Conferenza ministri Welfare Ue a Venezia

La proposta del governo italiano sulla responsabilità sociale delle imprese: un'altra occasione persa, secondo la campagna "Meno beneficenza, più diritti"

La proposta illustrata oggi dal governo italiano sulla responsabilità
sociale delle imprese presenta numerosi elementi di incertezza e configura
meccanismi decisionali che la rendono largamente inaccettabile. È quanto
afferma la Campagna "Meno beneficenza, più diritti", promossa da 14
associazioni italiane, in rappresentanza di circa tre milioni di iscritti.
22 novembre 2003
Ufficio Stampa Amnesty International

Nella proposta del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Roberto
Maroni, viene considerato come quadro di riferimento il Libro Verde della
Commissione Europea, trascurando volutamente le numerose prese di posizione
del Parlamento Europeo e le recenti Norme delle Nazioni Unite sulla
responsabilità delle imprese nei confronti dei diritti umani. La Campagna
"Meno beneficenza, più diritti" ribadisce a questo proposito che la
responsabilità sociale consiste nell'assunzione, da parte delle imprese, di
tutte le conseguenze della propria attività sia sul piano economico che su
quello ambientale e sociale, lungo l'intera catena di creazione del valore,
tanto nel loro paese quanto all'estero.

Il Progetto italiano, al contrario, limita il concetto di responsabilità
sociale delle imprese ai ristretti confini nazionali, escludendo centinaia
di milioni di persone e intere grandi comunità che lavorano per imprese
italiane ed europee e che spesso subiscono gravi abusi dei loro diritti, in
favore di una visione miope e utilitaristica, in cui la beneficenza viene
confusa con la responsabilità e dove la sola convenienza economica sembra
essere la molla che dovrebbe spingere le imprese ad assumere comportamenti
meno discutibili.

Il documento presentato questa mattina sottolinea, a pagina 34, come il
Progetto sia frutto "di un'ampia riflessione avviata all'inizio del 2002" e
si proponga "di avviare un nuovo confronto esteso a tutti gli stakeholder
interessati a livello nazionale ed europeo". La Campagna "Meno beneficenza,
più diritti" osserva che la "ampia riflessione" di cui parla il governo ha
completamente trascurato la consultazione di associazioni, enti e anche
gruppi di imprese, che avrebbero potuto dare un importante contributo
all'elaborazione del Progetto. Dopo aver rifiutato questo confronto, sembra
quanto meno paradossale che venga ora presentato un Progetto definito nei
minimi termini e su questo si auspichi un confronto, che è stato negato
nella prima e più importante fase.

L'autocertificazione effettuata dalle imprese attraverso un "Social
statement", viene affidata secondo la proposta governativa a un "CSR Forum"
di cui non è specificata la composizione; contemporaneamente, viene
comunicata l'avvenuta sottoscrizione di un "protocollo d'intesa" con
Unioncamere, "per la collaborazione in materia di promozione della CSR (ad
esempio per le funzioni di raccolta dei Social statement, per l'attività di
supporto e monitoraggio delle imprese)". Di fatto, quindi, funzioni
importanti di analisi e verifica vengono affidate a organismi che non
possono essere definiti neutrali.

Con questo Progetto, le aziende (tramite la cosiddetta "seconda fase")
vengono anche invitate a effettuare dei contributi allo Stato, poiché essi
di fatto sono gestiti tramite "un Fondo SC nell'ambito del Bilancio
statale" a supporto di "priorità di intervento sociale" contenute nel Piano
di Azione Nazionale e individuate dalla Conferenza Unificata - aggiungendo
anche "Še dalle Organizzazioni Non Governative", ciò che pare alla Campagna
"Meno beneficenza, più diritti" un contentino di poco conto.

Il Progetto fa anche riferimento a una serie di parametri, i "Social
Performance Indicators", elaborati dall'Università Bocconi su un campione
di sole 15 aziende, i quali sembrano costituire un ennesimo sistema di
riferimenti che ignora - anche se non contrasta - i sistemi già esistenti,
come i parametri del Parlamento Europeo e le Norme delle Nazioni Unite già
richiamate (SA 8000, AA 1000, GRI): aggiungere parametri a parametri non
farà altro che accrescere la confusione di imprese e consumatori in un
panorama già fortemente inquinato da interpretazioni volontaristiche di
comodo.

La Campagna "Meno beneficenza, più diritti" esprime ancora forti
perplessità sul ruolo che il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
intende attribuire a non meglio identificati "soggetti autorizzati a
gestire i progetti nel sociale", soggetti di cui non si conoscono le
attribuzioni e i reali poteri, così come sulla "destinazione del TFR nei
Fondi pensione, tra i quali quelli etici". Chi deciderà quali Fondi sono
veramente "etici"?

Infine, la Campagna "Meno beneficenza, più diritti" valuta positivamente il
richiamo all'etichettatura sociale del Commercio equo e solidale,
menzionato tra gli indicatori sociali, anche se sottolinea che esso viene
associato ai soli criteri di "qualità, impatto ambientale e sicurezza dei
prodotti", escludendo quindi il forte contenuto solidaristico e di
responsabilità sociale che ha caratterizzato il Commercio equo e solidale
sin dalla propria nascita.

La Campagna "Meno beneficenza, più diritti" esprime in conclusione la forte
insoddisfazione delle associazioni che la compongono, per un'occasione che
l'Italia ha perso per dare un contributo allo sviluppo in senso
migliorativo della discussione in corso sul tema della responsabilità
sociale delle imprese nel nostro paese, in Europa e nel mondo.

Note: La campagna "Meno beneficenza più diritti" è composta da:
Amnesty International Coord. Lombardo nord-sud ROBA dell'altro Mondo
ARCI CTM/Altromercato Save the Children Italia
Azione Aiuto Legambiente TransFair Italia
Banca Etica Libera Unimondo
Cittadinanzattiva Mani Tese

La Campagna "Meno beneficenza, più diritti" è on line su www.piudiritti.it.
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