L'economista della gioia di vivere

La decrescita della produzione e dei consumi come via d'uscita ai limiti fisici della produzione. La riflessione di Nicholas Georgescu-Roegen ricordata all'incontro a New Delhi della «Società internazionale di economia ecologica» e da alcuni volumi recentemente pubblicati in Francia, Spagna e Italia
27 dicembre 2006
Anna Chiesura
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

E' un peccato che tra il gran parlare di energia che si fa di questi tempi (crisi energetica, energie rinnovabili) quasi nessuno abbia ricordato la figura e il pensiero di Nicholas Georgescu-Roegen, economista dissidente rumeno di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita. Forse perché l'energia di cui parlava non era la risorsa strategica che comanda la geopolitica mondiale, ma quell'entità invisibile che s'impara a scuola con le leggi della termodinamica. Di lui non si è però dimenticata la «Società Internazionale di Economica Ecologica», che alla conferenza internazionale conclusasi di recente a Delhi in India (www.isee2006.com), ha organizzato un dibattito con alcuni dei suoi eredi teorici più fedeli (Joan Martinez-Alier, Kozo Mayumi, Gabriel Lozada, John Gowdy). Una fortuna, perché il pensiero di Georgescu-Roegen assume un'attualità alla luce delle sue intuizioni sui limiti biofisici della crescita e sulla natura entropica del processo economico: elaborazioni che aiutano a spiegare la posta in palio delle grandi sfide ambientali (riscaldamento globale, esaurimento dei combustibili fossili) e le tragiche contraddizioni degli attuali modelli di sviluppo.
La peculiarità del suo lavoro ne fece un pensatore outsider, ma le sue idee hanno stimolato la creazione di nuove discipline come l'ecologia industriale e l'economia ecologica. Pubblicazioni più o meno recenti hanno divulgato le sue teorie in Europa: la monografia di Oscar Carpintero in Spagna, il volume a cura di Mauro Bonaiuti Bioeconomia. Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile (Bollati Boringhieri Editore) in Italia e Demain la décroissance («Domani la decrescita») di Jacques Grinevald in Francia.
Nato nel 1906 in Romania, Nicholas Georgescu-Roegen consegue il dottorato in statistica all'Università Sorbona; poi si trasferisce a Londra per poi approdare ad Harvard come ricercatore: per i suoi interessi per la metodologia della scienza e per temi demografici prima, per le teoria dei consumi poi. Rientrato nel suo paese, oltre a condurre attività di ricerca, in particolare nel campo dell'economia agraria, ricoprì anche importanti incarichi politici e istituzionali, fino a quando lasciò il suo paese nel 1948 a causa delle persecuzioni subite da parte del governo comunista. Emigra quindi negli Stati Uniti, dove diventa professore di economia presso la Vanderbilt University di Nashville, Tennesse. Qui rimarrà sino alla sua morte, avvenuta nel 1994. In un'intervista rilasciata per il «New York Times» il 3 Dicembre 1979 affermò: «La questione più allarmante per la nostra economia - anzi per la nostra specie - non riguarda tanto le preoccupazioni relative all'inflazione o alla disoccupazione, quanto il rapido esaurimento dei carburanti fossili, specialmente il petrolio, la più importante fonte di energia dei tempi moderni».
Il pensiero e l'opera di Georgescu-Roegen propongono concetti che si pongono in rottura con i dettami dell'economia neoclassica. Alla razionalità strumentale dell'homo oeconomicus egli contrappone una visione sistemica dell'agire umano; e alla teoria della massimizzazione dell'utilità individuale quella del godimento del «flusso immateriale» della vita, quella che lui stesso chiama joie de vivre. All'approccio degli economisti neoclassici, che parlano di produzione in termini di valore, Georgescu-Roegen contrappone un'analisi in termini fisici. Non condivide il dogma energetico imperante e sostiene il ruolo altrettanto importante della materia (matter matters too, sosteneva).
Ma l'intuizione fondamentale alla base della sua elaborazione sta nell'aver riportato i processi economici di produzione e consumo all'interno della loro indispensabile dimensione biofisica. Nasce con lui la «bioeconomia», un'economia che si riappropria delle scienze della vita: diviene «sistema», non più definito dalle leggi riduzioniste di competizione ed efficienza, ma da quelle ben più complesse che governano i processi fisici e biologici tra stock e flussi di materia ed energia. Nella nuova «visione bioeconomica» (ispirata in parte dalle idee dell'economista Schumpeter e del biologo Alfred Lotka) economia e biologia si distinguono dagli altri domini della natura per essere entrambe governate dalla legge di entropia. Attingendo alla terminologia e ai concetti della termodinamica Georgescu-Roegen afferma che, da un punto di vista puramente fisico, il processo economico non fa che utilizzare materia-energia in uno stato di bassa entropia, restituendola in uno stato di alta entropia, diminuendo così la possibilità di essere «ri-usate» nel futuro. In base a questi presupposti, l'economista rumeno cerca di rovesciare il concetto stesso di produzione, rilevando come l'uomo non crea nulla, ma anzi accelera il processo entropico, distruggendo inevitabilmente le risorse naturali.
Essendo la biosfera un sistema chiuso (scambia energia, ma non materia), questa irreversibile degradazione entropica di quantità crescenti di materia ed energia operata attraverso la crescita illimitata della produzione finirà inevitabilmente per esaurire le basi energetiche e materiali su cui si fonda. E a nulla serviranno il tanto invocato progresso tecnologico, l'efficienza della produzione, la dematerializzazione, o il passaggio ad un'economia «leggera» dei servizi: secondo Georgescu-Roegen, produrre con meno energia per unità di prodotto interno lordo non porta ad una riduzione del consumo totale di energia. Le economie più efficienti, come gli Stati Uniti o la Norvegia, hanno infatti consumi energetici oltre tre volte superiori a quelli di economie molto meno efficienti, come il Messico o l'Ungheria. Questo avviene perché gli stocks necessari alle economie avanzate per produrre innovazione tecnologica richiedono enormi flussi di materia ed energia; e non tanto per produrre benessere, quanto per mantenere se stesse.
Neppure lo «stato stazionario» dell'economia, in cui capitale e popolazione rimangano costanti, tanto auspicato dal suo allievo Herman Daly, rappresentava per lui una soluzione compatibile con i limiti posti dalle leggi fisiche e biologiche, né tantomeno con il diritto dei paesi poveri ad uscire dalla miseria. E nemmeno lo convinceva il nuovo credo nello «sviluppo sostenibile» diventato ormai slogan universale di salvezza: lo considerava impregnato di falso ottimismo e in fondo ancora necessariamente legato al concetto di crescita. Il suo programma «bioeconomico», invece, prevedeva come soluzione la decrescita dei consumi e della produzione nei paesi ricchi.
Ricordare Georgescu-Roegen oggi deve soprattutto convincerci a recuperare la sua lettura sistemica del mondo e la sua interpretazione biofisica dell'economia all'interno del dibattito politico sullo sviluppo, spesso ancora troppo infatuato dai miti della crescita tout court. Ma senza aspettare altri cent'anni, di solitudine.

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