Quetzal, una coop davvero Speziale
Le ultime nate sono Speziale, Favaré e Manchò. La prima l'ha inventata Tiziana, maestra cioccolatiera della cooperativa siciliana Quetzal; è un mix segreto (o quasi) di sei spezie unite strada facendo alla pasta amara di cacao e allo zucchero di canna, equi. La seconda specialità viene dalla collaborazione con un presidio Slow Food: quello della manna delle Madonìe. La terza si avvale della perizia di un cuooco modicano per unire arditamente al cacao le fave cottoie prodotte da piccoli coltivatori ragusani. La lavorazione di queste cioccolate è quella tradizionale, lasciata in eredità a Modica dagli spagnoli: la pasta amara, il primo stadio della lavorazione del cacao, è fatta sposare con lo zucchero a bassa temperatura. Così le proprietà nutrizionali degli ingredienti evitano l'offesa mortale delle alte temperature, e gli ingredienti arrivano separati al palato: solo là, con l'acquolina, si fondono l'amaro divino del cacao (bevande degli dei, per gli Aztechi), il dolce aromatico dello zucchero di canna, e poi, a seconda dei gusti, la vaniglia, o la cannella, o il peperoncino, o il caffé, o le sicilianissime scorze di agrumi, manna e fave.
Ma non è solo per la loro bontà che le barrette della cooperativa Quetzal fanno furore (330.000 confezioni nel 2006). E' che tutti i passaggi e gli ingredienti, quelli stranieri e quelli italiani, sono equi e solidali. La pasta di cacao è di Conacado, federazione di novemila piccoli produttori della Repubblica Dominicana. Lo zucchero di canna di Cooperagri, Costarica. Le spezie vengono da Podie, Sri Lanka, raggruppamento di produttori che gestiscono una aromatica biodiversità. Il caffé è di Uciri, Messico, storica megacooperativa che ha cambiato la faccia delle aree in cui opera. Lo spago di juta colorata per la confezione è stato ritorto dalle donne del Bangladesh.
Il commercio equo paga per queste materie prime un prezzo dignitoso, fissato insieme ai produttori indipendentemente dalle quotazioni internazionali e dalle loro rovinose oscillazioni. C'è un premio ulteriore per i prodotti biologici, come in questo caso. Un altro aspetto importante è il rapporto diretto fra chi coltiva, chi trasforma, chi vende, chi compra. Quando, qualche anno fa, Queztal invitò una coltivatrice e poi il presidente di Conacado, in città era la prima volta che vedevano e parlavano con un produttore di cacao; eppure è piena di cioccolaterie, Modica, provincia di Ragusa. Bella, barocca, quartieri di case bianco-gialle artigliate come mani e dita sulle rocce delle colline, musei a prezzi modici quando sono aperti, percorsi letterari con le poesie di Quasimodo incastonate sui muri, pareti con cascate di capperi. E tante scale (un grande aiuto per la salute: rompono il traffico in molti microquartieri della città) quanti produttori dolciari e di cioccolata (e le scale aiutano anche a smaltire le calorie). Bisogna dire che la vocazione cioccolatiera di Modica pervade anche le campagne circostanti: ricche di enormi carrubi, i cui frutti non sono mangiati solo dai cavalli ma danno una polvere molto nutriente e rinfrescante sostitutiva del cacao. Piccoli produttori coltivano poi un'antica varietà di fave che costituisce l'unico ingrediente italiano (solo nella barretta Favaré, altra invenzione quetzaliana).
Ma la particolarità di Quetzal è che le suindicate materie prime sono trasformate in cioccolata da una cooperativa di lavoratori e soprattutto lavoratrici siciliane: il bianco laboratorio cioccolatiero della cooperativa omonima, la quale gestisce anche due botteghe del mondo e in totale ha creato 19 posti di lavoro.
In un contesto, quello siciliano ma non solo, dove il lavoro regolare è abbastanza raro, le dieci lavoratrici e i due lavoratori del laboratorio di cioccolata sono tutti assunti con paga regolare. Nello stanzone bianco, silenzioso, la maggior parte del lavoro consiste nella confezione. Sedendo su alti sgabelli intorno a un tavolo, a turni di quattro ore, si avvolgono le barrette prima in carta velina, poi nel cartoncino; per finire con lo spago bengalese e l'etichetta, di colori diversi a seconda dell'aroma. Intanto si chiacchiera, si discute, si ascolta la radio, e se c'è Flavio aleggiano poesie e letteratura. La maggior parte delle ore di lavoro complessive è dedicata alla confezione: solo questa cioccolata è imballata manualmente, più lavoro (non faticoso), meno macchine.
Il momento più pittoresco è lo spezzettamento dei durissimi e grossi blocchi di pasta amara di cacao che vano ridotti in scaglie accessibili all'impastatrice. In un recente passato li si aggrediva con una sorta di machete, rimangono fotografie "da macelleria"; adesso Marcello va di martello pneumatico, in una curiosa operazione da lavori stradali applicata a una produzione dolce e leggera. Metà mattina: pausa caffé. I visitatori non resistono e saturano la tazzina di cucchiaiate della tiepida crema speziata che gira nella macchina miscelatrice. Le signore cioccolatiere ricordano: "In altri posti, la pausa ce la scalavano dallo stipendio"; che magari era di 300 euro al mese.
Riassumendo: il cacao e le altre materie prime usati da Quetzal sono di alta qualità, e pagati di più rispetto ai corsi internazionali; la confezione è fatta a mano e richiede più tempo; i dipendenti sono in regola con il contratto nazionale di categoria. D'altra parte il prezzo finale della barretta, uguale in tutta Italia, è in genere inferiore a quello delle altre cioccolate tipiche. Grazie all'assenza di profitti e di intermediari, Quetzal ce la fa così, con la sua cioccolata virtuosa (e in futuro, il laboratorio sarà dotato di pannelli solari).
Altro che Modica quantità.
Teoria e pratica culinaria Un libro al gusto di cacao
Si chiama "Pane e cioccolata", è edito da Quetzal e si può comprare nelle botteghe del mondo il libro scritto da Sara Ongaro, antropologa socia della cooperativa, insieme a Peppe Barone, famoso cuoco modicano. La parte teorica è destinata a descrivere la complessa realtà del mercato internazionale del cacao. La parte pratica è culinaria: il cuoco insegna a preparare 30 gustosissimi piatti a base di cacao e cioccolata. Li ha sperimentati in venti anni di attività in quello che si può definire un distretto cioccolatiero.
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