Hamburger assassino. Ritirati 60 milioni di pezzi

7 ottobre 2007
Marco d'Eramo
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

In Europa non se n'è accorto nessuno, ma l'argomento vero che da più di una settimana appassiona, et pour cause, le statunitensi, è la vicenda delle 10.000 (per l'esattezza 9.843) tonnellate di hamburger congelato che sono state ritirate dalla circolazione perché contaminate del virus E Coli O157:H7. Almeno 30 persone si sono ammalate per aver mangiato hamburger della stessa partita e 10 di loro sono state ospedalizzate. Il 25 settembre erano state ritirate dalla circolazione solo (!!) 160 tonnellate, ma sabato 29 si è arrivati a 21,7 milioni di libbre, cioè la straordinaria cifra di più di 60 milioni di confezioni di hamburger. È il secondo più grande ritiro di carne congelata della storia americana, nei 67 anni in cui sono stati effettuati controlli, dopo che nel 1997 erano stati richiamati 11 milioni 340.000 chili di hamburger. La carne era stata lavorata negli stabilimenti della Topps Meat Co. di Elizabeth nel New Jersey, compagnia che ora si avvia al fallimento. Il tema della carne infetta è ricorrente, anzi endemico negli Usa dove ogni anno vi sono infatti 4 milioni di casi d'intossicazione alimentare dovuta alla carne e si registrano 6.000 infezioni di E Coli 0157:H7, un virus che può risultare letale. Il bellissimo libro di Eric Schlosser, Fast Food Nation (tradotto in italiano presso le edizioni Net), spiega in modo esauriente perché l'industria della carne Usa non può non produrre carne infetta. Ogni anno nei 9.000 impianti degli Stati Uniti vengono macellati e trat-tati («processed») 4 miliardi di polli e 129 milioni di quadrupedi (33 milioni di buoi, 88 milioni di maiali, un milione e mezzo di vitelli, 5,8 di ovini). È il meat-packing, la «confezione della carne». Un'industria colossale che plasma il continente americano ed è alla base del suo mito più leggendario, i cowboy; un'industria di cui gli statunitensi si accorgono, e per cui si allarmano, solo di fronte a casi clamorosi di avvelenamento.
Per arrivare a queste cifre astronomiche l'industria deve ricorrere a tutte le economie possibili: i bovini devono crescere in 18 mesi invece che in tre anni, devono essere nutriti a mais invece che a erba: ma lo stomaco dei bovini nutriti a mais produce molta più acidità di quello dei bovini nutriti a erba, perciò i bovini si ammalano, quindi devono essere curati con 100 grammi di antibiotici al giorno, poi la macellazione deve essere rapidissima e quindi i coltelli finiscono per passare dagli intestini con le loro feci, ai tagli di carne che noi mangeremo. Le feci dei bovini hanno sempre contenuto l'E Coli, ma la minore acidità costituiva una barriera biologica per cui, arrivato nel molto più acido stomaco umano, l'E Coli moriva. Ora non è più così. Alla frenesia dell'industria si è aggiunta la deregulation reaganiana che ha tagliato il numero degli ispettori. L'indignazione delle «massaie» (qui le confezioni surgelate possono restare nel congelatore per mesi e mesi) è divampata quando si è saputo che il primo ricovero (una diciottenne della Pensylvania) per l'E Coli nella carne della Topps Meat era avvenuto già il 5 luglio e che a tutto il 5 settembre per la stessa ragione erano state ricoverate persone in Connecticut, Maine, Florida, Indiana, Ohio e New York, e che ciò nonostante il ministero dell'agricoltura ha aspettato altri 20 giorni prima di cominciare a ordinare il ritiro. La beffa finale di questa vicenda è che, mentre 10 cittadini venivano ospedalizzati e 60 milioni di hamburger venivano ritirati dalla circolazione, il Congresso degli Stati Uniti si apprestava a varare una legge nelle cui pieghe era celato un codicillo che rendeva ancora più indulgente il sistema d'ispezione.

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