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La guerra infinita

Un anno di lavoro tra preparazione, sopralluoghi, riprese e montaggio, cinque paesi attraversati – Kosovo, Macedonia, Serbia,Turchia e Afghanistan – e 3 ore di reportage trasmessi il 19 e il 26 settembre 2008 alle 21.05 su RaiTre
Giacomo Alessandroni6 ottobre 2008

La guerra infinita Finalmente l'informazione in prima serata. Qualcosa che in Italia, con accento particolare poiché stiamo parlando della televisione di stato, mancava. Rai Tre è un canale che - a giudizio di chi scrive - è stato considerato quasi un canale tematico fortemente orientato all'informazione, ad iniziare dal telegiornale delle 14.00, con edizione locale preceduto e seguito da rubriche di approfondimento.
Peccato quel Primo piano non esattamente in prime time. Riccardo Iacona ci ripaga - con un anno del suo lavoro - delle assenze e omissioni della televisione di stato, un anno di lavoro che si riassume in una doppia inchiesta, questa volta trasmessa in prima serata.

Kosovo nove anni dopo

Una ricostruzione minuziosa della terribile pulizia etnica la terribile pulizia etnica di cui sono stati vittime i kosovari di etnia serba. Dal 1999, da quando la Nato ha vinto la guerra contro la Serbia e insieme alle Nazioni Unite ha preso il controllo del Kosovo, 250.000 serbi sono stati cacciati dal Kosovo solo per ragioni di odio etnico, solo perché serbi. Le loro case sono state bruciate, le loro terre sono devastate, le loro chiese distrutte (anche le più antiche e preziose, quelle del 1300), i loro cimiteri profanati a colpi di pala e di piccone, interi quartieri messi a fuoco solo per impedire ai serbi che vivevano lì da centinaia di anni di poterci ritornare.

Nonostante la presenza della Nato gruppi armati di kosovari di etnia albanese hanno messo in atto una delle più sistematiche e feroci pulizie etniche che l’Europa ha vissuto dopo la seconda guerra mondiale, distruggendo così l’idea stessa di un paese multietnico che pure era stata all’origine della campagna militare della Nato contro la Serbia.

Ma c’è di più: in questi nove anni il Kosovo è diventato la porta principale d'ingresso della droga nel nostro Paese e in tutta Europa; e, sempre nonostante la presenza della Nato e delle Nazioni Unite il Kosovo si è trasformato in una piccola Colombia, un Narcostato nel cuore dell’Europa. I numeri sono impressionanti: l’80 per cento di tutta la droga prodotta in Afghanistan per entrare in Europa passa dalle valli e dalle montagne del Kosovo “liberato”. Le enormi ricchezze accumulate con il traffico della droga hanno reso potenti all’estero e in patria i clan mafiosi kosovaro albanesi, capaci di inquinare in profondità i partiti che oggi guidano il Kosovo, gettando così un enorme punto interrogativo sulla natura democratica del nuovo Stato nato il 17 febbraio di quest’anno con un atto unilaterale. Ma le strade aperte della droga e delle armi che la Nato non è riuscita in questi nove anni di protettorato a chiudere, sono anche quelle da cui passa il terrorismo internazionale di matrice islamica.

Afghanistan

Riprende il viaggio dalle strade della droga e delle armi, le stesse utilizzate dai gruppi armati kosovaro-albanesi che stanno cercando di destabilizzare la Macedonia con azioni militari di grande respiro. Vengono intervistati i nuovi terroristi dell'UCK (Ushtria Çlirimtare e Kosovës) ancora in armi sul territorio macedone e si racconta la capillare infiltrazione nei Balcani dei movimenti islamici più radicali, con il sostegno attivo delle organizzazioni caritatevoli dei paesi del Golfo Arabico. Poi, risalendo le strade della droga che dal Kosovo passano per la Turchia e per l’Iran, si arriva in Afghanistan.

La guerra, i bombardamenti, sette anni di presenza militare della Nato non sono riusciti a impedire che l’Afghanistan diventasse il più grande produttore mondiale di oppio ed eroina, consegnando così ai movimenti armati talebani la loro principale fonte di finanziamento: 100 milioni di dollari solo l’anno scorso. Con questi soldi i talebani stanno vincendo la guerra.

Si racconta la drammatica escalation militare messa in atto dai ribelli afgani, ormai capaci anche di colpire nel cuore di Kabul, con kamikaze, autobombe e veri e propri assalti armati. Poi ci porta nei luoghi dove abbiamo perso i nostri ultimi soldati: il distretto di Pagman (34° 34' 47" N, 68° 57' 0" E) dove è morto il maresciallo Daniele Paladini e quello di Sorobi, dove è stato ucciso il primo maresciallo Giovanni Pezzullo.

Sia i poliziotti di Pagman che quelli di Sorobi raccontano alla troupe de "La Guerra Iinfinita" tutta un’altra storia rispetto a quella che arriva a noi, dalle fonti ufficiali dell’esercito, che hanno sempre parlato di attentati terroristici isolati. Quelle zone sono infestate dai talebani ed in particolare la valle di Uzbeen è completamente fuori controllo. Dopo la morte di Pezzullo in quella valle non entra più nessuno, né la polizia e l'esercito afgano e neanche i soldati italiani della Nato. E infatti due mesi dopo, quando i francesi prendono il controllo di Sorobi al posto degli italiani, la prima volta che si avventurano nella valle di Uzbeen vengono massacrati da 500 talebani armati: 10 parà vengono uccisi, 4 di loro, sembra siano stati decapitati mentre erano ancora in vita. Che ci facevano 500 talebani armati nella zona che doveva essere sotto il controllo dei soldati italiani? E come fanno 500 soldati a vivere in queste zone senza avere l’appoggio dei villaggi che li ospitano?

I talebani che attaccano la coalizione non sono solo i fanatici studenti delle madrasse pakistane o gli arabi di al qaida, ma anche cittadini afgani. I talebani ormai stanno costruendo un'area di consenso nei villaggi e nella capitale grazie alla quale possono continuare ad attaccare la Nato nel cuore delle aree che dovrebbero controllare. La guerra è ormai alle porte di Kabul e già adesso i talebani sono in grado di far arrivare nella capitale centinaia e centinaia di soldati armati. Nelle valli che i soldati italiani dovrebbero controllare si produce oppio: con i soldi di questo traffico i talebani comprano le armi con cui poi uccidono i nostri soldati, e i campi continuano a essere coltivati ad oppio, a soli 30 chilometri da Kabul. E tutto questo proprio mentre il contingente italiano si sta preparando ad una svolta importante e drammatica: ad ottobre i nostri soldati si dispiegheranno quasi tutti nell’ovest del Paese, ad Herat, dove già siamo presenti e soprattutto a Farah, nel sudovest del Paese, dove si combatte tutti i giorni.



In un'intervista, alla domanda "Lei conferma che vi è stata una pulizia etnica dei serbi del Kosovo?" Riccardo Iacona risponde:
"Certo, e lo abbiamo anche documentato, soprattutto nei primi 40 minuti, in cui vi è una concentrazione della documentazione abbastanza minuziosa, persino insistita. Molti mi hanno scritto dicendo che 'questa parte del documentario è insopportabile da punto di vista emotivo'. Ovviamente, se in pochi minuti si riassumono le violenze compiute per più di nove anni, al fine di riempire un 'buco' dell'informazione, il risultato dà una certa impressione. Tutto questo però è accaduto in nove anni di amministrazione Onu e Nato, il che è ancora più grave. Mentre nei primi tempi, dopo il 1999, era immaginabile la fuga dei serbi che avevano ricoperto dei ruoli all'interno delle amministrazioni e magari si erano anche 'sporcati le mani di sangue' - come spesso affermano - e per paura di ritorsioni e vendette hanno lasciato la provincia, non è tollerabile che questi crimini siano stati fatto quando la Nato ha assicurato una certa sicurezza nella regione ed era già cominciata la ricostruzione. Lei sa che i serbi hanno bruciato le case degli albanesi durante la guerra, e quelle stesse abitazioni sono state ricostruite con i fondi internazionali, ma ciò non è avvenuto nei confronti dei serbi."

Quest'intervista, invece è di qualche anno fa. Ironica, come nello stile di Serena Dandini e Dario Vergassola, ma - nella sua ironia - terribilmente seria. Un inno all'orgoglio Rai, quella televisione di stato che sa produrre materiali di qualità e che non ha paura di essere impopolare, non proponendo solo format made in Endemol.

Concludo ricordando una vecchio commento di Enzo Biagi, quando Giulio Andreotti disse che "ci rechiamo in Iraq per una operazione di 'polizia internazionale'": "immagino che al posto di mitragliate fioccheranno multe".
Enzo Biagi, il giornalista, era così: diretto, senza giri di parole. Riccardo Iacona ha uno stile molto simile: quando deve fare un'affermazione la fa e basta, anche se la verità - specie se detta tutta d'un fiato - può far male.

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