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Una rondine non fa primavera

Storie di sigarette e contrabbandieri, storie di un mondo che sembra scomparso. Ma a volte il passato è solo un prologo: tornano in libreria Le male vite di Alessandro Leogrande - contro una normalità che è normalizzazione
27 luglio 2010
Fonte: PeaceReporter - 27 luglio 2010

Con la loro piccola Punto da finanzieri, tentarono di fermare un blindato di contrabbandieri. Pensavano fosse Brindisi, era Mogadiscio. Furono travolti e uccisi. La stampa tirò pronta a lucido la titolistica di guerra e emergenza, e l'esercito fu chiamato a riconquistare coste e città. In nome di Alberto De Falco e Antonio Sottile, i primi giorni dell'Operazione Primavera registrarono l'arresto di 92 persone e il sequestro di 8 tonnellate di sigarette, 44 fuoristrada, 18 motoscafi. La Sacra Corona Unita, icona del dominio dell'anti-stato, fu scardinata a ritmo di marcia. "Ma l'enfasi della guerra induce raramente a riflettere sulla vera entità del nemico": perché vittoria, certo - ma contro chi?

copertina di "le male vite" di alessandro leogrande  Considerazioni attuali. Perché dieci anni dopo, nella Taranto di Alessandro Leogrande il contrabbandiere all'angolo in tuta acetata, le sigarette in vetrina su una cassetta di frutta, non è più incastonato nel paesaggio come arredo urbano. Ma una semplice ricerca su Google restituisce inequivoca le statistiche di una Italia che è ancora, inalterato, il crocevia dei traffici illegali verso l'Europa: ogni giorno nei nostri porti la Finanza intercetta sigarette: è solo tutto meno scenografico, diversi i mezzi - dai motoscafi ai doppifondi dei tir: dalla battaglia navale all'evasione fiscale. E dieci anni dopo, allora, la cronaca di quei mesi si fa non passato, ma prologo. Perché la "malavita", la devianza, sosteneva Pasolini, non è un fenomeno criminale ma sociale: non un'attività fine a se stessa, manifestazione del male, della violenza del sopruso, non altro dalla società ma al contrario, il racconto in controluce della sua evoluzione - ai suoi margini, la sua anticipazione: specchio dei nuovi tempi, e nuovi equilibri e squilibri di potere. Un mondo più dinamico e avanzato rispetto al Palazzo del potere ufficiale. "E non è detto che una mafia che non spara sia meno pericolosa".

McMafia. E infatti la malavita di Pasolini è diventata oggi, al plurale, "le male vite". Perché non esiste più, al singolare, un unico Palazzo, e forse neppure più un Palazzo, un dentro e un fuori - e la presa della Bastiglia, l'assalto al re garanzia di rivoluzione. Il potere è disperso, e così il rapporto tra crimine, economia e politica. Il contrabbando è l'attività di una mafia che si fa transnazionale trainata dalla società globale: non più organizzazioni feudali per il controllo del territorio, ma reti criminali e imprenditoriali insieme, signore delle frontiere, di zone grigie in cui la distinzione tra lecito e illecito progressiva svapora. La Sacra Corona Unita non è stata una mafia anti-statuale, ma a-statuale, capace di incunearsi nelle nuove condizioni economiche e politiche, di abitare le contraddizioni della globalizzazione. Perché il suo contrabbando è stato un potente ammortizzatore sociale nelle periferie del Sud: a Brindisi, 30mila disoccupati su 100mila abitanti, era il 15 percento del Pil: vendere sigarette era un "lavoro onesto", da padri di famiglia - una forma di welfare, per arginare l'arruolamento nella criminalità vera dell'eroina e delle estorsioni. E ma perché poi, soprattutto, il suo contrabbando si è infiltrato nell'implosione dei Balcani, in quei corridoi che nel vuoto di regole condivise, come l'Adriatico, si spalancano in prossimità delle discontinuità tra aree ricche e aree povere: se nell'Albania di Hoxa era una normale voce di bilancio, in Montenegro il contrabbando costituiva la metà delle entrate erariali, ed è stato a lungo tollerato perché finanziava acquedotti e infrastrutture - ma anche la resistenza a Milosevic, cara alle diplomazie occidentali. Lo stato sembra essersi dileguato, nelle pagine di questo libro: perché è uno stato, certo, privo di strumenti investigativi e repressivi adeguati a fronte di crimini extraterritoriali: ma soprattutto, perché è uno stato privo di volontà, a fronte di attività percepite come funzionali in fondo allo sviluppo e alla stabilità - foriere di un benessere diffuso, e dunque non criticato.

Mafia di impresa. Quello di Alessandro Leogrande non è più il Sud in biancoenero di Cristo che si ferma a Eboli, altro rispetto al centro: le sue contraddizioni non sono le distorsioni dell'arretratezza, ma dello sviluppo. Una criminalità che genera quasi il 10 percento del Pil mondiale non può essere 'altro' dalla nostra società: con le sue migliaia e migliaia di "posti di lavoro", con il suo indotto calamitato dall'investimento dei capitali riciclati, la criminalità è ormai parte di una globalizzazione in cui lecito e illecito si integrano. Quello di Alessandro Leogrande è il Sud di un unico mondo, in cui i mafiosi compaiono ai processi eleganti come i loro avvocati, e in cui, soprattutto, le sigarette arrivano direttamente dalle multinazionali del tabacco, con canali di distribuzione paralleli a quelli ufficiali e i contrabbandieri nel ruolo di agenti di commercio, per abbattere i costi e colonizzare nuovi mercati. La Sacra Corona Unita è stata l'anticipazione di mafie che non sono più controcultura: al contrario: parte della cultura dominante, perché appunto - non sono più le vecchie mafie d'ordine che si sono consolidate sul dominio del territorio, sulla tassazione della ricchezza altrui come nel sistema delle estorsioni: mafie parassite, la coppola e il sigaro in bocca: le nuove mafie sono mafie di impresa, criminalità in cravatta che produce ricchezza. Sono le mafie specchio della globalizzazione: e come le multinazionali, allora, mafie pronte a delocalizzarsi al mutare delle condizioni geopolitiche, a traslarsi dall'Albania al Montenegro alla Grecia: mafie liquide. E esattamente come le multinazionali, ancora, mafie in cui il solo imperativo è il profitto: mafie non più familistiche ma individualistiche - mafie in cui al primo arresto si diventa collaboratori di giustizia. Mafie che resistono dunque non in virtù della loro coesione interna, di lealtà e omertà, ma perché puntellate dal contesto: povertà e disoccupazione, ma anche e soprattutto lo sgretolarsi della soglia del disvalore - oggi che le attività illecite sembrano un legittimo percorso per l'inserimento nella società dei consumi, e si investe nel contrabbando come un tempo negli immobili.

Un paese anormale. L'eredità di tutto questo, dieci anni dopo, è una gramigna di illegalità diffusa: non più la malavita, e come esterna alla società, ma un indistinto di buona e mala vita insieme: l'idea che in nome di profitto e sviluppo tutto sia consentito. Perché quella guerra combattuta con l'Operazione Primavera non è stata che una guerra tra poveri, in cui a essere colpito è stato solo il sottoproletariato, il sottobosco dei contrabbandieri al dettaglio poi riciclati in muratori al nero e parcheggiatori abusivi: e che rappresentavano però solo l'ultimo e estremo diradarsi di una nebulosa di relazioni economiche e criminali che ha incluso e ancora include mediatori, imprenditori, politici, professionisti - l'insospettabile "borghesia lazzarona" che non esita a patti con il diavolo: i colletti bianchi che con le sigarette avviano concessionarie d'auto, centri commerciali, ristoranti e agriturismi. Senza alcuna riprovazione sociale: perché in una economia asfittica, qualsiasi attività capace di innescare circolazione di denaro è ormai considerata positiva: ed è questa, culturale, la vera zona grigia, funzionale al crimine quanto i disoccupati delle periferie se fuori dal Palazzo, scriveva Pasolini, "non si ricade che in un nuovo dentro: il penitenziario del consumismo" - una zona grigia che è la santificazione della ricchezza e dell'impresa. In una normalità che è normalizzazione - in cui l'avvocato di Francesco Prudentino, come in un romanzo di Sciascia, è Carlo Taormina, sottosegretario agli Interni. Eppure si spia allarmati dalle finestre la devianza di strada, e solo lì si pretende tolleranza zero: invece che nelle camere di commercio, nelle banche - e l'esercito non tra i nomadi ma a Gibilterra, tra quei 20mila residenti per cui risultano 70mila società finanziarie.

Il giorno della civetta. Il disprezzo per le regole, il ricorso alla frode e alla forza, il perseguimento di obiettivi personali attraverso le istituzioni pubbliche, l'ostentazione della ricchezza e del sopruso dieci anni dopo si sono tradotti in regola e valore. Nei Sud di Alessandro Leogrande, dalle casse scaricate nei porti non piovono teschi, ma semplici sigarette: e chi racconta non finisce sotto scorta: perché è solo evasione fiscale, si sente spiegare - perché qui la mafia non esiste. Non è certo Napoli, questa. Non è Gomorra. Solo scherno, per chi denuncia. E come la civetta, quando di giorno compare.

Note:
Alessandro Leogrande, Le male vite. Storie di contrabbando e di multinazionali, Fandango 2010

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