Congo: è sciopero alle Nazioni Unite per un salario più decente e migliori condizioni di lavoro
Sono migliaia e fanno parte dello staff della missione di pace delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo. Autisti, cuochi, segretarie, hanno deciso di incrociare le braccia a livello nazionale e a tempo indefinito. Il motivo: un salario più decente. Eh si, quando si parla di condizioni di lavoro succede che piova anche in paradiso. C'è chi favoleggia sugli stipendi garantiti agli operatori delle istituzioni internazionali, che continuano ad assorbire, per personale e funzionanento, una bella fetta degli aiuti messi loro a disposizione dagli Stati membri. Alcune ci spendono fino a un quarto del proprio budget. Ma sembra che a Kinshasa la situazione sia ben diversa.
La Missione di pace Onu in Congo, per gli esperti Monuc, è una macchina di peacekeeping imponente, la più grande in azione nel mondo, oltre che il principale datore di lavoro per la maggior parte della popolazione civile ancora viva. Lavorano per la causa della pace 18mila caschi blu, ma non solo. Ad essi si aggiunge tutto il personale impiegato e di servizio che garantisce, insieme agli operatori umanitari, il funzionamento concreto delle attività e della logistica. E' così che circa 500 tra questi addetti hanno bloccato giovedì scorso, nella capitale del Congo la porta d'ingresso al quartier generale del Monuc, raccontando la propria verità, il volto scomodo della gloriosa missione.
Il loro stipendio, hanno denunciato, è di molto inferiore a quello attribuito agli impiegati stranieri, compresi quelli provenienti da altre nazioni africane. Le Nazioni Unite, secondo la loro versione dei fatti, violano i loro diritti umani e del lavoro. Cantando, facendo vibrare forte fischietti e dandoci dentro con mazze e secchi di latta, hanno cercato di attirare l'attenzione sul fatto che c'è anche chi guadagna appena un dollaro al giorno, senza alcun benefit extra. Non parliamo di autoblù o ristoranti di lusso: reclamano il pagamento delle cure mediche e il rimborso delle spese di trasporto. Per non parlare della maternità o degli straordinari: non hanno diritto a niente di niente. Quelli che stanno meglio, ed hanno mansioni più importanti, portano a casa fino a 650 dollari al mese, ma i loro colleghi stranieri ne mettono in tasca, a parità di livello, almeno 7mila500.
Piu' di 7mila persone del Congo sono impiegate nello staff del Monuc e, al momento, le forze di sicurezza stanno continuando senza difficoltà il proprio lavoro. Solo qualche aereo di trasporto è rimasto a terra mentre è l'amministrazione quotidiana a risentire più duramente dello sciopero che, mentre scriviamo, è ancora in corso. Molti degli operatori locali, infatti, lavorano come autisti, interpreti, tecnici e assetti alle pulizie. In fin dei conti non chiedono la luna: vogliono 40 dollari al giorno di salario minimo, oppure minacciano di continuare il loro sciopero ad oltranza. La protesta sta facendo il giro del Paese, investendo nelle ultime ore anche gli altri uffici dell'Onu. Una protesta che sembra una beffa in un Paese che è grande quanto tutta l'Europa occidentale e che sta lottando per riprendersi dalla guerra che l'ha scossa tra il 1998 e il 2003, e la rende tuttora instabile, ma che, soprattutto, ha ucciso circa 4 milioni di persone, stroncate per la maggior parte da fame e malattie.
"Da quando è stato creato il Monuc - ha denunciato Guershom Nondo, presidente della delegazione sindacale dei lavoratori della missione in Congo - nessun congolese ha mai ricevuto la piu' piccola tra le promozioni e il nostro salario è rimasto sempre identico". "I nostri colleghi espatriati ci trattano con disprezzo - ha denunciato un lavoratore, che non ha voluto dire il suo nome per paura delle ritorsioni - alcuni cercano anche di impedirci di utilizzare bagni e spogliatoi riservati al personale internazionale". Il Monuc ha espresso ottimismo: il confronto con i lavoratori porterà, senza dubbio, ad una soluzione. Anche se ha precisato che molti dei problemi sollevati, come quelli delle retribuzioni, debbono essere risolti a New York, nel quartier generale Onu.
Per sinistra combinazione, in queste stesse ore nel Paese è tornata la paura. Gli ex ribelli Tutsi fedeli al generale Laurent Nkunda hanno accusato il Governo di ‘mischiare le truppe' con i loro nemici, gli ex militari Hutu delle Democratic Forces for the Liberation of Rwanda (FDLR), e hanno rotto unilateralmente il cessate il fuoco. La missione di pace Monuc, proprio in queste ore, ha dovuto rinforzare le propria presenza nel Nord Kivu, dove la tensione sta salendo. Le attività di interposizione proseguono, segnale del fatto che la responsabilità dei lavoratori prevale sulla loro rabbia. Peccato che, prima che imbracciassero pentole e fischietti, nessuno, alle Nazioni Unite, si fosse accorto di quanto fossero importanti.
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