Il nuovo Nuovo Municipio
Qualche tempo fa, mi è capitato di partecipare a un convegno sulla democrazia partecipativa organizzato da un assessore di Gorizia: c'era anche l'assessore toscano Agostino Fragai, che sta lavorando - insieme ad Alberto Magnaghi e altri - a una legge regionale sulla partecipazione, la prima nel suo genere. Un dubbio mi pungeva: come mai la regione Toscana, che appunto sta preparando una tale legge, faccia poi in modo che la pioggia di grandi opere in previsione venga di fatto imposta ai cittadini, con scarsissima non dico partecipazione, ma anche informazione. Parlo del pazzesco tunnel Tav sotto Firenze, dell'autostrada in Maremma, del rigassificatore off shore (ossia in mezzo al mare) al largo di Livorno e Pisa, dei termovalorizzatori della piana fiorentina... Feci questa domanda a Fragai, che all'incirca rispose: ma che c'entra, non è che possiamo fermare lo sviluppo in attesa della legge, vorrà dire che la partecipazione si farà dopo.
Ecco, mi pare che in questo scarto - temporale e concettuale - tra le urgenze dello «sviluppo» e l'effettiva possibilità, o volontà, delle amministrazioni locali di sottoporne i termini, i costi e i benefici, ai cittadini che ne vengono investiti, stia il problema che la Rete del Nuovo Municipio discuterà il 4 dicembre in una assemblea, a Firenze (i dettagli sono su www.nuovomunicipio.org), che si annuncia piuttosto importante. Perché si tratta di capire, dopo tre o quattro anni di vita della Rete, dove bisogna andare. Il Nuovo Municipio è una delle poche «istituzioni» nate grazie all'onda dei Forum sociali mondiali che ha mostrato di non essere usa-e-getta: ha una sua organizzazione (per quanto il presidente, Alberto Magnaghi, lamenti giustamente la sua fragilità), centinaia di associati tra eletti locali, ricercatori e persone che fanno parte di associazioni «cugine», ha promosso incontri di grande successo (lo scorso anno a Bari c'erano quattrocento amministratori, quest'anno a Milano un po' meno). Ha soprattutto, il Nuovo Municipio, diffuso la nuova cultura democratica che dice: è nel locale, nella città, che si stabiliscono le relazioni necessarie a rimediare ai buchi che la globalizzazione liberista ha scavato nelle forme della democrazia liberale a scala nazionale. Effetto non secondario ne è il fatto che il circolo chiuso dei partiti italiani ha per qualche momento, attraverso i loro eletti locali, potuto gettare uno sguardo sul mondo, dove la democrazia partecipativa e municipale, il bilancio partecipato e altre forme di democrazia diretta, si moltiplicano come un virus benefico.
Eppure c'è un problema grave. Quale sia lo discuteranno coloro che risponderanno all'invito di andare a Firenze quel giorno. Secondo la mia opinione - che ho già scritto su Carta in una lettera a Salvatore Amura, il coordinatore della Rete, che ha risposto con buoni argomenti - si tratta del fatto che ora è divenuto più urgente che in passato fare il secondo passo, che pure è nelle premesse della Rete: la democrazia municipale ha senso se il suo contenuto è quel che Magnaghi chiama l'«auto-sviluppo locale», ciò che si potrebbe definire anche la «società locale della decrescita», e insomma la critica attiva della crescita economica come religione civile e la sperimentazione di altre soluzioni. Solo che il centrosinistra, dal governo nazionale a quelli locali, è letteralmente ubriaco di «sviluppo», di Tav e autostrade, di turbogas e rigassificatori, di inceneritori e speculazione immobiliare. Ecco dov'è il problema, secondo me: la partecipazione, come diceva quel tale, non è un pranzo di gala.
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