L'acqua dei poveri «non arriva» al bagno

Centinaia di milioni di persone non hanno servizi igienici. Perché non hanno acqua. Sembra banale, ma un solo Wc può salvare la vita di decine di bambini
18 marzo 2007
Riccardo Petrella
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Si può parlare di scandalo mondiale dell'acqua per tre ragioni : il diritto alla salute e alla vita di 2,8 miliardi di persone non è garantito perché esse non hanno accesso a servizi igienico-sanitari adeguati. Non ci sono latrine. Incredibile ma vero. Seconda ragione: i poteri pubblici stanno trasferendo ai detentori di capitali privati la responsabilità del finanziamento degli investimenti necessari in infrastrutture, gestione e salvaguardia di un bene comune cosi essenziale come l'acqua. Perché, dicono, gli stati non hanno più soldi e non possono aumentare le tasse. Infine, c'è lo scandalo dell'immobilismo dei dirigenti politici ed economici del Nord e del Sud che fanno poco o nulla per arrestare la devastazione in corso delle acque del mondo e addirittura annunciano l'inevitabilità delle guerre dell'acqua.
Lo scandalo della mancanza di Wc e di latrine è documentato nel rapporto 2006 del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo centrato sull'acqua. La metà della popolazione dei paesi detti «in sviluppo» é priva di servizi sanitari. Centinaia di milioni di esseri umani, ancora nel 2007, sono obbligati a defecare nei campi, in secchi, in fosse di fortuna. A Kibera, la bidonville di Nairobi, vi sono le cosiddette «toilette volanti». Sprovvisti di latrine, i kiberani si arrangiano con i sacchi di plastica che gettano nelle strade . Ciò capitava a Parigi (senza sacchi) agli inizi del XIX° secolo. L'assenza di Wc è alla base dello sviluppo e diffusione di gravi malattie infettive che toccano soprattutto le donne e i bambini. Risultato: 4.900 bambini sotto i 5 anni muoiono ogni giorno per malattie infettive dovute all'assenza di servizi igienici.
Una situazione così insensata e intollerabile solleva la questione politica di sapere come mai la costruzione di latrine pubbliche in Africa, Asia, America latina non é stata trattata, e ancora oggi non figura, come una priorità dell'agenda politica mondiale e nazionale dello sviluppo.
Una prima ragione potrebbe essere costituita dal fatto che non è certo esaltante né «elegante» per i «signori mondiali» dell'economia, della finanza e della tecnologia riconoscere che la gestione dei residui fecali umani costituisce uno dei problemi mondiali più gravi del momento. E' più gratificante, anche sul piano economico, occuparsi della liberalizzazione del commercio dei servizi, della competitività d'impresa, della costruzione di stadi di football, centri di telecomunicazioni, complessi turistici per i ricchi del Nord.
A mio parere, la ragione fondamentale risiede nell'accettazione della «naturalità» e dell'inevitabilità della povertà da parte della stragrande maggioranza dei dirigenti, al Sud e al Nord del mondo. Il legame tra povertà e assenza di servizi igienico-sanitari é molto stretto. Per quanto inferiori alla realtà, le cifre ufficiali sono eloquenti: sui 2,6 miliardi di persone private di servizi igienico-sanitari, 995 milioni «vivono» con meno di 2 dollari di reddito al giorno. La povertà è la principale causa della mancata disponibilità delle latrine.
Nella testa dei gruppi dominanti e anche, più in generale, in quella delle popolazioni dei paesi ricchi, la povertà degli altri è, in definitiva, colpa loro per motivi - pensano - attinenti alla loro cultura e alle loro capacità. Sono convinti che l'eradicazione della povertà nel mondo è un bel sogno irrealista. Non sta al Nord far uscire dalla povertà i 2,8 miliardi di poveri . Sta a quest'ultimi - dicono - di lottare e trovare uno spazio conveniente sulla scena dell'economia libera di mercato mondiale. Ora, fintantoché le latrine non diventeranno un settore «economico» redditizio (cosa che non potranno mai diventare), è «logico» che il libero mercato mondiale dell'economia capitalista non si interesserà alle latrine. Non è affatto logico, invece, che i poteri pubblici non vi si interessino.
Le soluzioni esistono, nei vari settori e livelli. Anzitutto è necessario «cambiare ciò che sta nella testa alla gente» per fare dell'accesso all'acqua per la vita (inclusa l'acqua per l'igiene) un diritto umano, universale e indivisibile. Ci si arriverà: un grande passo in avanti potrà essere compiuto il 10 dicembre 2008 in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Dirittti Umani.
Occorre, in secondo luogo, riorganizzare i rapporti tra campagna e città. Le politiche perseguite finora hanno condotto alla loro rottura disastrosa, a svantaggio totale della campagna, producendo una cattiva campagna e una cattiva città. Non é possibile assicurare l'accesso ai beni e servizi essenziali in un contesto di metastasi urbane generalizzate. Sulle 17 agglomerazioni al mondo con più di 10 milioni di abitanti, 15 si trovano nei paesi poveri del mondo. Ci sono voluti più di 120 anni per garantire a tutti gli abitanti di Parigi un livello decente di servizi igienico-sanitari. Dobbiamo rassegnarsi a pensare che occorre aspettare il 2127 per raggiungere lo stesso risultato in Africa o in India?
E'indispensabile, poi, sostenere e accompagnare tutte le forme possibili di partecipazione effettiva dei cittadini allo sviluppo e alla gestione dei servizi igienico-sanitari partendo non solo da un'educazione dei bambini con la partecipazione delle famiglie ma anzittutto da un'educazione partecipata degli adulti, in sostegno della creazione di «comunità di vicinato», di «comunità di abitazioni», di «cooperative di servizi di prossimità», di creazione di casse locali di risparmio per i servizi comuni, ecc. Riappare il problema del capitale, del benessere e dell'utilità collettivi/pubblici vs. il benessere e l'utilità individuali/privati.
In effetti, in quarto e ultimo luogo, ma certamente di non minore importanza delle altre soluzioni, è assolutalmente necessario ridare ossigeno alla finanza pubblica, secondo il principio politico ed economico forte che gli investimenti nei settori dei beni e dei servizi pubblici essenziali alla vita di ciascuno di noi, al benessere collettivo e al vivere insieme, devono essere coperti da risorse finanziarie pubbliche. Non possono essere lasciati ai meccanismi della capitalizzazione privata. Di questo tratterò nel prossimo articolo.

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