collaborazione), ci sono le quattro R dei consumatori (ridurre, riciclare, riutilizzare, riparare) e le quattro A dei modelli di economia alternativa (altrimenti, altrove, alterità, alternanza). È L'alfabeto per un linguaggio nuovo, necessario a un mondo di idee e di pratiche che restano illegibili con le categorie economiche tradizionali e che si trovano in un dizionario titolato Dictionnaire de l'autre économie, curato da Jean-Louis Laville e Antonio David Cattani (Desclée de Brouwer, pp. 564, 32 euro). Cinquantasei voci, da altermondialisationa utopie, con autori che vanno da Patrick Viveret a Euclides André Mance, da Alain Caillé a José Louis Coraggio.
Il lavoro, impegnativo, costituisce un primo passo, spesso interrotto a metà percorso. I punti di forza del volume sono nel titolo e negli autori. Intitolarlo all' altra economiaè una scelta importante per unificare le moltissime esperienze e prospettive diverse, per trovare una definizione condivisa dall'America latina all'Europa. Quella che vi viene confermata è una categoria in Italia ormai consolidata, mentre in Francia prevaleva quella di economia sociale (con un ruolo fondamentale alle cooperative) e nel mondo anglosassone si continua a insistere sulle non profit organisations. Avere riunito punti di vista francesi e latinoamericani è un secondo pregio, con alcune voci tratte da un precedente volume brasiliano, A outra economia, a cura di Antonio David Cattani (Veraz, 2003).
Sono passi avanti, questi, che tuttavia si fermano a metà strada. Sotto il titolo restano allineate troppe voci sovrapposte - economia alternativa, economia morale, economia non mercantile, economia non monetaria, economia popolare, economia sociale, economia solidale(vista da Nord e da Sud), terzo settore- senza che i testi, troppo brevi, portino a una sistematizzione dei temi. Vengono raccolte le molte definizioni diverse, senza uno sforzo di sintesi su come potremmo definire oggi un sistema altrorispetto all'economia di mercato del capitalismo neoliberista.
È utile lo sforzo di ritorno alle origini delle teorie e delle pratiche. Scopriamo che i padri riconosciuti dell' altraeconomiasono, stando al numero delle citazioni, Karl Polanyi, Karl Marx, Marcel Mauss e Max Weber e troviamo spesso i debiti riconoscimenti a Owen, Saint Simon, Fourier e Proudhon.
Il punto chiave, che l'introduzione di Jean-Louis Laville ribadisce, resta quello sottolineato da Polanyi nella sua analisi del capitalismo liberista di inizio Novecento: la necessità di «reinserire» l'economia di mercato dentro la società e le sue relazioni, rovesciando l'assolutizzazione della razionalità economica e l'idea che ci si possa affidare a un sistema di mercati capaci di autoregolarsi. Tra le alternative all'individualismo della razionalità economica emergono dal dizionario lo «spirito del dono», la reciprocità, la solidarietà, l'associazionismo. Ancora più eterogenee sono le strade che, nelle voci del volume, possono allontanarci della «dittatura dei mercati». La questione di fondo restano le relazioni tra la sfera delle attività sociali, in cui si opera come persone e cittadini, e quella delle attività economiche, in cui siamo produttori, lavoratori, consumatori, risparmiatori.
Tra le immagini più convincenti presentate dal libro c'è quella proposta dal grande storico Fernand Braudel, ossia un'economia mondiale costituita da tre piani: l'economia terra terralegata alla riproduzione della società, fatta di lavoro domestico, autoproduzione e autoconsumo, scambi su mercati locali; un «primo piano» di economia concorrenziale di mercato e un «piano alto» abitato dagli oligopoli delle imprese multinazionali. L'espansione capitalistica ha invaso con logiche di mercato il piano terradella quotidianità, insieme al mondo del vivente, la sfera dei saperi e dei beni pubblici, e un primo compito dell' altraeconomiasta nel respingere questa invasione e tutelare la dimensione prevalentemente sociale di questo ambito. Dopo la difesa, l' attacco: si possono fare incursioni dove i mercati stessi falliscono per la natura pubblica o relazionale dei beni prodotti, affiancando e integrando con altreattività economiche e sociali - tipiche del terzo settore e delle imprese sociali - la difesa del welfare state e dell'intervento pubblico per servizi sociali, scuola, sanità, infrastrutture e ambiente. Infine, al «piano nobile» delle multinazionali, gli abusi più gravi possono essere fronteggiati con relazioni dal basso: commercio equo, microcredito, cooperazione decentrata.
Se proviamo a ordinare le molte prospettive aperte dal volume, emergono una varietà di strategie complementari: in primo luogo ridimensionarela sfera delle attività economiche rispetto agli ambiti del sociale e della politica; poi accrescere i vincoliche questi ultimi possono imporre ai modi di svolgimento della produzione, dei consumi e della finanza; sperimentareinfine attività economiche fuori dalle logiche capitalistiche e di mercato, da un lato tramite esperienze radicate nell'agire sociale e solidale e dall'altro reinventando un intervento pubblico non statalista. Nel primo caso la sfida è nella forma sociale in cui realizzare attività economiche: associazioni che forniscono servizi, fondazioni, imprese sociali e cooperative presentano tutte luci e ombre con una difficoltà di definizione dei confini discussa nell'articolo di Alessandro Messina in questa stessa pagina. Nel secondo caso, la relazione tra società civile e politica diventa centrale, con la capacità della prima di condizionare la visione del «bene comune» interpretato dalle strutture di potere, dai meccanismi di decisione e dalle élitedella politica.
Più spazio alla sfera del sociale e della politica vuol dire naturalmente più democrazia, una politica che non sia ridotta e esercizio del potere, più partecipazionee ruolo dei cittadini; come ricorda Laville, «la visione di un'altra economia diventa necessaria se non rinunciamo alla finalità di un approfondimento della democrazia».
Per quanto confusa nella definizione e molteplice nelle direzioni da perseguire, la strada dell' altraeconomiaappare così obbligata se cerchiamo alternative concrete, qui e ora, al capitalismo neoliberista. Lo raccontano con grande efficacia gli autori latinoamericani che nel Dizionariomostrano come le pratiche di un' altraeconomianel Sud del mondo si siano moltiplicate negli ultimi vent'anni alla ricerca di risposte (e di sopravvivenza) alle politiche neoliberiste. E lo mostrano anche le esperienze più avanzate diffuse in Europa per fornire servizi capaci di andare incontro a bisogni insoddisfatti, per aprire spazi all'agricoltura biologica e a produzioni amiche dell'ambiente, al commercio equo e alla finanza etica, ai consumi critici e alla condivisione dei saperi.
Che cosa leggere per esplorare l'altraeconomia? Fondamentale è La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, pubblicato in gran fretta a Londra da Karl Polanyi nel 1944 (Einaudi 2000, pp.383, 24 euro), per offrire un'alternativa ai disastri del liberismo nel dopoguerra . L'introduzione di Alfredo Salsano all'edizione italiana ricostruisce il percorso di Polanyi e il suo profilo intellettuale che si forma a un crocevia della cultura della sinistra europea, con un orientamento radicalsocialista, non marxista, ostile sia al mercato sia alla pianificazione centralizzata e con una forte attenzione alla pratica sindacale. La «grande trasformazione» è la capacità della società di fermare la «dittatura dell'economia» imponendo l'intervento dello stato per regolare i mercati, aprendo le porte a quello che sarà il welfare state. Polanyi continerà poi a lavorare soprattutto sull'intreccio tra storia e antropologia, con i saggi raccolti in Economie primitive, arcaiche e moderne e Traffici e mercati negli antichi imperi (entrambi di Einaudi).
Non molto ricca è la riflessione recente sulle alternative «di sistema» al capitalismo neoliberista che sappiano partire da pratiche concrete. Tra queste c'è il numero 20 della Revue du Mauss, Quelle autre mondialisation? (La Découverte-Mauss 2002) con contributi, tra gli altri di Morin, Laidi, Latouche. Dagli Usa viene Alternatives to economic globalization (Berrett-Koehler, 2002) realizzato da un folto gruppo di critici della globalizzazione (soprattutto americani) guidato da John Cavanagh e Jerry Mander, che concentrandosi sulla critica alle corporations suggerisce dieci principi per società sostenibili e propone di rovesciare i processi di globalizzazione con limiti alle imprese e attenzione alla dimensione locale. Seymour Melman in After capitalism. From managerialism to workplace democracy (Knopf, 2001) svolge una lucida analisi del capitalismo militarizzato degli Usa e vede una via d'uscita in una democrazia sul posto di lavoro, che tolga potere ai manager e lo restitusca al controllo dei lavoratori. Dalle teorie alle pratiche: una sintesi è in Susan George, Un altro mondo è possibile se... (Feltrinelli, 2003, pp. 220, 13 euro). Un riepilogo (illustrato) è in nel Piccolo dizionario critico della globalizzazione di Ignacio Ramonet, Ramon Chao e Jacek Wozniak (Sperling & Kupfer, 2004, pp. 432, 16 euro). La storia della ricerca di un'altraeconomia in Italia dal 1848 a oggi è in Giulio Marcon, Le utopie del ben fare. Percorsi della solidarietà: dal mutualismo al terzo settore ai movimenti, (L'Ancora del Mediterraneo, 2004, pp. 330 euro 20). Impossibile non ricordare, poi, il mensile Altreconomia. L'informazione per agire (www.altreconomia.it) che da anni racconta le pratiche concrete del cambiamento. La rivista e molti libri si possono trovare ormai anche nelle botteghe del commercio equo di tutta Italia.
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