Zone franche, l'Omc regala alle multinazionali altri sussidi
L'Organizzazione Mondiale del Commercio (Omt) ha appena riunito il suo consiglio generale e confermato di volere prorogare i sussidi all'esportazione di alcuni paesi in via di sviluppo, che dovrebbero scadere alla fine del 2007. Paesi come ad esempio il Costa Rica, la Repubblica Dominicana, il Salvador e il Guatemala: casi tutti tristemente noti proprio per come si sono avvalsi di queste agevolazioni fino ad oggi. Negli ultimi vent'anni, i loro governi hanno dato luogo all'espansione delle cosiddette zone franche (variamente denominate: zone di libere esportazione etc.), che sono aree in cui è favorita la produzione per l'export.
Secondo le ultime inchieste, che risalgono allo scorso anno, esistono nel mondo circa 900 zone franche, dove lavorano più di 30 milioni di persone. I settori di produzione sono in massima parte abbigliamento, calzature, giocattoli ed elettronica.
Le zone franche si basano su un elementare scambio di fondo con i governi locali: gli imprenditori stranieri vi arrivano e impiantano le fabbriche, attingendo alla manodopera locale. Le amministrazioni pubbliche garantiscono loro benefici fiscali e facilitazioni, come ad esempio sulle forniture energetiche, sull'utilizzo dei terreni e gli approvvigionamenti idrici. Nella maggior parte dei casi, l'accordo si basa su un altro aspetto che le rende "attraenti" all'investitore straniero: i sindacati non possono mettervi piede e le zone sono esenti dall'applicazione della legislazione del lavoro, con quanto questa comporta sugli orari, i minimi salariali ed il rispetto dei diritti.
I governi di diversi paesi in via di sviluppo hanno chiesto di derogare alla scadenza di fine 2007 e di estendere la fase di "transizione" fino al 2015, sostenendo di volere così trattenere o attirare dei nuovi investitori stranieri per promuovere il progresso del paese. L'esperienza dei decenni appena trascorsi dimostra quanto la realtà sia stata diversa da tutto questo: i paesi interessati da questi processi ad oggi non hanno visto diminuire la loro povertà, ma anzi nascere nuovi problemi di tensione sociale, nessuna industria locale è sorta e, se è vero che si sono creati nuovi posti di lavoro, sono stati essenzialmente a basso salario. Con la stessa, ennesima ipocrisia il comitato tecnico dell'OMT sui sussidi argomenta che la decisione odierna sarebbe stata determinata dal bisogno di questi programmi per quei paesi, che ne necessitano per le loro strategie di sviluppo. Parole tanto false quanto oltraggiose verso quelle lavoratrici e quei lavoratori la cui dignità viene quotidianamente calpestata e mortificata in fabbriche in cui percepiscono dei salari al di sotto del livello di sussistenza, lavorano anche 60 ore a settimana, sono sottoposti ad un continuo ricatto per il mantenimento del posto di lavoro, esposti a mancanza di igiene e di sicurezza e mortificati nel rispetto dei diritti più elementari. Le inchieste sindacali e le cronache giornalistiche sono amaramente piene di tragedie fatte di lavoratrici costrette anche ad assumere farmaci per produrre più capi e più velocemente, di storie di abusi, di violenze e di licenziamenti di fronte ai tentativi di organizzarsi sindacalmente. Proprio per questo, quest'ultima decisione dell'OMT suona come un vero e proprio affronto, perchè faciliterà i governi nel mantenere la libertà di sfruttare il lavoro e reprimere i diritti umani e sindacali.
"Più di un milione di donne e uomini lavorano nelle zone franche e nelle altre zone speciali per l'export dei paesi interessati da quest'ultima estensione normativa dell'OMT, che beneficiano di oltre 50 miliardi di dollari all'anno" ha dichiarato Guy Ryder, segretario generale della Confederazione Sindacale Internazionale, che rappresenta 168 milioni di lavoratori, iscritti a 304 sindacati affiliati in 153 paesi. ". I Governi devono assumersi le loro responsabilità e promuovere e garantire l'esercizio dei diritti sindacali nei loro paesi. E' arrivato il momento di pretenderne il rispetto in tutte le zone di libera esportazione, come diritti fondamentali del lavoro" .
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