Totò Cuffaro svende l'acqua ai privati . Ecco perché in Sicilia l'"oro blu" c'è ma non si vede

Appaltata la gestione idrica di Palermo, Agrigento, Trapani, Enna. Ma a Ragusa resta pubblica
22 giugno 2007
Lorenzo Tondo
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

C'era una volta, in Sicilia, un lupo che stava nella parte alta di un rivo. Da quel fiume sgorgavano ogni anno 7 miliardi di metri cubi d'acqua, quasi il triplo del fabbisogno calcolato in 2 miliardi e 482 milioni di metri cubi. Nella parte bassa stava un agnello assetato. Il lupo disponeva a suo piacimento se fare bere o meno l'agnello ed ogni pretesto era buono per negare o razionare l'accesso.
Questa rivisitazione siciliana di Fedro non è solo una favola. È ciò che accade in Sicilia sul fronte dell'emergenza idrica.
Negli invasi siciliani c'è una disponibilità in grado di assicurare 250 litri d'acqua giornalieri ad ogni abitante dei comuni capoluoghi di provincia e 210 in tutti gli altri comuni. Molto di più, ad esempio, della provincia di Reggio Emilia, dove la disponibilità d'acqua è di 133 litri al giorno per ogni abitante. Ma mentre nel capoluogo romagnolo l'acqua viene erogata ogni giorno per 24 ore, nella provincia di Agrigento l'acqua arriva ogni tre settimane.
Le radici del problema non sono solo di carattere politico, ma, come ogni sorta di bene pubblico nell'isola, il problema è anche di natura criminale. Tutto cominciò con la costituzione dello Stato unitario. In Sicilia non c'è stata una pubblicizzazione delle acque. La mafia ci mise le mani e non le tolse più. Alle fonti d'acqua venne imposto il controllo privato, esercitato dai guardiani, i "funtaneri", uomini di Cosa Nostra. Legati alla mafia erano anche gli affittuari e gli intermediari.
Da allora l'acqua verrà quindi rivenduta, consensualmente, ai comuni o ad altri privati a peso d'oro.
Nei piani regolatori degli acquedotti figuravano spesso solo una parte dei pozzi delle province. Non venivano inclusi invece i pozzi più ricchi di acqua gestiti dalle famiglie mafiose.
Le aziende idriche private, nel ricercare nuove falde, hanno appositamente trivellato per anni nelle zone più povere d'acqua, lasciando intatte le zone più ricche, di proprietà dei clan mafiosi. Ragion per cui, oggi, i siciliani, sono costretti ad acquistare l'acqua pubblica dai privati a costi altissimi.
La Regione non sembra curarsi della situazione, essendo troppo impegnata a svendere la gestione idrica delle province ai privati. Il 14 giugno scorso è stata la volta di Palermo, la cui gestione idrica è adesso nelle mani di un'azienda privata che ha sottoscritto con il presidente della provincia Musotto un contratto trentennale, non curante delle proteste dei cittadini. L'acqua agrigentina, trapanese e nissena è già privatizzata. Presto sarà il turno di Siracusa e poi via via le altre. Ha resistito invece la provincia di Ragusa, dove i movimenti ed i comitati contro la privatizzazione dell'acqua sono riusciti a bloccarne la svendita. Il segretario della Fp Cgil Sicilia Teodoro La Monica sta conducendo la lotta per la ripubblicizzazione dell'acqua nell'isola: «Presenteremo una petizione in parlamento. Abbiamo già raccolto 40mila firme. Speriamo di bloccare questo scempio».
Il rischio di infiltrazioni mafiose è alto. Le gare d'appalto sono poco controllate e accaparrarsi la gestione dei servizi diventa un gioco da ragazzi per Cosa Nostra. «Il rischio di infiltrazione mafiosa in Sicilia è forte ogni qualvolta si decide di appaltare un servizio. - continua La Monica - Se poi è un privato, il pericolo è ancora più forte perché più esente ai controlli». Il procuratore nazionale Pietro Grasso faceva notare come la mafia, in Sicilia, riesca ad ottenere il 96% degli appalti dell'isola, grazie soprattutto alla complicità delle amministrazioni.
Cosa Nostra non si limita solo alla gestione dei pozzi, ma è presente anche negli appalti per la costruzione e per la manutenzione delle dighe.
In Sicilia sono state costruite 50 dighe. Tutte realizzate grazie ai finanziamenti pubblici. Furono il prodotto delle lotte dei grandi movimenti di massa contadini degli anni '40. Oggi, di queste 50 dighe, 44 non sono state ancora collaudate o non funzionano correttamente.
L'esempio più eclatante è quello della diga di Ancipa, che dovrebbe assicurare l'erogazione di acqua a Caltanissetta ed Enna. L'Ancipa ha un invaso di 34 milioni di metri cubi d'acqua, ma ne può contenere soltanto 10. La diga è in stato di decomposizione e presenta crepe da tutte le parti. Non è quindi un caso se nelle province di Caltanissetta ed Enna l'acqua viene erogata ogni 10 giorni.
Altro problema è quello delle reti colabrodo. Arrivano a perdere il 50% dell'acqua erogata durante il suo percorso per raggiungere i rubinetti dei siciliani. Calcolare l'acqua persa è poi impossibile, essendo i contatori troppo vecchi o mal funzionanti.
Il termometro, in Sicilia, nelle prossime settimane, potrebbe sfiorare i 43 gradi, prosciugando la pochissima acqua contenuta nelle dighe. Ed ecco allora che entrano in gioco i privati con le loro autobotti a pagamento. Quelli sì che arrivano di corsa.
Francesca, 50 anni, impiegata al comune di Sciacca, una delle città più colpite dall'emergenza idrica, ci ha fatto ormai l'abitudine a vivere senza acqua: «Qui arriva un giorno sì e un giorno no. Siamo costretti a chiamare l'autobotte 4 volte alla settimana. In estate poi la situazione peggiora. - continua Francesca - Non abbiamo una cisterna privata, ma la dividiamo con con tutti i palazzi della zona. Io, per precauzione, conservo sempre dei bidoni pieni di acqua. Non si sa mai...».
Lo scempio privatistico in Sicilia ha un nome: si chiama Galli. È una legge del 1994, peggiorata dalla Regione Sicilia con un decreto del 2001, che favorisce la privatizzazione della gestione idrica, in base a "criteri di efficienza, efficacia e di economicità". All'inizio del 2001, in una sua relazione, l'ex-commissario regionale per le acque ed ex-generale dei carabinieri Roberto Jucci, provò a cambiarla. Jucci propose l'istituzione di un'Authority per la sovrintendenza della questione acqua, che avrebbe gestito unitariamente le dighe, le condotte di adduzione e gli impianti comunali. Peccato che dopo quella relazione Jucci venne spedito a casa e la carica di commissario per le acque passò al presidente della Regione Totò "Vasa-vasa" Cuffaro. Il suo vice era il Re Mida Felice Crosta, manager di successo e attualmente direttore generale dell'Agenzia acque e rifiuti con uno stipendio di 1.500 euro al giorno. Gli esperti ammoniscono che l'estate siciliana sarà più nera del solito. I cittadini già lo avvertono. Mentre Crosta, dall'alto del rivo, in un'intervista al Giornale di Sicilia, rassicura tutti, definendo la situazione "non allarmante".

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