Colombia, dopo anni di lotta il sindacato piega la Coca Cola
Otto sindacalisti della multinazionale Coca Cola uccisi dagli squadroni della morte dei paramilitari dal 1990 a oggi, in Colombia, ben 179 le gravi violazioni dei diritti umani denunciate. Una strage che vede come unica responsabile la company di Atlanta produttrice della celebre bevanda e che finalmente potrebbe aver fine. Dopo 3 anni e 2 mesi di boicottaggio internazionale, la Coca Cola Company ha accettato di trattare con Sinaltrainal, che l’ha accusata di essere responsabile della feroce strategia antisindacale. «In questi giorni - fa sapere la Rete boicotaggio Coca Cola - è in corso a New York una serrata trattativa tra Coca Cola e Sinaltrainal, che ha già portato alla firma di un pre-accordo». L’intesa prevede: una politica generale dell’azienda sui diritti nei luoghi di lavoro, non solo in Colombia, ma in tutto il mondo; un metodo per il risarcimento proporzionale dei sindacalisti e dei loro familiari che dal 1990 ad oggi hanno subito violazioni dei diritti umani e sindacali; un accordo generale per la creazione di un procedimento che consenta alla Coca-Cola e alla Ong statunitense International Labor Rights Fund di trattare le questioni relative al rispetto dei diritti sindacali che dovessero presentarsi all’interno del Coca-Cola System.
In cambio il Sinaltrainal deve assicurare la sospensione del boicottaggio della bevanda, almeno fino a che l’azienda non avrà il tempo di adempiere agli accordi sottoscritti. Nel frattempo la campagna non si blocca nel resto del mondo. «Quando nel luglio del 2003 abbiamo iniziato il boicottaggio - dichiara la Reboc - in pochi ci credevano, e invece stiamo dimostrando ancora una volta che la solidarietà internazionale tra lavoratori e consumatori critici può battere anche un gigante come Coca Cola e dare un contributo essenziale per la globalizzazione dei diritti». L’organizzazione è però pronta a fermare il boicottaggio, precisa, «se e quando si arriverà ad un accordo di dettaglio soddisfacente».
Il totale delle vittime tra i rappresentanti del sindacato dei lavoratori colombiano della Coca Cola e della Nestlè è di 22 persone. Molti sono anche gli esponenti costretti allo sfollamento (desplazamiento), che si aggiungono alle migliaia di dipendenti licenziati per la loro attività sindacale. Senza contare le ritorsioni sui familiari dei lavoratori in sciopero, come Gabriel Remolina, ucciso nell’aprile del 2004 solo perché fratello di Esther, compagna di Efrain Guerrero, presidente della sezione del Sinaltrainal e lavoratore della Coca Cola nell’impianto d’imbottigliamento di Bucaramanga.
Coca Cola impiega oggi in Colombia circa 10 mila lavoratori, il 94% dei quali è precario, non gode d’alcun diritto, non può iscriversi al sindacato e percepisce il salario minimo legale. Il tasso di sindacalizzazione dell’azienda è solo intorno al 6%, anche se la Coca Cola afferma che si tratta in realtà del 31%. La discordanza dei dati è dovuta al fatto che la multinazionale americana non conta tutti i precari che lavorano per lei. Secondo l’Ufficio internazionale Fim-Cisl (su dati della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi, che rappresenta 155 milioni di lavoratori iscritti a 241 organizzazioni affiliate, operanti in 156 paesi) risulta che negli ultimi 3 anni (dal 2003 al 2005) Coca Cola ha violato i diritti sindacali anche in altri 11 paesi. In tutta la Colombia sono 4 mila i sindacalisti uccisi dagli anni ’80 a oggi (ogni 5 sindacalisti uccisi nel mondo, 3 sono colombiani), vittime dello strapotere delle multinazionali e di un neo-liberalismo sfrenato. L’ultimo, ammazzato il 19 settembre, si chiamava Alejandro Uribe, era membro della Federazione agromineraria del Sur de Bolivar.
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