l'opinione

Il business mondiale della gestione dell'acqua

23 novembre 2006
Riccardo Petrella (Presidente dell'Acquedotto pugliese)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

E' noto che per quanto le acque minerali siano di proprietà pubblica - in Italia delle regioni - sono le imprese private che tirano grassi e sicuri profitti dalla loro mercificazione/vendita. Il business delle acque minerali in bottiglia è diventato uno dei settori più lucrativi e in espansione al mondo, dominato fino a poco tempo fa dalla Nestlé (proprietaria, fra gli altri, dei marchi del gruppo italiano San Pellegrino) e dalla Danone. Oramai sono tallonate da altre due «gentili sorelle dell'acqua» che sono la Cocacola e la Pepsicola.
Sta ora diventando altresì noto che le imprese private di distribuzione dell'acqua, e quelle a capitale misto pubblico-privato sempre più numerose nel settore dei servizi idrici, si stanno impadronendo della proprietà e/o del controllo dell'acqua potabile attraverso il mondo. Le francesi Suez-Ondeo e Vivendi-Veolia, da sole, gestiscono la distribuzione dell'acqua per più di 250 milioni di persone, senza contare quelle servite dalle società di cui posseggono delle partecipazioni azionarie. La banca privata svizzera Pictet prevede che nel 2015 le imprese private forniranno l'acqua potabile a circa 1 miliardo e 750 milioni di «consuimatori». In questo contesto non sorprende di constatare che le imprese di gestione dell'acqua sono sempre più comprate e vendute sul mercato delle imprese come si vendono e si comprano delle imprese di scarpe o di frigoriferi.
Ultimo caso maggiore e significativo è quello della Thames Water - la più grande impresa d'acqua del Regno Unito, numero 3 mondiale (dopo le due citate imprese francesi) - che l'australiana Macquarie ha comprato dalla tedesca Rwe. La Rwe, gigante energetico europeo, aveva acquistato Thames Water nel 2000 per 7.1 miliardi di euro nel perseguimento della sua strategia mirante a diventare il numero uno europeo delle multiutilities (imprese operanti simultaneamente nei settori dell'energia, dei trasporti, dei rifiuti, dell'acqua, delle telecomunicazioni...). La scelta in favore di una strategia multiutilities spinse anche, alcuni anni fa, l'Enel a interessarsi a un possibile acquisto dell'Acquedotto Pugliese. Per diversi motivi, i dirigenti della Rwe hanno deciso ultimamente di concentrarsi unicamente sul loro settore di competenza, allo scopo di mantenersi all'altezza dei colossi energetici mondiali in via di ristrutturazione e consolidamento. Così, altrettanto velocemente di come la comprarono, hanno venduto Thames Water.
Thames Water è stata comprata da un'impresa australiana, la Banca Macquarie, che ha sborsato per questo circa 14 miliardi di euro. La Macquarie non si è mai occupata di acqua nel passato. E' una banca specializzata in servizi finanziari (in Italia opera nel campo dei mutui per la casa) e in investimenti nelle infrastrutture. Per esempio, gli aeroporti di Bruxelles e di Copenhagen sono dei «Macquarie Airports». E' presente in 24 paesi e ha circa 8.900 dipendenti.
Perché ha investito così tanto nel settore dell'acqua, comprando anche l'americana Acquarion per 860 milioni di dollari Usa? Non certo perché ha un piano industriale e socio-ambientale di ammodernamento della rete e del servizio idrico per 13 milioni di abitanti della regione londinese e gli altri 50 milioni di persone servite nel mondo dalla Thames Water. Per la Macquarie si tratta di una strategia puramente finanziaria: aumentare i livelli di profitto del Gruppo intervenendo in un settore molto redditizio, destinato a diventarlo ancora di più nel futuro se continuano i processi di privatizzazione e di rarefazione dell'acqua per usi umani. Allorché la signora Thatcher privatizzò l'acqua nel 1989 affermò che ai britannici non importava sapere chi distribuisce l'acqua. L'importante è beneficiare di servizi di qualità elevata a prezzi convenienti. La privatizzazione dell'acqua non ha portato risultati notevoli sul piano dei prezzi ( gli aumenti sono stati considerevoli) né su quello della qualità (di recente la Thames Water è stata severamente ripresa dall'autorità di controllo per non aver ridotto i livelli di perdite conformemente agli obblighi legati alla tariffa). I britannici sono stati invece esauditi per quanto riguarda l'irrilevanza della nazionalità del gestore: «l'acqua del Tamigi» (Thames Water ) è passata di proprietà in quindici anni da un ente pubblico a un'impresa privata britannica, poi a un'impresa energetica tedesca e ora a una banca australiana. E ' possibile che fra dieci anni la proprietà della Thames Water passi a una società cinese specializzata nella gestione dei rifiuti urbani.
Alla luce di quanto sopra, a quando la trasformazione delle italiane Hera (Holding energia risorse e ambiente) od Acea (Azienda comunale energia e acqua), che già operano sui mercati azionari europei e internazionali, in «Acque Macquarie»?

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