La storia

Bio-loggia, dove il consumatore controlla il produttore

Nell'ex Borsa dei mercanti di Genova, un mercato sperimentale di prodotti biologici a basso costo e alta qualitàUn progetto di associazioni e centri sociali controla privatizzazione della struttura. E nel nome del consumo critico
3 gennaio 2007
Alessandra Fava
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Tu mi vendi i tuoi prodotti, ma io consumatore in qualsiasi momento posso venire a controllare come li produci; i prezzi della merce devono essere calmierati e chi vende ai banchi, se non è il titolare, deve essere assunto: è tutto nel «Regolamento per gli espositori» della «Bio-loggia», il mercato di prodotti biologici che dai primi di novembre è alla Loggia di Banchi di Genova, a ridosso del porto antico, ogni quindici giorni.
La Bio-loggia dal 2001 al 2004 si è trovata a combattere insieme a centri sociali e associazioni del centro storico contro la privatizzazione della Loggia di Banchi, da cui prende il nome. La Loggia, una grande sala coperta circondata da grandi vetrate che fu la prima Borsa dei mercanti a Genova, secondo qualche assessore comunale doveva tramutarsi in caffetteria, agenzia di viaggi attraversata da un passaggio che nel progetto di un gruppo di imprenditori veniva definita «una sorta di piazza cittadina». Insomma privatizzata.
Siccome però il progetto uscì fuori proprio l'anno del G8, a dicembre del 2001 la Loggia fu occupata per un giorno dal Genoa social forum e la questione della destinazione dello spazio divenne argomento di diversi consigli comunali. Rifondazione propose addirittura un referendum tra la popolazione. Nel settembre 2002 le associazioni ambientaliste e il Forum sociale del centro storico presentarono un ricorso al Tar per bloccare i lavori, trovando l'appoggio insperato della Sovrintendenza che nel gennaio 2003 disse che la Loggia non andava toccata. Così nel settembre del 2004 la giunta di Pericu ritirò il progetto. Da allora il Comune, poco alla volta, ha ripreso a farci mostre, incontri ed esposizioni. Ma la Bio-loggia ha perso fiato. Lo riprende ora dentro la Loggia di Banchi due volte al mese, con l'obiettivo di trovare un'altra sede nel centro storico negli altri due sabati che restano. E intorno al nuovo regolamento per i venditori-produttori si sono già creati una quindicina di gruppi d'acquisto.
«Sui prezzi non ci si capisce più niente - dice uno degli animatori della Bio-loggia, Gilberto Turbiani, veterinario e allevatore di Montezemolo - Da un po' di tempo a questa parte è passato il concetto "più è caro più è buono". Noi invece vogliamo solo produttori e non intermediari. In secondo luogo chiediamo la tracciabilità e le spiegazioni sulla lavorazione per informarti che ad esempio un pane è fatto con grano biologico coltivato proprio da chi ti sta vendendo la pagnotta. Insomma vogliamo lanciare il messaggio che mangiare sano è ancora possibile e non è cosa da ricchi».
Questa di aprire la Bio-loggia solo a chi produce e far accettare loro il calmiere con un prezziario che viene proposto anche ai gruppi d'acquisto non è stato per niente facile e ha reso scontento qualcuno. Ma gli organizzatori sono convinti che presto i banchi saranno sempre di più e offriranno non solo frutta e verdura, pane, olive e olio, torte salate, salumi e formaggi, ma anche uova, carne o prodotti artigiani ecocompatibili e libri e testi su agricoltura, ambiente, salute e alimentazione, oppure le merci delle botteghe del commercio equo solidale, proprio come dice il Regolamento. E tra le regole hanno scritto anche: «Non si potranno utilizzare generatori di corrente con motore a scoppio».
Mele tra un euro e mezzo e due euro e mezzo al chilo, pomodori a uno e mezzo, pane di vario tipo dai 3 euro e sessanta ai sei euro: «Il primo problema che ci siamo posti come consumatori è stato perché un miele in un mercato bio deve variare dai 4 ai 14 euro? Forse che il secondo pettina le api? - s'infervora Jeanne - Allora prima di tutto chiediamo di tarare un prezzo più corretto possibile e se c'è qualche lavorazione particolare di segnalarla all'acquirente con un cartello di spiegazione». Ad esempio, Tiziano Damiano, 39 anni, coltivatore di olive taggiasche a Chiusa Vecchia nell'imperiese, dice che «l'olio di taggiasche fatto bene non può costare meno di 12 euro al litro». Vicino a lui Piero, dipendente in regola di un allevamento vicino a Salice Terme con una quarantina di capre e una quindicina di mucche, ha esposto un questionario della Bio-loggia. Alla domanda «Usi prodotti chimici?», ha scritto a caratteri cubitali «Assolutamente no». Piero spiega che «per fare un chilo di formaggio ci vogliono dieci litri di latte» e che «il latte di mucca bio si vende a 50 centesimi al litro e quello di capra a 90-95 centesimi, tenuto conto che una mucca allevata bio rende il 30% in meno delle altre». La caciotta di capra alla fine costa 20 euro al chilo.
C'è una voglia di terra, di ritorno ai gusti e ai profumi, che non è né poesia nè bla-bla, ma un consumo critico, criticissimo. «La gallina e la mucca chi la vede più? - osserva Gilberto - Ritorniamo all'uso delle mani, dico io, che invito le scolaresche a Montezemolo e faccio girare l'impasto di carne ai bambini. Dico che i conservanti non si devono usare perché fanno male. Di recente una maestra mi ha detto che i bambini a una fiera hanno subito addocchiato l'etichetta di un produttore che usava E250 e E252, sospettati di essere cancerogeni, e hanno protestato. Ah che soddisfazione!».

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