Coca Cola e sai cosa bevi
Messa sotto accusa oramai da anni dai dietologi che la considerano, al pari delle altre bevande zuccherine, tra le responsabili dell'obesità, che colpisce nei paesi economicamente avanzati una fetta sempre più vasta di popolazione, la Coca Cola ha dovuto rivedere in parte le proprie strategie di marketing.
Negli Stati Uniti, dove il problema dell'obesità è particolarmente sentito e si avvicina a rapidi passi a diventare la prima causa della mortalità, Coca Cola -e Pepsi- hanno pensato bene di ridurre il formato delle proprie confezioni. Non solo, ma l'ondata salutista ha convinto la multinazionale di Atlanta a offrire anche versioni "light" delle famose bollicine e a puntare su quest'ultime per le prossime campagne pubblicitarie. Il tutto nella convinzione che la versione ridotta potesse essere particolarmente apprezzata dai consumatori "light", convinti che mini porzioni permettano loro di mantenere o riconquistare la linea perduta. Tutto ciò, ovviamente, lasciando invariato il prezzo delle bevande.
Se questa strategia pare essere sufficiente nel paese a stelle e strisce, non lo è stata in altri. In Inghilterra ad esempio è in atto una vera e propria campagna di sensibilizzazione contro il "grasso superfluo" che vede coinvolti sia le istituzioni sia i nutrizionisti. Gli amministratori di città come Liverpool hanno avviato massicce campagne informative che mettono in guardia contro i cibi "ingrassanti" invitando la popolazione ad abbandonare patatine fritte, dolci e l'immancabile Coca Cola. Per adeguarsi la Coca Cola ha deciso di rimuovere la pubblicità dei suoi prodotti dai circa 4.000 distributori automatici che si trovano nelle scuole superiori britanniche, di sostituire il proprio logo sui pannelli esterni dei distributori con immagini di cartoni animati e di cambiare il contenuto dei distributori, dando maggior rilevanza alle bevande non gasate a base di frutta e acqua minerale. Ma anche per la vendita di acqua minerale la Coca Cola non se la passa molto bene nel Regno Unito, da quando i giornali inglesi hanno dato la dovuta enfasi alla notizia che la Dasani, acqua con la quale la Coca Cola sta inserendosi nel mercato dell'acqua minerale, riempie le sue bottiglie direttamente dall'acquedotto dell'area di Sidcup, a sudest di Londra, rivendendola poi mille volte più cara.
Ma in fondo questo è niente se ci preoccupiamo di sapere come la Coca Cola si comporta nei paesi in via di sviluppo. In India, ad esempio, è dovuto intervenire direttamente il Tribunale dello stato del Kerala per ordinare a un impianto di imbottigliamento della Coca Cola di fermare l'estrazione di acqua dalla falda acquifera locale. I governi locali infatti accusano l'impianto di sovrasfruttare le risorse idriche della zona estraendo circa 1.5 milioni di litri di acqua al giorno, causando la riduzione delle risorse idriche disponibili nell'intera area. Qui l'atteggiamento della multinazionale delle bollicine è meno accondiscendente che nei paesi del Nord del mondo ed è decisa a non rinunciare a una sola goccia d'acqua.
Ma in fondo questo è niente se prendiamo in considerazione che cosa c'è dentro le bottigliette. La Commissione di inchiesta del Parlamento Federale indiano ha stabilito che le bevande gasate commercializzate dalla Coca Cola -e dall'antagonista di profitto Pepsi- contengono residui di pesticidi anche 100 volte superiori ai limiti ammessi, ad esempio, nell'Unione Europea.
L'inchiesta aveva preso spunto dalla denuncia di una organizzazione ambientalista di New Delhi -il Centre for Science and Environment- che lo scorso agosto aveva ritrovato residui di sostanze assai nocive, come lindano, ddt e malathion. Queste sostanze, da tempo bandite dai mercati dei paesi ricchi ma ancora comunemente usate in India come insetticidi agricoli o domestici, sono state ritrovare in 12 bibite gassate messe in commercio da Coca Cola e Pepsi. La Commissione di inchiesta del Parlamento Federale non ha alcun potere sanzionatorio e non può imporne il ritiro dal mercato indiano. Anche in questo caso la Coca Cola non ha avuto un atteggiamento conciliante, rifiutando di ammettere le proprie responsabilità e continuando a mettere sul mercato indiano bottigliette e lattine velenose.
Ma in fondo questo è niente se pensiamo alle accuse rivolte alla Coca Cola per il suo comportamento in Colombia. In questo caso le denunce sono pesantissime: l'assassinio di decine di sindacalisti negli ultimi dieci anni, la morte di nove lavoratori colombiani, l'allontanamento del 60% degli associati al sindacato, un clima di intimidazione costruito attraverso minacce di morte, attentati contro le sedi sindacali, montature giudiziarie. Tutto ciò per potere pagare stipendi da 80 euro mensili, contro i 400 che devono essere dati a chi ha una tessera sindacale. La Coca Cola si è sempre difesa affermando di non avere nulla a che fare con questi fatti. Tuttavia il sindacato colombiano Sinaltrainal ha lanciato appello alla solidarietà internazionale e chiede a tutti di boicottare i prodotti Coca Cola per ottenere:
- la fine della repressione;
- il risarcimento integrale delle famiglie delle vittime;
- la stesura e il rispetto di un codice di condotta che garantisca l'attività sindacale e condizioni giuste per tutti i lavoratori.
Una Commissione di Inchiesta statunitense e concepita per verificare che la Coca Cola sia rispettosa delle norme di buon comportamento cittadino non solo negli Stati Uniti ma anche a nel mercato mondiale ha, nel gennaio di quest'anno, affermato che: "I nostri risultati preliminari segnalano una tendenza negativa: gli attivisti del sindacato sono stati perseguitati, torturati e in alcuni casi uccisi per l'esercizio dei diritti umani riconosciuti internazionalmente. La correlazione tra il profitto e la violazione dei diritti umani in Colombia è profonda, molto profonda ed esige spiegazioni".
In attesa che giungano le spiegazioni richieste e che questa multinazionale sveli qualche segreto forse è meglio smettere di bere Coca Cola o Fanta, Sprite, Nestea, Kinley, Beverly, Powerade, Ice Lemon e quant'altro. Il motivo lo lascio scegliere a voi.
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