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Valera

Racconto di un soldato sovietico in Afghanistan
Racconto di Artem Šejnin (Sergente. Afghanistan)
Fonte: Isskustvo Vojny, n. 3/2008, pp.36-38
Traduzione di Elena Murdaca

la rivistra ISSKUSTVO VOJNY

Avevamo pernottato dove era morto il Vice direttore per le questioni politiche del battaglione. Al mattino, ci rimettiamo in marcia. Come al solito, non so e non capisco dove andiamo e perché. So solo che da qualche parte davanti a noi si erge la mitica Alikheil, alla quale, a quanto sembra, non giungeremo mai.
Scendiamo nell’ennesima valle fra le montagne, seguiamo il corso di un ruscello, calpestiamo la ghiaia che ne ricopre le sponde e che scricchiola sotto i nostri passi. Poco dopo, più avanti, scorgiamo qualcuno dei nostri. Avvicinandoci, vediamo che si tratta della compagnia di brigata degli esploratori. Evidentemente, i comandanti hanno qualcosa da discutere, o forse devono solo chiacchierare, in ogni caso il comandante di fureria annuncia la sosta. Ci svacchiamo sui pesanti propulsori per i razzi.
Mi sono appena ripreso che la kaša1 di ieri, buttata giù fredda e secca com’era, inizia a farsi largo per guadagnare l’esterno. Affido il propulsore alla sorveglianza del mio salvatore di ieri, Vovka il Mordvino, e mi dirigo verso il masso più vicino. Sono quasi arrivato, quando da dietro la pietra sbuca qualcuno che viene dalla mia parte. E’ Valera 2 Mišchenko, degli esploratori, ci conosciamo da Fergan. Anche lui mi vede, mi riconosce, mi fa cenno con la mano. Si avvicina con la chiara intenzione di parlarmi. Come se non capisse a che scopo sto andando dietro il masso, lui che sta tornando giusto da li. Maledetta kaša perlata. Tutta colpa sua…
Affrettare il passo, come se fossi assorto nei miei pensieri? Come se non l’avessi visto? No, sembra brutto Non ci si vede da così tanto tempo…e comunque è tardi, mi è già accanto.
-Ciao, Tëma3!
-Ciao, Valera!
Con Valera Miščenko ci eravamo conosciuti durante il viaggio da Mosca a Fergan. Il suo aspetto esteriore non presentava niente di notevole: non alto, tarchiato, dalla testa tonda e grossa e dalla fronte volitiva; da sotto quella fronte ti guardavano due occhi scuri, un po’ diffidenti, penetranti. La sua voce, grave e roca era insolita per un ragazzo di 18 anni. Ma quello che veramente distingueva Valera era quella specie di energia interiore che emanava, pacata e possente allo stesso tempo. Non era particolarmente loquace, ma quel poco che diceva era detto con persuasione e fermezza. A Fergan, capitati nel medesimo reparto, avevamo avuto modo di conoscerci meglio. Amici no: non lo eravamo diventati, a Fergan non c’erano stati né il tempo né le forze. Comunque eravamo in buoni rapporti: io ero attirato dalla sua sicurezza e dalla sua serietà, lui, che probabilmente se ne rendeva conto, si rivolgeva a me in modo protettivo, ma in senso buono. In realtà Valera era così quasi con tutti, perché, tutti, nel reparto, sapevamo che aveva un anno più di noi (a 18 anni non è poco) e, soprattutto che era sposato con un figlio. Questo accresceva ulteriormente la sua autorità.
Miščenko non si atteggiava a leader, non cercava di mettersi in mostra, tuttavia si era distinto ben presto all’interno del plotone. Lo facevano trottare, lo tormentavano, cercavano in continuazione di umiliarlo, così come facevano con tutti noi. Solo che con lui funzionava meno. In ogni caso, al momento della partenza per l’Afghanistan, Valera era al massimo della forma fisica e nel complesso appariva molto più sicuro di parecchi di noi. Proprio questo, insieme al fatto che da civile praticava il karate, ne avevano fatto un predestinato: durante l’assegnazione ai vari plotoni, a Gardes, aveva presentato domanda, immediatamente accettata senza la minima obiezione, fra le spie.
Nei giorni successivi, parlando con i nostri, che erano stati assegnati agli esploratori, avevamo scoperto che erano finiti in un inferno: li malmenavano ancora peggio di quanto venissimo malmenati noi. Ma, ancora peggio, sin dai primi giorni cercavano di trasformarli in “lupi”. Ad esempio: a Fergan noi eravamo in divisa invernale, con gli scarponi, nella brigata indossavamo l’uniforme estiva, con gli stivali leggeri. Appena accettati nella loro compagnia, ai giovani esploratori veniva dato il benvenuto “augurale”: gli stivali legger, loro, e li dovevano procurare da sé.
“Cercateli dove volete. Volete rubare, rubate! Volete prenderli a qualcuno, toglieteglieli di dosso. Chi se ne frega se sono novellini o nonni. Dovete sbattervene il c…o! Voi siete esploratori, e con questo è detto tutto”.
Questo era quello che ci aveva riferito qualcuno dei nostri, che ne parlava come se fossero psicopatici, mostri. Inoltre associava se stesso a noi e non a loro. Ma già dopo qualche settimana, i ragazzi iniziavano a cambiare. E non era solo il fatto che erano più tetri, più cupi. Lo “speciale addestramento psicologico” a cui erano sottoposti stava dando i suoi frutti.
“Noi siamo i migliori. Gli altri sono luridi pezzi di merda”.
Chi non riusciva a portare a termine i compiti veniva picchiato senza pietà e tormentato fino all’annientamento per cui esisteva una sola via d’uscita: farsene una ragione e affidarsi, così d’altronde veniva richiesto, esclusivamente ai muscoli e alla furbizia.
Dopo qualche tempo, iniziammo ad evitare quelli che fra i nostri erano finiti fra gli esploratori. Davvero, avevano smesso di essere “i nostri”: non facevano differenza fra conoscente e sconosciuto. Sempre più spesso, l’unica regola valida era: Vedi un “altro” - forzalo a lavorare per te. Se c’è qualcosa da prendergli, prendigliela; se non c’è niente, che sia lui stesso a trovare qualcosa per te”.
Da due mesi non incrociavo Valera. E quanto fosse cambiata la sua vita in quel branco di lupi, posso solo immaginarlo. Per questo fu per me una vera sorpresa, quando le nostre orbite di “burbe"4 si erano incrociate a fine settembre. Forse, proprio a causa della sorpresa che provai, non ricordo bene esattamente dove ci eravamo incontrati e in quali circostanze. Certo, sicuramente stavamo facendo quello che fanno tutte le burbe i primi sei mesi: stavamo lavando o portando qualcosa, forse stavamo rubando…beh, non è così fondamentale. Fondamentale era invece il fatto che lui, che sin dall’inizio era sempre stato più robusto e più forte di me, per di più con lo status di burba del battaglione degli esploratori, NON AVEVA NEMMENO PROVATO a reclutarmi perché lavorassi per lui. Ma non era questa la cosa più sorprendente. LUI NON ERA PIU’ LUI. No, così non rende. LUI NON C’ERA PIU’. Cioè…da fuori era sempre lo stesso Valera: tarchiato, con la testa grossa, forse un po’ dimagrito. Ma QUEL Valera che io avevo conosciuto a Fergan non c’era più. Nella sua voce, abitualmente roca, si avvertiva un’insolita nota di disperazione, gli occhi non avevano il consueto sguardo diffidente e penetrante, ma esprimevano angoscia. Ma la cosa più strana era che MI PARLAVA COME DA PARI A PARI, come a un compagno di sventura…
Di cosa parlassimo, non ricordo. Di cosa possono parlare due burbe inchiodate ad una tavola, che non sanno quando finalmente potranno mangiare normalmente, dormire normalmente, lavarsi normalmente, scrivere una lettera normalmente, ma che sanno per certo che entro un’ora, e poi di sera, di notte o verso mattina, saranno picchiati ripetutamente al plesso solare o sul torace. Saranno picchiati perché hanno fatto qualcosa che non andava fatto, o non hanno fatto qualcosa che avrebbero dovuto fare, o hanno fatto qualcosa che avrebbero dovuto fare ma non come avrebbero dovuto. O anche senza motivo, tanto per gradire, perché sono burbe, perché così è sempre stato per quelli che picchiano. Fino a quando, la vita non concluderà a singhiozzo un altro ciclo, e a sostituirli arriveranno nuove burbe, e arriverà allora il nostro turno di picchiare e colpire al plesso…
La vita continua…
Ci congediamo su questo inno alla vita, continuando a parlare di come vogliamo mangiare normalmente, dormire normalmente, lavarci normalmente, scrivere lettere normalmente…
- Dai, Valera, siamo già a settembre, presto arriveranno le nuove leve, porteranno a Fergan le ennesime cappelle e poi li porteranno qui da noi. E noi cominceremo a vivere.
- Hai ragione, Tema, teniamo duro, e arriverà anche il nostro momento. Non siamo i primi, non siamo gli ultimi…tiriamo avanti…
Persino nell’esistenza delle burbe c’è posto per radiose prospettive. Rinfrancati, ciascuno
torna al suo battaglione, e tutto continua come negli ultimi due mesi.
Le tende degli esploratori non erano dislocate lontano dal nostro battaglione, ma facevamo di tutto per non passarci vicino. Era come il triangolo delle Bermuda: chi ci finiva dentro, veniva risucchiato.
Forse un po’ per questo, un po’ perché così piaceva al destino, con Valera non ci eravamo più visti fino a quel giorno, il 9 dicembre, in cui ci incontrammo vicino a un masso sulla strada per Alikheil.
- Ciao Tema.
- Ciao Valera.
- Che hai fatto alla testa?
- Il proiettile di qualche bandito. E tu?
Era diventato ancora più tenebroso. E, come a voler sottolineare questo stato, le mani e il viso di Valera erano quasi anneriti. Gli occhi si erano fatti ancora più pungenti e cupi, su questo sfondo di nerofumo. Erano pieni di angoscia…
La voce, anche quella, sempre più roca. Si avvertiva la disperazione…
- Hanno davvero rotto i c…..i, Tema. Non vivo più. Tutto il tempo a preparargli da
mangiare…non ce la faccio più
- Non dirmi niente…anche i nostri ci tormentano con questa storia: la kaša perlata. Non si abbassano a mangiare la kaša…Avanti, il riso col grano saraceno… Dove merda te li vado a pescare? Le gallette non le mangiano, e noi qui a crepare…
- E poi ti tirano scemo per ripicca…sei lì seduto e arrivano. Su, alla svelta, a fare questo o quest’altro. Mi domando come finirà Non ho più la forza…
- Dai, forza, Valera, siamo già a dicembre. Presto arriveranno le leve autunnali da Fergan. Ti ricordi? Ne avevamo parlato. Sopravviveremo. Fino a febbraio rimangono in tutto…
- Fino a febbraio bisogna arrivarci.
Comprendevo e condividevo pienamente l’umore di Valera, ma in quel momento avevo un problema più impellente che continuava a far presente che era lì con crescente insistenza. Non obietto niente, saluto alla svelta e già quasi piegato in due, mi ritiro dietro il masso.
Cosa dire? Solo più avanti capirò che in guerra alcune parole non bisogna dirle, che non bisogna provocare il destino. Solo più avanti avrò imparato che in guerra non si dice “ultimo” ma “estremo”. Solo dopo essere stato abbastanza a lungo in Afghanistan mi sarò abituato al fatto che ogni incontro, ogni discorso possono essere gli ULTIMI, avrò imparato a non fare progetti e a non irritare la Provvidenza con disegni e piani per il futuro. E a non fare la cosa più importante: nominare la morte.
Ma adesso tutto questo lo ignoro. Come ignoro completamente che per l’ennesima volta il Destino si profila all’orizzonte, volteggia sopra le nostre teste, adocchiando chi ghermire, chi eleggere stavolta…
…Una quindicina di minuti più tardi risuona il ruggito del nostro comandante: “Seconda compagnia, prepararsi a muoversi”. Passiamo oltre, lasciando indietro gli esploratori, in mezzo a loro scorgo Valera vicino al fuoco, ma lui non mi vede, è indaffarato.
Dopo qualche ora alla compagnia degli esploratori viene ordinato di controllare un villaggio abbandonato. La speranza di Valera si realizza: viene assegnato al gruppo comandato dal giovane tenente a cui affidano tale incarico. Al momento di entrare nel villaggio, Valera, seguendo l’esempio degli altri, raddrizza le antenne sull’anello delle granate che porta nella giberna sul petto. All’ultimo secondo, al gruppo ordinano la ritirata. Valera ripiega nuovamente le antenne. Poi di nuovo: “Avanti!”. E di nuovo: “Indietro!”
Le antenne di alluminio si rompono alla base, ma Valera non se ne accorge…
Il tenente, in mezzo alle barbe5lo chiama per ordinargli qualcosa.
Mentre si avvicina, Valera passa il mitra dal collo dietro la schiena.
Il primo a intuire che cos’è lo scatto secco che proviene dalla giberna di Valera è proprio il giovane tenente. Uscito fresco fresco dall’accademia, è una delle sue prime operazioni, ma gli è sufficiente per capire in un attimo cosa sta per succedere. I secondi successivi sono sufficienti per separare l’istante dall’eternità. Il tenente si getta su Valera, lo prende con le braccia e lo butta a terra, coprendolo col suo corpo…
Così se ne sono andati, nell’eternità, abbracciati: il giovane tenente e il giovane soldato. Assorbendo tutta la potenza di una granata a mano e donando la vita agli altri.
Fra quelli che erano vicini a loro, nessuno rimase ferito. Il tenente era già morto, Valera, trovò la forza di sussurrare: “Fa male…tanto…”
Per otto mesi, a Fergan e Gardes, ogni giorno faceva male. Valera è morto con questo “fa male” e in questo “fa male”, per lui non è mai arrivato il febbraio ’85, fino al quale non sapeva come sopravvivere per tornare a vivere…
Ma lì, nel dicembre ’84, né Valera né io sappiamo. Lui – che gli restano da vivere poche ore, io . che il destino quel giorno mi avrebbe insegnato una lezione ancora più dura, portandosi via una persona a me cara.
Lì, nel dicembre ’84, ha già dimenticato il nostro discorso. In testa ha solo una cosa: come farsi assegnare il tanto atteso incarico.
Anche io ho dimenticato il nostro discorso. Passata mezz’ora, di nuovo ho ricominciato a premere sul propulsore, impossibile spostarlo per quanto pesa, le gambe infiammate ricominciano di nuovo a dolere, il viso lacerato, ricomincia di nuovo a bruciare dal sudore e la testa, contusa ieri, riprende a fischiare, e di nuovo penso solo a quando c…o arriveremo a quella maledetta Alikheil, a quella mitica fortezza.

P.S.Ho cambiato il suo cognome. Non so che cosa sappiano della morte di Valera sua moglie e sua figlia. Che sappiano della sua morte. E non sanno nemmeno degli ultimi mesi della sua vita…
Non so il cognome di quel giovane tenente. Non so come si chiamava. Non so neanche che faccia avesse.
Per me saranno sempre insieme. Due ragazzi andati via sotto il cielo di Alikheil

Note: 1 Diminutivo di Valerij. Il russo usa comunemente i diminutivi N.d.T.
2 Piatto a base di cereali N.d.T.
3 Diminutivo di Artem. N.d.T.
4 Giovani reclute. I termini gergali militari sono tradotti in base al Dizionario termini militari e alpini. http://rsb.provincia.brescia.it/bspascol/pascoli/alpini/gergo.htm N.d.T.
5 I soldati anziani N.d.T.

Il testo originale in russo è disponibile su: http://artofwar.ru/s/shejnin_a/030.shtml

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