Commercio equo : dal locale al globale
Il seminario dal titolo " conflitti in Africa e responsabilità europee "
ha visto la partecipazione di un pubblico attento e preparato. Abbiamo analizzato
le guerre nella regione dei grandi laghi e in Costa d'Avorio e ne abbiamo
denunciato la causa prima, l'interesse occidentale al saccheggio delle materie
prime presenti in abbondanza nel continente.
Dopo qualche minuto di lavoro in piccoli gruppi, abbiamo individuato alcune
azioni da proporre in Europa per la sensibilizzazione della gente alle nostre
responsabilità e per una pressione politica per la risoluzione dei conflitti.
Tra le proposte, in ordine sparso, una campagna di boicottaggio delle aziende
transnazionali e multinazionali implicate nell'utilizzo delle materie prime
oggetto di saccheggio, soprattutto minerali e petrolio, e una campagna di
lobbing per rafforzare il potere dei contingenti ONU, gli unici in grado
di proteggere una popolazione vessata e spesso ridotta allo stremo .
I temi trattati nel seminario " Commercio equo : dal locale al globale ",
organizzato da Artisans du Monde, fanno parte del bagaglio degli argomenti
frequentemente dibattuti all'interno delle nostre organizzazioni. Tuttavia,
la presenza di Victor, un produttore congolese, ha dato un respiro più ampio
e innovativo al dibattito, aiutando a mettere bene a fuoco quelle che sono
le più vistose contraddizioni del commercio equo inteso come strumento di
cooperazione internazionale.
I problemi messi in luce sono essenzialmente tre :
- la possibilità che il commercio equo crei disuguaglianze tra i
produttori, separando in modo marcato coloro che possono avere accesso ai
canali del commercio equo e coloro che ne restano fuori ;
- la tipologia dei prodotti commerciati : si tratta essenzialmente
di prodotti di piantagione, che non fanno concorrenza ai produttori del
Nord, già avvantaggiati dalle sovvenzioni statali. Inoltre, concentrarsi
sulla produzione di prodotti di piantagione rende difficile lavorare per
l'effettivo conseguimento della sovranità alimentare per i Paesi del Sud;
- l'effettiva incidenza del commercio equo: si tratta ancora di una
realtà di nicchia, che non cambia le modalità di produzione e scambio in
modo sostanziale.
Queste considerazioni hanno aperto un dibattito e sollecitato riflessioni
interessanti da parte degli altri relatori: in particolare, rispetto alla
possibilità di incidenza, è stato avanzato il suggerimento che FLO si adoperi
maggiormente per unificare tutto il movimento del commercio equo sotto regole
comuni , in modo che acquisti visibilità e diventi uno strumento di pressione
sul WTO e su altri organismi internazionali (FAO, UNESCO ecc).
E' quindi precisa responsabilità del commercio equo puntare ad avere un
impatto concreto, in modo da poter sostenere il cammino dei produttori del
Sud verso l'autonomia, e in modo da poter diffondere, nel Nord, una maggiore
coscienza e senso di responsabilità nei consumatori.
La via individuata per poter arrivare ad avere una maggiore incisività è
quella dell'apertura ad una sempre maggiore professionalizzazione, e quindi
dello sviluppo delle organizzazioni di commercio equo come imprese sociali,
in grado di promuovere campagne e attività politiche.
Rispetto alle capacità di pressione, è stata sottolineata la necessità di
migliorare, a livello europeo, l'individuazione dei contenuti delle campagne
e il lavoro di rete. Un problema ulteriore è stato invece individuato nel
linguaggio adoperato dal movimento, troppo spesso autoreferenziale e oscuro
per un pubblico di inesperti.
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