Tod's e Bulgari i cattivi del lusso
Tod's ultimo, Bulgari penultimo. Non fanno una bella figura, i marchi del lusso italiano, nella classifica dei «ricchi ma buoni» redatta dal Rapporto del Wwf inglese pubblicato ieri. Il Rapporto, intitolato «Deeper luxury», passa al microscopio i dieci maggiori brand mondiali del lusso, per vagliare il tasso della loro eticità. E' un esercizio abbbastanza diffuso da anni, soprattutto nel mondo angolassone del non profit, quello di attribuire alle società o ai prodotti rating «etici», esattamente come si dà il rating sull'affidabilità del credito opure sulla redditività di borsa. Ma finora mancava un'applicazione specifica al settore della moda e del lusso: prprio il settore, scrivono in premessa gli estensori del Rapporto, in cui invece tali pagelle possono avere una grande efficacia. E questo perché, scrive il Wwf-Uk, l'élite globale super-benestante che compra questi beni come «simbolo di successo» è sensibile al tema: vuole godere e ostentare tali simboli di splendore, ma non in mezzo allo squallore. Insomma, vuole liberarsi dei diamanti sporchi come le star di Hollywwod dopo la denuncia del film di Di Caprio.
Dunque, il rating «etico» del lusso può mordere, e indurre i grandi marchi a comportamenti migliori, è la filosoia del Rapporto. Che poi passa ad analizzare le dieci maggiori case del lusso mondiale, quelle per cui fanno follie i ricchissimi ameriani e cinesi, italiani e russi, ma i cui prodotti - magari anche solo un portachiavi o un paio di mutande - si diffondono a cascata in una sorta di «democratizzazione del lusso». Il rating del Wwf si basa su due gruppi di indicatori: quelli oggettivi, assegnati da valutatori indipendenti in base al rispetto di parametri di sostenibilità sociale, ambientale e di trasparenza della governance; e quelli soggettivi, assegnati in base alla percezione che l'opinione pubblica ha dell'operato delle aziende in questione. Quanto ai primi, ci si rifà alle pagelle sfornate dai valutatori etici di «Eiris» (Ethical Investment Research Service), che indagano sul comportamento delle società rispetto alla protezione dell'ambiente, al rispetto dei diritti umani, alla trasparenza della governance, alle relazioni con gli stakeholder, e traggono informazioni dalle stesse imprese, attraverso bilanci, rapporti ufficiali e risposte delle società ai loro questionari. L'opinione pubblica (articoli, campagne di stampa aventi ad oggetto le condizioni di lavoro, l'impatto ambientale delle produzioni, i rapporti con le istituzioni locali, i prodotti) è invece monitorata e riassunta dai rapporti del gruppo Covalence.
Tutto questo materiale viene tradotto in numeri dagli estensori del Rapporto «Deeper Luxury»: la «A+», il voto massino, si prende dai 90 ai 100 punti, la «F», il minimo, da 0 a 49. Ne viene fuori un quadro non esaltante della situazione: nessuna «A» e nessuna «B», i più bravi della classe prende un «C+» (poco più della sufficienza, se fossimo a scuola), corrispondente a 67-69 punti. Si piazzano in testa, con «C+», L'Oréal (la più grande compagnia cosmetica mondiale, controlla Lancome, Helena Rubintesin, Kiehl's), Hermés e Lvmh (il conglomerato Moet et Chandon, Hennessy e Louis Vuitton, raccoglie più di cinquanta marchi del lusso), tutti e tre francesi. Segue, con una semplice «C», l'americana Coach (ramo pelli, sempre super-lusso). Magra figura della blasonata Tiffany, con una «D+», seguita da altri tre marchi a parimerito con una «D»: Ppr (francese, ha nella pancia tra gli altri Gucci, Yves Saint Laurent, Sergio Rossi, Bottega Veneta...), e le svizzere Richemont e Swatch (non si pensi agli orologi di plastica: il gruppo controlla Breguet, Blancpain, Omega, Rado, Longines, etc.).
Arriviamo alle dolenti note. Le italiane Bulgari e Tod's chiudono la classifica, con una «F». 37,6 punti per la compagnia dei gioielli, 34,9 per le scarpe del progressista Diego Della Valle. I loro voti sono bassi sia nella reputazione (misurata da Covalence: 20 per Bulgari, 25 per Tod's), sia nell'indice Eiris (17,6 per bulgari, 9,9 per Tod's). Nel complesso, il risultato degli italiani è magro (se si esclude Gucci, valutata però dentro il gruppo Ppr: potrebbe aver contribuito a tirare giù il punteggio, rispetto agli altri francesi). Il che potrebbe esser dovuto, oltre che a un oggettivo minore impegno etico-sociale, anche alla scarsità della diffusione degli strumenti della «Responsabilità sociale di impresa» ormai diffusi negli altri ambienti capitalistici, spesso in modo più formale che reale (presenza di codici etici, bilanci «verdi», voci di budget dedicate alla beneficienza). Il Rapporto è stato stilato nel 2007, e fa riferimento ai dati del 2006: molte delle compagnie citate, interpellate ieri dal Financial Times on line, hanno annunciato di aver attuato già dei miglioramenti nel frattempo. Tod's, interpellata dal Ft, ha rifiutato di fare commenti.
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