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Le librerie di Baghdad, “Case della Saggezza”

Ancora una volta, "gli eserciti vincitori cercano di annientare anche la memoria storica, di cancellare l'identità dei popoli vinti. Ciò dimostra quanto nell'uomo contemporaneo sia rimasto vivo il primitivo bisogno d'imporre al futuro un unico messaggio. Quello della cultura dominante."
13 aprile 2007
Andrea Misuri

Il 5 marzo un’autobomba è esplosa in al-Mutanabbi Street a Baghdad. Una delle tante che, con cadenza giornaliera, scuotono tragicamente la vita della capitale. Insieme a persone innocenti, inconsapevoli di avere incrociato, quel giorno, il proprio destino, quell’autobomba ha colpito, simbolicamente, anche la cultura, da sempre patrimonio di questa città e di tutta la Mesopotamia. Argine, seppur esile, alla deriva che ormai travolge la società irachena.

C'è nello sfondo del racconto la cronaca delle autobombe, certo. C'è nello sfondo la cronaca della guerra, delle distruzioni, dell'assurdo sgretolamento, giorno per giorno, di luoghi di immensa cultura e di tradizione millenaria.
Ma Andrea Misuri, ancora una volta, offre al lettore -al di là della cronaca- una carrellata tra le epoche, i domini, le vicende che la terra di Mesopotamia ha vissuto dall'inizio della storia umana fino ad ora.

Ancora una volta, "gli eserciti vincitori cercano di annientare anche la memoria storica, di cancellare l'identità dei popoli vinti. Ciò dimostra quanto nell'uomo contemporaneo sia rimasto vivo il primitivo bisogno d'imporre al futuro un unico messaggio. Quello della cultura dominante."
Ed è quindi un monito alla generazione di adesso: "Al nostro domani, allora, se la catastrofe prosegue, potrebbe mancare il comune passato. Che, pur essendo, come in questo caso, remoto, costituisce una fonte di sapere e un motore attivo della storia."

Roberto Del Bianco
Al-Mutanabbi Street è intitolata, infatti, a quello che è considerato il massimo poeta arabo, vissuto alla corte di Aleppo e autore di poemi in onore dei sovrani di Baghdad, di Damasco, dell’Egitto.
E’ una via stretta e lunga alcune centinaia di metri. Attorno, altre viuzze e stradine che si confondono in uno dei tanti bazar della capitale. Qui dagli anni Trenta c’è il mercato dei libri usati. Negozi e bancarelle s’inseguono ripieni di volumi e documenti recenti e antichi. Si può trovare di tutto. Al Shabandar Cafè gli intellettuali si danno ritrovo, gli artisti discutono delle proprie opere.
L’autobomba ha incenerito, insieme a decine di vite, anche quei negozi e le migliaia di libri che contenevano. E’ un messaggio aggiuntivo a quello di morte che ogni kamikaze porta con sé. Sta a indicare che nell’Iraq attuale, anche la vita della cultura, antidoto prezioso al piano inclinato della violenza, va sempre più restringendosi.

Il 9 aprile 2003 gli americani entrarono a Baghdad. Un fiume di persone si rovesciò per le strade. La città fu preda di innumerevoli episodi di violenza e saccheggio.
Tutti sanno come il Museo Archeologico fu depredato di ogni bene. Meno conosciuto, l’assalto che il 10 aprile subì Dar al-Kutub Wal-Watha’q, la Biblioteca Nazionale. Una spoliazione durata più giorni, con momenti di furia iconoclasta alternati a relative pause, nell’indifferenza delle truppe americane, pure stanziate a breve distanza. Alfine fu appiccato il fuoco e con quello si mise la parola fine alla Biblioteca Nazionale e al suo patrimonio culturale.
Nelle settimane successive, in particolare per la Fiera del venerdì, piccoli frammenti di quello sterminato patrimonio tornarono ad apparire proprio fra le bancarelle di al-Mutanabbi Street. Antiche edizioni di testi filosofici, di compendi matematici, di trattati storici, documenti imperiali ottomani, manoscritti degli archivi dei re persiani, tasselli della memoria storica di questo Paese, si potevano comprare con una manciata di dinari. Disperdendosi poi in modo definitivo ed irreparabile, andando ad arricchire le librerie degli occasionali acquirenti.
Anche Hulagu, nipote di Gengis Khan, nel 1258, sconfitto il Califfato degli Abbasidi alla testa di un esercito di trentamila Tartari e conquistata Baghdad, procedette alla distruzione dei libri fino ad allora raccolti, disperdendoli nelle acque del Tigri.
La storia, evidentemente, ama ripetersi.

Eppure Baghdad, in un passato lontano, ha vissuto periodi di grande splendore. In particolare, tra l’VIII e il X secolo, divenne centro di cultura per eccellenza. A partire dal 750, infatti, vi si trasferì, da Damasco, la sede del Califfato. Nella corte i dotti discettavano sull’Islamismo e Zoroastro, confrontandoli con la filosofia aristotelica, dominante tra i pensatori siriani e persiani. Una disputa accesa e duratura, che contrappose per decenni mussulmani ortodossi e filosofi panteisti. Da lì estendendosi nelle corti e nei collegi mussulmani, continuando a dividere i saggi e influenzando profondamente le letterature araba e persiana. A Baghdad fu costruita nell’830, la Bayt al-Hikma (Casa della Saggezza), una biblioteca che comprendeva un immenso numero di libri. E intorno a questa sorsero, nei secoli successivi, decine di altre biblioteche e librerie, continuando ad attrarre a Baghdad gli uomini di scienza da ogni dove.

E’ nella Mesopotamia che è nata la civiltà dell’uomo e la sua cultura, per poi espandersi in tutta l’Asia Minore fino all’Egitto.
A Ninive, nell’attuale Kurdistan iracheno, il re Assurbanipal, nel VII secolo a.C., raccolse da ogni parte dell’impero assiro tavolette in cuneiforme scritte in sumero e accadico, dando vita alla prima biblioteca in grado di raccogliere il sapere dell’epoca. Oggi quelle tavolette, in parte ritrovate, sono state determinanti nel conoscere quella civiltà.
Successivamente, altre biblioteche, passate alla storia per la loro straordinaria ricchezza di opere, sono diventate simboli stessi della conoscenza dell’uomo.
Come quella di Alessandria, del III secolo a.C., che si sviluppò grazie anche al “fondo delle navi”. Un editto del Faraone Tolomeo II Filadelfo impose che i libri che si trovavano sulle navi che si fermavamo nel porto della città diventavano proprietà della Biblioteca. Gli originali, infatti, venivano ricopiati e trattenuti, restituendo indietro le copie. Il ruolo commerciale di Alessandria, la sua attiva presenza sulle rive del Mediterraneo, fu così occasione per divenire il punto di riferimento del sapere universale.
Fu un sistema poco ortodosso ma sicuramente efficace, che aumentò a dismisura la dotazione della Biblioteca. Tanto è vero alcune fonti parlano addirittura di 700.000 rotoli di papiro, un numero impressionante per l’epoca.
Dopo un primo devastante incendio durante la campagna di Cesare in Egitto, gli storici sono per lo più orientati a collocare la definitiva distruzione della Biblioteca al tempo della campagna di guerra dell’imperatore Aureliano, durante gli scontri per la conquista della città, nel III secolo d.C.
Ricordiamo poi la Biblioteca di Pergamo, nell’Asia Minore, che sotto la dinastia degli Attalidi, fra il III e il I secolo a.C., ebbe grande fama per la sua collezione di manoscritti. Si dice che fossero 200.000. Erano papiri provenienti dall’Egitto, che, fino ad allora, venivano riposti arrotolati.
Per la prima volta, a Pergamo i rotoli furono tagliati e rilegati andando a formare il libro come lo intendiamo oggi. Qui fu inventata la “pergamena”, a sostituire il papiro che rappresentava una rarità per l’Asia Minore.
Il pendolo della storia, nel suo lento movimento, ripropone ogni volta la guerra come distruttrice di vite umane, e non solo. Ancor oggi, pur in presenza di moderne tecnologie “chirurgiche” di offesa, gli eserciti vincitori cercano di annientare anche la memoria storica, di cancellare l’identità dei popoli vinti. Ciò dimostra quanto nell’uomo contemporaneo sia rimasto vivo il primitivo bisogno d’imporre al futuro un unico messaggio. Quello della cultura dominante. Al nostro domani, allora, se la catastrofe prosegue, potrebbe mancare il comune passato. Che, pur essendo, come in questo caso, remoto, costituisce una fonte di sapere e un motore attivo della storia.

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