Moni Ovadia:sete di uguaglianza
Un monologo, senza bisogno di dover recitare. Moni Ovadia rilancia dal Comune la campagna «Acqua pubblica, ci metto la firma», che ha già superato le 50 mila firme necessarie a sostenere il disegno di legge. Giuliana Beltrame, consigliera indipendente eletta nelle liste di Rifondazione comunista, si limita a un'essenziale presentazione: «Siamo orgogliosi di poter contare sulla sua testimonianza». E la conferenza stampa si concluderà con un irrituale applauso all'appassionato appello dell'attore, impegnato fino a domenica al Teatro Verdi nelle repliche di «Le storie del signor Keuner» di Brecht.
Ovadia rivendica a modo suo il diritto di alzare la voce: «Quando 50 anni fa Barry Commoner cominciò a lanciare l'allarme ecologico, i soliti Soloni replicarono dandogli del pazzo furioso. Accadeva lo stesso a chi all'inizio si batteva contro la schiavitù e il lavoro minorile o per l'emancipazione femminile. Adesso d'improvviso, a Davos, finanzieri e banchieri scoprono che l'ecologia è un problema. Bene. Basta intendersi. Perché ci sono due modi di concepire la vita. Mettere al centro i soldi oppure l'essere umano. A Davos vedono il business dell'ecologia. Personalmente, non ho nulla contro le imprese per bene. Tanto più se ciò darà accesso all'acqua di qualità a basso prezzo».
Cittadinanza attiva per un mondo diverso. Anche Moni Ovadia si «spende» in prima persona, con la sua sete di uguaglianza: «L'acqua rappresenta la punta dell'iceberg. È la stessa privatizzazione del riso in Cina o altrove di altri beni comuni. Qui non c'entra la politica. E' in gioco il futuro dell'umanità. Né demonizzo l'economia, purché non significhi solo ed esclusivamente grandi profitti per pochi a scapito di tutti. Mi sono laureato in economia politica e ho imparato che esistono elementi che sono pubblici per statuto. Sono quelli riconosciuti dai diritti universali dell'uomo. Dopo il crollo del muro di Berlino, è scattato un delirio privatista. Vogliono tutto: perché non privatizzare anche l'aria, così chi può permetterselo vivrà in un bunker con gli altri che muoiono soffocati? Una deriva totalmente scellerata, che in Sudamerica arriva fino ad impedire ai contadini la raccolta dell'acqua piovana. La battaglia in difesa dei beni collettivi coincide semplicemente con la difesa del destino dell'umanità. Basterebbe il fatto che noi siamo fatti al 75% d'acqua».
I campanelli d'allarme sono già suonati, per tutti con lo tsunami e l'uragano Katarina: «Con il clima siamo a un punto di non ritorno. Sull'orlo della catastrofe. Ce lo ricordano 2500 scienziati riuniti a Parigi. E' vero che prevalentemente muoiono sempre i poveracci, mentre i ricchi fanno la spesa con le carte di credito da Gucci. Ma mi piacerebbe che l'Italia fosse una volta tanto all'avanguardia nella mobilitazione per lasciare ai nostri figli e nipoti un pianeta umano». Ovadia parla a ruota libera, ma torna ad insistere sui beni comuni e sull'umanità: «Vengo dalla storia ebrea. I profeti d'Israele hanno continuamente levato la loro voce contro i potenti. E' tornata l'ora di gridare, fuori dagli starnazzi televisivi. Non siamo spettatori di Porta a porta, si può cambiare l'ipertrofia dello sviluppo. Non se ne può più. E uso parole forti: va fermato, oggi, il progetto scellerato con ricadute criminose».
Ieratico quanto ironico, a 60 anni si può concedere di interpretare i beni comuni inalienabili. A modo suo: «Un ministro della Federazione russa ha fatto una gaffe sintomatica, dicendo in pubblico "fra pochi anni vivremo così bene che ci invidieranno perfino i nostri nipoti". Ma come? Il mondo è già peggiore. Vogliamo che i nostri figli ci maledicano e sputino sulle nostre tombe? Perfino Bill Gates ha capito, decidendo di investire il 95% dei suoi guadagni personali per salvare vite umane. Invece, una multinazionale farmaceutica fa causa all'India che vuol produrre medicine salvavita a prezzi ragionevoli. Se vince, significa morte e sterminio. Un crimine contro l'umanità. Come per l'acqua che si vuol privatizzare, quando un bambino muore ogni secondo perché costretto a bere dai pozzi inquinati. Il mondo ha sete. Ed è una questione di vita o di morte, non di destra o di sinistra».
Moni Ovadia si schiera con il Forum italiano dei movimenti per l'acqua. E da Padova ricorda di aver fatto altrettanto per un'altra causa profetica: «Sono molto vicino agli operai e alle loro famiglie vittime dell'asbestosi. Il mio amico Michele Michelino dirige la loro associazione, che 30 anni fa si preoccupava di denunciare il meccanismo ad orologeria con cui venivano avvelenati. I primi studi sul pericolo delle fibre di amianto risalgono al 1907, eppure quando il problema veniva indicato scattava l'aggressione perfino da parte dei sindacati. Oggi vincono in tribunale, ottenendo i primi risarcimenti».
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