Introduzione all'agricoltura naturale
Nei giorni che hanno preceduto la stesura di questo articolo, ho riflettuto a lungo su una visibile contraddizione del nostro territorio: ettari ed ettari di terreno abbandonato.
È stata questa semplice visione ad avermi fatto comprendere l’esigenza di tornare a parlare di agricoltura e di farlo non nei termini consuetudinari, attraverso quella retorica che quasi mira a far perdere interesse per il mondo agricolo; mi capita infatti molto spesso di sentirmi ripetere: “il mestiere del contadino è duro; la zappa vuole l’uomo morto; svegliarsi alle 5 e andare a coltivare la terra per il resto della giornata è faticosissimo…”
Discorsi del genere spegnerebbero l’entusiasmo di chiunque volesse incominciare ad interessarsi di agricoltura! Per non parlare dei ritorni economici: “Coltivare la terra non conviene per niente!”
Insomma la campagna è demonizzata e il lavoro agricolo viene concepito come un inutile spreco di risorse.
Mi chiedo, senza necessariamente scadere in “teorie del complotto”, se questa non sia una macchinazione ordita dalle multinazionali per sottomettere la popolazione all’avara civiltà del centro commerciale.
Per come vanno le cose oggi, il mio naturale spirito critico di ventenne mi porta sempre di più a credere che sia tutto parte di una sceneggiatura più grande degli attori principali sul palcoscenico dell’economia. Ma questa ovviamente è una mia opinione.
Il dato di fatto oggettivo è che esiste la necessità di sovvertire queste strutture: mai come in questo periodo storico c’è bisogno di una presa di coscienza collettiva, una spinta rivoluzionaria, guidata dalla “rabbia gentile” di chi non vuole essere più complice del disastro, ma artefice del cambiamento.
Due sono i più grandi difetti della società odierna: l’ipocrisia e l’indifferenza. Io sono figlio di una terra devastata dall’inquinamento, che non è solo industriale ma anche sociale. L’inquinamento è prodotto soprattutto dal nostro mondo interiore, dal nostro modo di percepire le cose, di dedicarci all’inseguimento del futile, ignorando l’importante, sciorinando discorsi sull’ecologia e scadendo puntualmente in atteggiamenti anti-ecologici nel vivere quotidiano. Per questo dico che i colpevoli non sono solo i sedicenti signori dell’industria, ma anche e soprattutto noi cittadini. È una questione di scelta, e noi tarantini dovremmo scegliere di diventare guardiani del nostro territorio e non usurpatori (per altro consapevoli).
La sinergia
L’uomo moderno ha sicuramente dimenticato cosa voglia dire vivere secondo natura. Il boom economico ci ha spinti infatti verso la strada dell’alienazione dalla Natura. Pensate a quanta sicurezza ostentiamo nella nostra quotidianità e quanta manipolazione invece imbrigli ogni singolo minuto della nostra vita. L’esempio classico è il supermercato: la prima necessità dell’uomo è quella di nutrirsi e i ritmi frenetici della nostra epoca ci portano necessariamente ad approvvigionarci in questi grandi scatoloni alimentari. Eppure ognuno di noi sente parlare continuamente di inquinamento attraverso i mezzi di informazione. Ognuno di noi è consapevole che quel prodotto che consumiamo nasce in un terreno potenzialmente compromesso e che nessun bollino potrà mai darci la sicurezza assoluta di cosa stiamo effettivamente ingerendo. Eppure non possiamo farne a meno! Questa è l’ironia nera di chi controlla il settore alimentare! Non c’è bisogno di alzare grandi polveroni, l’uomo deve mangiare e siccome non ha tempo per procurarsi il cibo in altra maniera, deve per forza dipendere da quello che gli viene offerto.
Poi penso a quei terreni incolti, che nelle mie passeggiate ho visto estendersi per chilometri…e allora il sorriso lascia l’amaro in bocca.
Pensiamo per un attimo a quanto sia fragile questo sistema: cosa accadrebbe se un bel giorno i supermercati dovessero smettere di ricevere approvvigionamenti? Non è difficile da immaginare. Però non accade e quindi per adesso va bene così! Ci penseremo dopo! È questo l’errore fatale. È questo lo stesso errore che ha causato migliaia di morti per tumore nella nostra città. L’indifferenza. Il dire “abbiamo di meglio a cui pensare”. In America (che di tante malefatte è autrice) c’è un detto “sputare sul dollaro, per baciare il centesimo”, ed è esattamente ciò che noi facciamo ogni giorno! Ci dedichiamo al peggio, tralasciando il meglio! Prima della nascita dello stabilimento siderurgico (ed esiste un video interessantissimo su YouTube che mostra la genesi del mostro) quei terreni erano tutti coltivati; “C’era la fame, ma non mancava mai niente, in qualche modo si era tutti più felici, più umili, più puliti”. Queste erano le parole della mia nonna. Adesso tutti abbiamo più del necessario e ci lamentiamo, perché la materialità non è mai arricchente. Ma soprattutto ci siamo dimenticati cosa significhi produrre cibo…cibo vero! E sprezzanti rivolgiamo l’occhio al campo e diciamolo pure…anche al contadino, ritenendo il tutto un mondo oscuro, relegato all’arcaico e a logiche incomprensibili. Sembra quasi che l’uomo sia riuscito a rientrare in sinergia con l’artificiale piuttosto che con il naturale. Ma questa perdita di interesse non è soltanto figlia del confortevole prodotto moderno, ma dell’agricoltura stessa! Per usare un eufemismo è come se il contadino si fosse dato la zappa sui piedi da solo!
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un grande progresso della tecnica, delle biotecnologie, dell’industria fitochimica. Gli agricoltori si sono affidati completamente a questi ritrovati e hanno progressivamente perso la loro attitudine di scienziati, sensibili ai lenti moti del mondo naturale e alle sue necessità. Il contadino sostanzialmente non è più libero ma è diventato dipendente da una certa industria.
Fukuoka e l'agricoltura del "lasciar fare".
Nel 1975 venne pubblicato in Giappone, dalla casa editrice Hakujusha, un libro che sarebbe divenuto in seguito il manifesto dell’agricoltura naturale: “La rivoluzione del filo di paglia”. L’autore, ex ricercatore presso la dogana di Yokohama, dopo aver abbandonato l’attività di microbiologo, dedicò il restante tempo della sua vita alla (ri)scoperta di un tipo di agricoltura che nella sua semplicità divenne rivoluzionaria. Masanobu Fukuoka , questo il suo nome, guadagnò presto fama internazionale e la
sua fattoria vicina ad un piccolo villaggio sull’isola di Shikoku nel Giappone meridionale, divenne polo di attrazione per i tanti che, già all’epoca, cercavano un’alternativa all’uso indiscriminato e massiccio di fitofarmaci e di metodologie agricole invasive.
Non si può dire che questo carismatico contadino non ci avesse visto lungo sul futuro degenerativo della moderna agricoltura; chiunque si avventurasse nella lettura dei suoi scritti, sarebbe sicuramente colpito dall’estrema attualità dei dati riportati, nonostante siano passati più di trent’anni dalla loro prima pubblicazione!
I capisaldi dell’agricoltura naturale sono quattro:
- Non arare.
- Non fertilizzare.
- Non sarchiare.
- Non usare pesticidi.
Un contadino esperto nelle pratiche agricole tradizionali, storcerebbe immediatamente il naso e direbbe: “Praticamente non bisogna fare nulla!”
In effetti l’agricoltura naturale viene anche definita l’agricoltura del “non fare”: Fukuoka era fermamente convinto (e lo ha dimostrato praticando) che l’intervento umano in agricoltura, non facesse altro che sconvolgere i delicati equilibri naturali. Sosteneva inoltre che, dall’invenzione dell’aratro fino ai tempi moderni, l’agricoltura non avesse conosciuto nessuna sostanziale rivoluzione (ecco perché il titolo provocatorio del libro). Certo, l’industria è progredita enormemente negli ultimi 50 anni e nuove metodologie agricole (si pensi per esempio all’idroponica) si sono affacciate sulla scena dell’economia. Ma con quale risultato?
Lo stile di vita che conduceva Fukuoka era di una semplicità assoluta: egli si privò totalmente dei comfort moderni, dopo aver scelto la routine rustica della campagna. Non era tanto il raccolto che gli interessava, ma lo stato d’animo dell’agricoltore al termine del ciclo di una coltivazione. L’agricoltura moderna, con il suo lavoro massacrante, con le sue logiche di mercato, con l’uso massiccio della chimica, non aveva fatto altro che allontanare il contadino dalla componente “olistica” della pratica agricola. Tutto si perde in scadenze, in ansie e frustrazioni per il raccolto e lo smercio del prodotto, ma a conti fatti cosa rimane?
Fukuoka elaborò il suo sistema attraverso la coltivazione dei cereali, suscitando la curiosità ma anche le invidie dei suoi vicini agricoltori che si vedevano superare in termini di resa agricola, da un vecchietto che spargeva a mano palline di argilla con all’interno semi ed eseguiva la copertura del terreno (come i manti erbosi che ricoprono le praterie), sempre manualmente, con la paglia da grano che normalmente veniva ammucchiata e lasciata decomporsi. Tutto questo senza preoccuparsi minimamente dei trattamenti chimici:
“La natura si auto-gestisce. Il terreno arato si impoverisce sempre più, il suolo si degrada a causa della sua coltivazione, mentre se si lascia fare, la terra diventa fertile da sola. Sono i piccoli animali, gli insetti, i microrganismi, le radici delle piante che coltivano la terra invece dell’uomo. Il grano, le verdure, le varie leguminose lavorano la terra con le loro radici che a volte raggiungono la profondità di un metro e anche oltre. La terra si ara, si lavora, si coltiva da sola. Il modo di coltivare della natura è molto più efficace di quello dell’agricoltore. La terra che coltivo non è stata arata da trent’anni, ed è molto più fertile di quella dei contadini miei vicini, che usano prodotti chimici. Io non ho mai fatto uso di quelle sostanze. Spesso vengono dei professori universitari, dei ricercatori e si domandano come mai le coltivazioni non soffrono senza questi prodotti chimici. Il fatto è che si forma un equilibrio ecologico per il quale nessuno degli insetti che compare, anche nuovi, riesce a raggiungere lo stadio nocivo per le piante. da trent’anni non ho usato neanche fertilizzanti chimici, ma al loro posto ci sono la paglia e il trifoglio che fertilizzano la terra al posto dei fertilizzanti chimici. Le erbacce si possono eliminare da sole, cioè facendo il diserbo tramite l’impiego di altre erbe.”
Senza dubbio l’agricoltura proposta da Fukuoka è difficile da comprendere, specialmente per noi Europei, che diamo tutto per scontato, che continuiamo a credere nel materialismo e nell’efficacia del progresso industriale, che non ci sogneremmo mai di criticare l’intelletto analitico e discriminante, che tante sicurezze ha prodotto.
Negli anni 80, Fukuoka venne invitato a tenere convegni anche in Italia.
Il viaggio di Fukuoka cominciò da Firenze e proseguì poi a Reggio Emilia, Pavia e Milano, per concludersi a Preganziol vicino Treviso. Le sue teorie vennero accolte calorosamente da quel movimento universitario aperto a nuovi orizzonti, mentre venne aspramente criticato dai tecnici già avviati alla professione.
Nelle “Lezioni italiane”, altro scritto che raccoglie una serie di conversazioni fra Fukuoka e i suoi allievi del Bel Paese, il contadino spiegava le sue impressioni circa il patrimonio agro-forestale italiano:
nelle sue passeggiate fra le colline toscane, notò che il paesaggio non era originale della zona e la terra, secca e crepata, era estremamente depauperata.
Il metodo dell’agricoltura naturale, data la degenerazione pedologica dei colli toscani, poteva essere applicato perché non presupponeva uno sviluppo agricolo in qualsiasi terra disponibile, bensì mirava, nella zona d’interesse, a ricostruire un luogo quanto meno vicino alla naturalità originaria del suolo.
Masanobu, come per altro specifica nelle sue conversazioni, non intendeva assolutamente criticare o fare appunti sul sistema di agricoltura biologica o biodinamica italiana, ma dopo aver visitato una fattoria nella pianura Padana di trecento ettari ma economicamente in difficoltà, pensò che i contadini avessero operato degli errori nella scelta delle varietà di piante da coltivare: per esempio, gli sterminati campi di mais sul suolo Udinese non si può dire che vengano coltivati per gli uomini! Questa coltivazione è per nutrire i bovini. Anche le vigne servono per fare il vino, ma non per dare da mangiare all’uomo.
Nel suo paese, nel corso della storia, si sono scelte le varietà di piante migliori per dar da mangiare alla gente.
Gli interventi fitochimici.
È innegabile che ad oggi l’export enologico sia una risorsa fondamentale per tutto il Paese, ma una considerazione è doverosa: qualche giorno fa mi è capitato di parlare con un agricoltore molto giovane, che curava le vigne salentine di proprietà di un noto conduttore televisivo. Mi ha mostrato le immagini dei vigneti ed erano i classici tralicci ferruginosi, sui quali si inerpicavano le viti. Mi ha detto che proprio quella mattina avevano avviato i trattamenti di prevenzione dalla Plasmopara viticola tramite fungicidi rameici.
Ad oggi i sali di rame sono gli unici trattamenti di copertura (quindi vanno rinnovati molto spesso) ammessi anche in agricoltura biologica. Il rame però ha uno svantaggio notevole: essendo poco mobile, tende ad accumularsi nel suolo causando problemi di inquinamento del terreno che possono determinare fitotossicità e stentato sviluppo delle radici delle piante: l’Unione Europea ha infatti stabilito un tetto massimo annuale di 6 kg/ettaro di rame. Però a causa delle condizioni climatiche, spesso e volentieri questo tetto massimo veniva sforato, senza contare l’impiego degli erbicidi o dei lumachicidi. Mi ha dato la certezza che ogni vitigno adoperava quel tipo di trattamenti, a causa dell’aggressività delle specie infestanti, perché il raccolto dell’uva per un produttore non poteva tardare.
Nonostante sia rimasto perplesso su questo utilizzo indiscriminato di sostanze chimiche, l’agricoltore scoraggiato mi ha riferito che non esisteva altro metodo, che quello era il più veloce e sicuro per avere un buon raccolto e che ormai era tanto radicato nella mente dei contadini, che sarebbe stato impossibile cambiarlo.
Dopo questa conversazione, ripensai alle parole che avevo letto: la scienza agronomica piegata agli interessi di mercato delle multinazionali, le quali finanziano la gran parte della ricerca agricola, mentre non si fa ricerca su un’agricoltura autonoma dai prodotti dell’industria.
L’amaro in bocca è proprio questo: abbiamo perso tempo, violentando una madre che ancora ci guarda con occhi benevoli, dilapidando il nostro patrimonio di esseri umani, tutto in favore di un progresso senza equilibri.
Considerazioni finali.
Adesso è primavera. Guardando le ciminiere da un lato e gli immensi campi abbandonati dall’altro, di cui per altro pochi riconoscono il valore, persino delle "erbacce" a protezione del suolo, mi rammarico dell’ottusità di chi non vuole vedere. Per questa paura oggi noi scontiamo tutto il dolore che abbiamo provocato alla Natura, quasi per una legge di causa ed effetto.
Ad oggi il lavoro di Fukuoka continua presso oasi di recupero e di permacoltura delle aree boschive, in tutte le zone del mondo dove operano i suoi allievi viventi. La più famosa è il Centro di agricoltura Naturale di Edessa, in Grecia, dove vive e propaganda la rivoluzione di Fukuoka, Panos Manikis, il suo allievo più anziano.
L’agricoltura naturale è stata studiata da una botanica Emilia Hazelip,
allieva non più vivente di Fukuoka, che mise a punto un sistema naturale per la coltivazione degli orti casalinghi, basandosi sulle intuizioni del Maestro. Questo sistema è conosciuto come “coltivazione orticola sinergica" ad oggi ampiamente adoperata presso ecovillaggi italiani ed europei.
Concludo questo articolo con una frase del Dalai Lama, che mi ha dato da meditare molto dopo averla letta, nella speranza che possa essere motivo di riflessione anche per voi:
“Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.»
- La rivoluzione del filo di paglia (Masanobu Fukuoka- Quaderni d'Ontignano, Libera Editrice Fiorentina).
- Lezioni italiane (Masanobu Fukuoka, a cura di Giannozzo Pucci- Quaderni d'Ontignano, Libera Editrice Fiorentina).
Links Utili:
https://www.youtube.com/watch?v=-5i6vXsBXKI
https://www.youtube.com/watch?v=r9z8n2a_uqI
https://www.youtube.com/watch?v=UVNuyYYjCQw
https://www.youtube.com/watch?v=2Z69OEwj8c4
https://vimeo.com/77920255
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