La rivolta di Coca e Pepsi: embargo «incostituzionale»
Chi pensa che, ovunque lo porterà un volo aereo, troverà ad aspettarlo un distributore di Coca Cola o Pepsi a ricordargli di essere immerso in un mondo economicamente globalizzato, dovrà aggiungere una nuova voce nella lista delle certezze infrante. Da qualche settimana, infatti, un divieto regionale dello Stato indiano del Kerala ha vietato la vendita delle bibite dei due colossi dei cosiddetti soft drink.
Ieri, Coca Cola e Pepsi si sono presentate nel tribunale indiano di Kochin per chiedere che la decisione della corte regionale sia giudicata «incostituzionale». A preoccupare le due multinazionali è insomma che si crei un caso senza precedenti: che un tribunale possa vietare il consumo dei soft drink più venduti al mondo e ispirare magari altre sentenze dello stesso tenore. Dopo aver fatto breccia nelle ideologie più differenti, conquistato il mercato mondiale, compreso quello del “democratizzato” Iraq, le due compagnie rischiano con questa sentenza di trovarsi un problema molto più ingestibile dei proclami di lunedì del colonnello Gheddafi che chiedeva un risarcimento per l’Africa, visto che gli ingredienti utilizzati per produrre le bevande provengono da piante africane.
La decisione della corte indiana era stata presa circa un mese fa, dopo la denuncia di un’organizzazione per la salute dei consumatori indiani, il Centro scienza e ambiente (Cse). Le analisi condotte dal’istituto su diversi campioni di Coca Cola e Pepsi vendute nel territorio indiano avevano rivelato tracce consistenti e oltre i limiti di pesticidi.
Le due multinazionali hanno finora strenuamente respinto ogni accusa e utilizzato tutta la loro capacità di pressione sul governo indiano affinché faccia cambiare rotta al governo regionale. Ma non c’è stato ancora niente da fare: le lattine rosse della Coca e quelle blu della Pepsi sono scomparse dagli scaffali e dai distributori di Kerala e la loro vendita, in altri sei stati indiani, è stata fortemente ridimensionata. Un gigantesco danno di immagine, ancora prima che economico, per chi come le due multinazionali investi miliardi in pubblicità legando il proprio immaginario a sport (Coca Cola) e musica (Pepsi). Coca Cola è al centro di una campagna di boicottaggio internazionale per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori nei suoi stabilimenti in Colombia. Ma i consumatori, si sa, dimenticano presto un sindacalista ucciso. Quello che non dimenticano (o meglio, che dimenticheranno solo dopo ingenti investimenti pubblicitari) è l’accusa che quella bevanda possa essere velenosa per la salute (che proprio bene non facciano le bevande gassate è già noto) e che un tribunale possa decidere di mettere fuori legge le incriminate lattine.
Il pericolo è che i consumatori non credano più a Babbo Natale, o per lo meno a quell’omino rubizzo con la barba bianca vestito di rosso che Coca Cola inventò in una sua pubblicità.
Così, le due multinazionali delle bollicine hanno prima tentato di smentire il Cse, accusandolo di avere fornito analisi contraddittorie e di scarso valore scientifico. Per farlo si sono fatte aiutare dagli esperti del governo britannico del Central Science Laboratory, che in conferenza stampa a Nuova Dehli hanno comunicato il risultato delle loro analisi: le bibite sono sicure. Notizia che avrà fatto piacere al sottosegretario al Commercio internazionale statunitense Frank Lavin, che aveva commentato la decisione della corte regionale come un duro colpo per la capacità dell’India di attrarre investimenti americani. Ma le nuove analisi britanniche non hanno convinto né le autorità di Kerala, né il Cse che ha subito reagito. Secondo l’istituto indiano, i test condotti dagli scienziati inglesi sono stati effettuati su campioni di lattine fornite dalle due stesse corporations, mentre il Cse ha analizzato campioni prelevati da bibite vendute in dodici stati indiani. La “confindustria” indiana, intanto, chiede scusa agli Usa per l’incidente e tenta di convincere il mercato che si tratta solo di screzi regionali dovuti alla composizione comunista dell’amministrazione di Kerala. Motivazioni che hanno scarso diritto di cittadinanza in un’aula di tribunale dove valgono le prove oggettive. Sebbene, anche quest’idea, fa spesso parte delle certezze infrante.
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