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Dal 2003 un documentario chiamato "Surplus: Terrorized into being consumers" ha fatto il giro del mondo

"Surplus", il documentario e Zerzan

Per molti è un'intollerabile sequenza di pericolose idee, per altri un manuale rivoluzionario che ti cambierà la vita
7 dicembre 2005

Surplus: Terrorized into being consumers Dal 2003 un documentario chiamato "Surplus: Terrorized into being consumers" ha fatto il giro del mondo. Per molti è un'intollerabile sequenza di pericolose idee, per altri un manuale rivoluzionario che ti cambierà la vita. Entrambi questi punti di vista sono limitati. Surplus è un forte documentario d'accusa. "Forte" perchè Soderberg (montaggio, musiche) e Gandini (regia) sanno quello che fanno e non si risparmiano con un montaggio di grande effetto. "D'accusa" perchè disegna una situazione di guerra globale fra chi controlla il mondo e chi lotta contro, e prende una posizione chiara e inequivocabile. Non stupisce quindi che i sostenitori dell'uno o dell'altro pensiero si siano sentiti attaccati o sostenuti dal documentario. A mio parere gli autori meritano riconoscimenti molto più per le capacità cinematografiche che per il contenuto. Le idee, purtroppo, restano vaghe, proposte su un piano emotivo e accatastate l'una sull'altra senza un distinguibile filo logico, senza una "tesi" documentaristica alla base. In ogni caso è da vedere, non fosse altro che per le sequenze accuratamente selezionate in tre anni di lavoro.

C'è un altro aspetto di Surplus, però, che mi interessa. Grazie alle immagini le teorie di Zerzan e dei primitivisti, alla base del documentario, colpiscono a fondo e lasciano il segno. Dubbi, riflessioni, interrogativi sul futuro della terra e dell'umanità.

La società attuale, con tutta evidenza, non ha futuro, e le teorie "accademiche" sullo sviluppo sostenibile finora non hanno prodotto soluzioni accettabili, ma perchè? La fonte di tutti i mali, la malattia del consumo, vista da lontano è solo ed anch'essa una conseguenza. Di cosa?

Le parole di Zerzan hanno un sapore molto biblico quando individuano in un momento specifico della storia dell'uomo una sorta di peccato mortale, di perdita della verginità primitiva. Cercano in culture ancora esistenti, i Bolscimani, gli Yanonami, gli esempi di un passato da ricostruire. Ma se ad un livello umano e personale abbiamo molto da imparare da questi popoli, sul piano sociale e politico la situazione è diversa.

Ripercorrendo la storia recente scopriamo che in una paese del mondo c'è stato un vero e proprio tentativo di ritorno ad una società primitiva e naturale. Circa 3 milioni di persone hanno abbandonato le città, la base e il simbolo della civiltà civis moderna, per andare a vivere nei campi coltivando la terra. Questa storia è chiaramente condizionata dall'autoritarismo, dalla violenza e dall'ignoranza degli uomini politici coinvolti, ciò nonostante la causa del disastro a cui portò è nel problema demografico. I Khmer rouge, di cui parlo, causarono 2,5 milioni di morti in 3 anni su una popolazione cambogiana di 10 milioni proprio nel tentativo di tornare a uno stato naturale precedente. La loro terra non poteva sostenere quella popolazione senza la moderna tecnologia e così la natura è prontamente intervenuta riequilibrando i numeri con gli unici strumenti che conosce. Malattie e carestie, a cui si è aggiunta la persecuzione di tutti coloro che avevano idee diverse.

La società dei Boscimani è pacifica, naturale e in uno stato di equilibrio fondato però sulla sovrabbondanza di risorse, un po' come le monumentali costruzioni del mondo antico si ergono da millenni perchè costruite su fondamenta sovradimensionate. Non c'è un calcolo architettonico, vi è una quantità di materiali e una base larga dieci volte il minimo necessario. E non a caso Zerzan vede nei sistemi di irrigazione degli antichi sumeri il peccato originale. Lì una situazione di risorse abbondanti nella stagione delle piene dei grandi fiumi ha permesso un aumento di popolazione che andava sostenuto durante la stagione secca. Dunque la tecnologia, l'organizzazione sociale e l'autorità.

Oggi sulla terra siamo sei miliardi. Che vogliamo fare? Rompere l'ingranaggio potrebbe significare un naturalissimo e radicale taglio della popolazione, quello che ad esempio succede con le cavallette quando la loro fertilità ne fa nascere, ciclicamente, troppe. Ne siamo consapevoli?
Zerzan dice: "Property damage is not violence". Sul piano teorico potrebbe avere ragione, ma a cosa conduce? Zerzan dice: "to save the world", il mondo. Non l'umanità.

Il vero obiettivo che ci poniamo, quando parliamo di sviluppo, è come salvare il mondo con tutti i 6 miliardi di abitanti che lo abitano, se rinunciamo a questo non abbiamo da preoccuparci. La "catastrofe" che secondo Zerzan e tanti di noi si profila nel nostro futuro riguarda l'uomo. La natura e la terra nel suo insieme sopravviveranno comunque, fosse anche con una nuova era di magma globale e un nuovo inizio protozoico.

Il "primitivismo", al pari della moderna economia multinazionale, non è una soluzione possibile. Resta la sensazione del paradiso perduto e un bel documentario-critica della società del consumo di massa.
Diceva un famoso biologo: "non so nulla dell'uomo tranne che farà ciò che ogni altra specie animale è destinata a fare: estinguersi". In fondo, e tristemente, quando cerchiamo di sopravvivere in 6 miliardi su questo pianeta stiamo lottando con la natura, anche se non "contro" la natura.

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