Ciccio e le piccole mante
Era da poco spuntata l’alba, e la scogliera quel giorno sembrava posta in modo diverso, forse a causa della marea; si dice che la luna e il sole influiscano con la loro attrazione a determinarla: bassa, o alta che sia.
Mi chiesi se durante la notte appena trascorsa la luna non avesse avuto proprio la “luna per traverso”, o che col sole... Il mare, sembrava che non l’avessero proprio disturbato; certo! Avrà litigato col sole! E il mare... sì, era il mare che rendeva diversa la scogliera.
Avrei voluto chiedere a Ciccio, vecchio gabbiano color cenerognolo, sempre addossato alla cima del grande scoglio, perché tanto strano appariva quel luogo dove egli, incurante dei nebulosi pensieri, adagiato, guardava il mio rituale scendere mattiniero. Ciccio sapeva che stavo recandomi a pesca, lo sapeva ed era contento ogni qualvolta apparivo di buon mattino dall’alto della spiaggia con i remi in spalla e la cesta col palamito1, muoveva le ali come a voler battere le mani e subito mi era dietro la barchetta volando quasi a sfiorarla. Sapeva che ogni tanto, mentre innescavo gli ami mandandoli a fondo, gli lanciavo una delle sardine pescate il giorno avanti, e che avrebbero dovuto essere esca del piccolo... si fa per dire, palamito (quattrocento ami).
Mi era compagno di pesca il vecchio Ciccio, non riuscii mai a capire se egli lo facesse per darmi compagnia o perché sapesse di guadagnarsi dei prelibati bocconcini; io, se devo essere sincero, mi sentivo più sicuro nel vedermelo accanto. Il mare è un mondo meraviglioso e non si può non amarlo, bisogna che tutti lo conoscano per apprezzarne di più le sue bellezze naturali e persino i suoi malumori; e, a proposito di malumori, ricordo quanto dettomi da un vecchio lupo di mare intento a rammendar le reti sulla spiaggia, mentre il mare in bonaccia invitava i bagnanti a ristorarsi dalla calura estiva. Era terso quel giorno il cielo, ricordo, e non v’era nessun alito di vento. D’un colpo egli, senza che ve ne fosse la ragione, guardò in aria col suo sguardo profondo che sembrava penetrare i perché della vita, e con un sereno sorriso mi disse che da lì a poco il mare avrebbe fatto un rigurgito. Io non feci in tempo a capire quanto voleva dirmi che subito scese il vento; il mare cominciò ad incresparsi da far paura.
Io lo guardai meravigliato preoccupandomi per chi, inesperto, aveva da poco preso il largo con qualche piccola imbarcazione.
«Non preoccuparti» continuò, con quel suo viso scarno e sereno. È solo un rigurgito. Quanto più dura la bonaccia, tanto più sente, il mare, di fare questo rigurgito: è come quando ci troviamo a fare delle lunghe mangiate,» cercava di spiegarmi, mentre io guardavo stupito il suo volto, pregiata opera di quel grande scultore ch’è il tempo «e poi... sazi, emettiamo un piccolo rutto».
Un grosso strattone mi distolse da quel dolce pensare: che fare, continuare a mandare a fondo gli ami o tirare per vedere cosa aveva abboccato di grosso? A finire mancavano solo una trentina d’ami; decisi così di continuare a mandare giù il palamito, e subito ricominciare a tirar su dal primo amo.
Quel giorno sembrava voler promettere bene, cominciai a prendere dei bei pesci; ogni tanto n’affiorava qualcuno monco, mangiucchiato da qualche calamaro o pesce più grosso, e Ciccio, della disgrazia, sembrava godere molto: sapeva che il rimasto di quel pesce glielo avrai buttato in pasto, era già diventato un tacito accordo.
Avevo già fatto una bella pesca: orate, qualche merluzzo, spigole... ma di quello strattone ancora non se ne sapeva nulla; che forse s’era “sboccato”? Ecco che lo risentii! Ci siamo, mi dissi. Avvicinai il retino per evitare che il pesce a fior d’acqua potesse sfuggire, e continuai a tirare su gli ami cercando di “dare” lenza quando il pesce si ostinava a salire, mentre io guardavo in fondo cercando di capire cos’era che tirasse tanto.
Il sole cominciava a farsi “sentire”; Ciccio era intento a finire il lauto pasto, quand’ecco che dal fondo cominciò, tra uno strattone e l’altro, ad intravedersi qualcosa. Mi accorsi così di aver preso un grosso pesce rondinella: avrà pesato sicuramente cinque chili, ecco il perché dei grossi strattoni. I colori meravigliosi delle sue ali aperte mi affascinavano tantissimo. Feci una gran fatica a farlo entrare nel grosso retino, e quando lo adagiai dentro, sul fondo della barca, rimasi incantato ad osservarlo. Continuai a tirare su gli ami rendendomi conto che non era quello il punto in cui avevo sentito il robusto strattone; in quel punto rimanevano appena trenta ami da mandare a fondo, mentre da tirare ce n’erano ancora quasi cento. Ripresi, con la speranza che il grosso pesce non si fosse sboccato, tolsi dall’amo un altro mezzo pesce che buttai a Ciccio, il quale dall’alto osservava senza che gli sfuggisse niente.
Gli ami venivano su senza esca e con una leggerezza strana, era come se il letto del palamito lo avessi steso a galla anziché mandarlo a fondo; ma... è «a galla!» urlai, tanto che Ciccio dall’alto mi guardò meravigliato. Gli ami non venivano su, galleggiavano tutti; che si fosse rotto il filo legato alla zavorra che fa scendere il palamito a fondo? Guardai avanti e vidi che galleggiava qualcosa di massiccio; cosa poteva essere, se non dava nessun segnale? Lentamente raccoglievo gli ami, e mi avvicinavo sempre più a quello che non riuscivo a capire che pesce fosse; luccicava nel sole settembrino da sembrare... sì, era proprio lei, una manta! Una grossa manta. Non sapevo che fare, se tirarla in barca o cercare di farla andare; e come, se non prima avessi tolto l’amo? Non potevo tagliare il bracciolo; le sarebbe rimasto attaccato in bocca l’amo. Pensai di tirarla su, cercando di non farmi prendere dal pungiglione che aveva in punta, sulla coda.
A stento, aiutandomi anche con i remi, riuscii a metterla in barca: tanto era grossa che prendeva quasi un quarto di barca; subito le cominciò ad uscire acqua dalla parte bassa, acqua e sangue... sangue? Non è che... vidi venir fuori, da sotto il gran peso, delle piccolissime mante, ognuna grande quanto l’apertura di una mano; cinque in tutto, cinque piccole mante che, a guardarle, vorrei che il tempo si fermasse, per come ferme ed impresse sono rimaste nella mia mente quelle immagini che non mi lasceranno più.
Mi feci animo, presi la grossa manta e la rimisi in acqua; pian piano le misi accanto uno a uno i piccoli che subito nuotarono, portandosi sotto la loro mamma, come i pulcini alle loro chiocce. Mi guardava, ed io non capivo se era un saluto o un volermi dire “grazie”; era strano il fatto che rimanesse così tanto immobile.
Ripresi a remare lentamente per finire di raccogliere il resto del palamito, quando vidi che lei mi seguiva con quei soavi movimenti, mentre sotto, i piccoli, adombrati, seguivano lenti la madre che continuava a fissarmi; non riuscivo a capire il senso del suo strano atteggiamento. Mi abbassai per prendere un amo che s’era conficcato nella cassetta, dove tenevo il pescato, e con stupore vidi dietro la cassetta una piccola manta, la sesta, di cui non mi ero accorto prima.
La presi e la adagiai sul mare; la grossa manta aspettò che il piccolo le andasse sotto come gli altri, e lentamente s’inabissarono nel loro meraviglioso mondo.
Non capii il perché dello strano episodio avvenuto in barca; forse la paura aveva sollecitato in lei il parto, o... chissà. Una cosa è certa, che quanto successo è stato per me un sogno, un sogno ad occhi aperti che non dimenticherò mai. Tirai il palamito e remai, con Ciccio che ripeteva il suo verso, chissà, forse un saluto, l’ultimo, alla felice famigliola marina che come me faceva ritorno a casa.
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