Una rondine non fa primavera
Con la loro piccola Punto da finanzieri, tentarono di fermare un blindato di contrabbandieri. Pensavano fosse Brindisi, era Mogadiscio. Furono travolti e uccisi. La stampa tirò pronta a lucido la titolistica di guerra e emergenza, e l'esercito fu chiamato a riconquistare coste e città. In nome di Alberto De Falco e Antonio Sottile, i primi giorni dell'Operazione Primavera registrarono l'arresto di 92 persone e il sequestro di 8 tonnellate di sigarette, 44 fuoristrada, 18 motoscafi. La Sacra Corona Unita, icona del dominio dell'anti-stato, fu scardinata a ritmo di marcia. "Ma l'enfasi della guerra induce raramente a riflettere sulla vera entità del nemico": perché vittoria, certo - ma contro chi?
Considerazioni attuali. Perché dieci anni dopo, nella Taranto di Alessandro Leogrande il contrabbandiere all'angolo in tuta acetata, le sigarette in vetrina su una cassetta di frutta, non è più incastonato nel paesaggio come arredo urbano. Ma una semplice ricerca su Google restituisce inequivoca le statistiche di una Italia che è ancora, inalterato, il crocevia dei traffici illegali verso l'Europa: ogni giorno nei nostri porti la Finanza intercetta sigarette: è solo tutto meno scenografico, diversi i mezzi - dai motoscafi ai doppifondi dei tir: dalla battaglia navale all'evasione fiscale. E dieci anni dopo, allora, la cronaca di quei mesi si fa non passato, ma prologo. Perché la "malavita", la devianza, sosteneva Pasolini, non è un fenomeno criminale ma sociale: non un'attività fine a se stessa, manifestazione del male, della violenza del sopruso, non altro dalla società ma al contrario, il racconto in controluce della sua evoluzione - ai suoi margini, la sua anticipazione: specchio dei nuovi tempi, e nuovi equilibri e squilibri di potere. Un mondo più dinamico e avanzato rispetto al Palazzo del potere ufficiale. "E non è detto che una mafia che non spara sia meno pericolosa".
McMafia. E infatti la malavita di Pasolini è diventata oggi, al plurale, "le male vite". Perché non esiste più, al singolare, un unico Palazzo, e forse neppure più un Palazzo, un dentro e un fuori - e la presa della Bastiglia, l'assalto al re garanzia di rivoluzione. Il potere è disperso, e così il rapporto tra crimine, economia e politica. Il contrabbando è l'attività di una mafia che si fa transnazionale trainata dalla società globale: non più organizzazioni feudali per il controllo del territorio, ma reti criminali e imprenditoriali insieme, signore delle frontiere, di zone grigie in cui la distinzione tra lecito e illecito progressiva svapora. La Sacra Corona Unita non è stata una mafia anti-statuale, ma a-statuale, capace di incunearsi nelle nuove condizioni economiche e politiche, di abitare le contraddizioni della globalizzazione. Perché il suo contrabbando è stato un potente ammortizzatore sociale nelle periferie del Sud: a Brindisi, 30mila disoccupati su 100mila abitanti, era il 15 percento del Pil: vendere sigarette era un "lavoro onesto", da padri di famiglia - una forma di welfare, per arginare l'arruolamento nella criminalità vera dell'eroina e delle estorsioni. E ma perché poi, soprattutto, il suo contrabbando si è infiltrato nell'implosione dei Balcani, in quei corridoi che nel vuoto di regole condivise, come l'Adriatico, si spalancano in prossimità delle discontinuità tra aree ricche e aree povere: se nell'Albania di Hoxa era una normale voce di bilancio, in Montenegro il contrabbando costituiva la metà delle entrate erariali, ed è stato a lungo tollerato perché finanziava acquedotti e infrastrutture - ma anche la resistenza a Milosevic, cara alle diplomazie occidentali. Lo stato sembra essersi dileguato, nelle pagine di questo libro: perché è uno stato, certo, privo di strumenti investigativi e repressivi adeguati a fronte di crimini extraterritoriali: ma soprattutto, perché è uno stato privo di volontà, a fronte di attività percepite come funzionali in fondo allo sviluppo e alla stabilità - foriere di un benessere diffuso, e dunque non criticato.
Mafia di impresa. Quello di Alessandro Leogrande non è più il Sud in biancoenero di Cristo che si ferma a Eboli, altro rispetto al centro: le sue contraddizioni non sono le distorsioni dell'arretratezza, ma dello sviluppo. Una criminalità che genera quasi il 10 percento del Pil mondiale non può essere 'altro' dalla nostra società: con le sue migliaia e migliaia di "posti di lavoro", con il suo indotto calamitato dall'investimento dei capitali riciclati, la criminalità è ormai parte di una globalizzazione in cui lecito e illecito si integrano. Quello di Alessandro Leogrande è il Sud di un unico mondo, in cui i mafiosi compaiono ai processi eleganti come i loro avvocati, e in cui, soprattutto, le sigarette arrivano direttamente dalle multinazionali del tabacco, con canali di distribuzione paralleli a quelli ufficiali e i contrabbandieri nel ruolo di agenti di commercio, per abbattere i costi e colonizzare nuovi mercati. La Sacra Corona Unita è stata l'anticipazione di mafie che non sono più controcultura: al contrario: parte della cultura dominante, perché appunto - non sono più le vecchie mafie d'ordine che si sono consolidate sul dominio del territorio, sulla tassazione della ricchezza altrui come nel sistema delle estorsioni: mafie parassite, la coppola e il sigaro in bocca: le nuove mafie sono mafie di impresa, criminalità in cravatta che produce ricchezza. Sono le mafie specchio della globalizzazione: e come le multinazionali, allora, mafie pronte a delocalizzarsi al mutare delle condizioni geopolitiche, a traslarsi dall'Albania al Montenegro alla Grecia: mafie liquide. E esattamente come le multinazionali, ancora, mafie in cui il solo imperativo è il profitto: mafie non più familistiche ma individualistiche - mafie in cui al primo arresto si diventa collaboratori di giustizia. Mafie che resistono dunque non in virtù della loro coesione interna, di lealtà e omertà, ma perché puntellate dal contesto: povertà e disoccupazione, ma anche e soprattutto lo sgretolarsi della soglia del disvalore - oggi che le attività illecite sembrano un legittimo percorso per l'inserimento nella società dei consumi, e si investe nel contrabbando come un tempo negli immobili.
Un paese anormale. L'eredità di tutto questo, dieci anni dopo, è una gramigna di illegalità diffusa: non più la malavita, e come esterna alla società, ma un indistinto di buona e mala vita insieme: l'idea che in nome di profitto e sviluppo tutto sia consentito. Perché quella guerra combattuta con l'Operazione Primavera non è stata che una guerra tra poveri, in cui a essere colpito è stato solo il sottoproletariato, il sottobosco dei contrabbandieri al dettaglio poi riciclati in muratori al nero e parcheggiatori abusivi: e che rappresentavano però solo l'ultimo e estremo diradarsi di una nebulosa di relazioni economiche e criminali che ha incluso e ancora include mediatori, imprenditori, politici, professionisti - l'insospettabile "borghesia lazzarona" che non esita a patti con il diavolo: i colletti bianchi che con le sigarette avviano concessionarie d'auto, centri commerciali, ristoranti e agriturismi. Senza alcuna riprovazione sociale: perché in una economia asfittica, qualsiasi attività capace di innescare circolazione di denaro è ormai considerata positiva: ed è questa, culturale, la vera zona grigia, funzionale al crimine quanto i disoccupati delle periferie se fuori dal Palazzo, scriveva Pasolini, "non si ricade che in un nuovo dentro: il penitenziario del consumismo" - una zona grigia che è la santificazione della ricchezza e dell'impresa. In una normalità che è normalizzazione - in cui l'avvocato di Francesco Prudentino, come in un romanzo di Sciascia, è Carlo Taormina, sottosegretario agli Interni. Eppure si spia allarmati dalle finestre la devianza di strada, e solo lì si pretende tolleranza zero: invece che nelle camere di commercio, nelle banche - e l'esercito non tra i nomadi ma a Gibilterra, tra quei 20mila residenti per cui risultano 70mila società finanziarie.
Il giorno della civetta. Il disprezzo per le regole, il ricorso alla frode e alla forza, il perseguimento di obiettivi personali attraverso le istituzioni pubbliche, l'ostentazione della ricchezza e del sopruso dieci anni dopo si sono tradotti in regola e valore. Nei Sud di Alessandro Leogrande, dalle casse scaricate nei porti non piovono teschi, ma semplici sigarette: e chi racconta non finisce sotto scorta: perché è solo evasione fiscale, si sente spiegare - perché qui la mafia non esiste. Non è certo Napoli, questa. Non è Gomorra. Solo scherno, per chi denuncia. E come la civetta, quando di giorno compare.
Alessandro Leogrande, Le male vite. Storie di contrabbando e di multinazionali, Fandango 2010
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