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La frontiera addosso

Per molti ormai la frontiera non è più un luogo, ma una condizione: una condanna all'inferiorità e all'esclusione. Contro la retorica dei paladini degli arabi che dilaga in questi giorni, l'antidoto più potente è l'ultimo libro di Luca Rastello: perché la nostra politica migratoria viola sistematicamente, istituzionalmente, i diritti umani più basilari. Ed è stata strutturata insieme a tre paesi: Libia, Egitto, Tunisia
27 marzo 2011

luca rastello, la frontiera addosso, laterza 2010, copertina

Sono i cosiddetti paesi in via di sviluppo, in realtà, a ospitare i quattro quinti dei rifugiati: 8,4 milioni su 10,5. I primi tre paesi per numero di rifugiati sono il Pakistan, la Siria e l'Iran - meta di afghani e iracheni: dei rifugiati, cioè, delle nostre guerre: la Germania, primo paese occidentale, è solo quarta. E se si guarda al rapporto tra numero di rifugiati e prodotto interno lordo, in base all'istinto per cui dovrebbero essere i più ricchi a sostenere i più poveri, il primo paese occidentale è ancora la Germania: ma questa volta ventiseiesima dopo Pakistan, Congo e Tanzania.

L'equivoco. "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza": e nel caso, "il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni". La Dichiarazione Universale del 1948 è chiara: e la Convenzione di Ginevra sul diritto di asilo, del 1951, è il suo indispensabile complemento. Eppure, il diritto di asilo non è solo largamente violato: è violato in modo sistematico e istituzionalizzato, mediante politiche di controllo delle frontiere che non distinguono tra il migrante, che regolare o irregolare lascia comunque volontariamente il proprio paese, spesso per ragioni economiche, e può quindi tornarvi in sicurezza, e il richiedente asilo, che è invece costretto a partire. Ma in realtà, più che di un diritto violato sarebbe più onesto parlare di un diritto mai realmente riconosciuto. Perché erano gli anni della guerra fredda, e l'obiettivo, per il blocco occidentale, era semplicemente garantire tutela ai dissidenti dei regimi comunisti - è rimasta a lungo in vigore, per esempio, la clausola che legava il diritto di asilo a situazioni conseguenza di eventi avvenuti prima del 1951, e a lungo è stato possibile limitarsi a offrire protezione solo ai rifugiati europei. I redattori della Convenzione di Ginevra pensavano alla spia della Germania dell'Est che attraversava il Muro nel bagagliaio di un'auto: non certo alle centinaia di migliaia di affamati in fuga dall'implosione degli stati africani della decolonizzazione.

E infatti, negli anni Novanta è prontamente apparsa la figura degli sfollati interni: l'idea, abbastanza contraddittoria, di un asilo nei luoghi stessi dell'emergenza. Oggi gli sfollati sono 45 milioni, a fronte di 11 milioni di rifugiati: e il senso è indubbio: la gestione a distanza degli indesiderabili. La delocalizzazione dei diritti umani, per abbatterne i costi politici, finanziari, e soprattutto giuridici. Un dato su tutti, dice Rastello: all'inizio degli anni Ottanta, delle migrazioni di massa, l'Europa accettava l'85 percento delle domande di asilo: ora questa è la percentuale delle domande respinte. Una sorta di minimum umanitario a copertura di una strategia per cui l'aggettivo è uno solo: criminale.

luca rastello I sommersi. Le norme internazionali sono infatti aggirate da una miriade di intese bilaterali con i paesi di provenienza. Accordi segreti: secondo gli uffici amministrativi dell'Unione Europea, la diffusione della documentazione costituirebbe "una minaccia alle relazioni internazionali". Si tratta di intese, comunque, tutte molto simili: tutte basate su tre pilastri: la sorveglianza congiunta delle frontiere, il rimpatrio, e i centri di cosiddetta accoglienza.

Il più noto degli accordi è quello tra Italia e Libia: in cambio della repressione dei flussi migratori, Gheddafi ha ottenuto la revoca dell'embargo, e nello specifico, dall'Italia, un risarcimento per i danni causati dal colonialismo - sotto forma di infrastrutture costruite da nostre imprese: in una palude di interessi e speculazioni. E la cooperazione nel controllo delle frontiere si traduce non tanto in operazioni comuni, quanto nella fornitura di mezzi e equipaggiamenti, di competenze - meglio che agiscano i poliziotti libici, soggetti a meno vincoli giuridici. Ma la violazione della Convenzione di Ginevra rimane innegabile: il principio del non-refoulement, del non respingimento, vieta di rispedire un rifugiato verso paesi in cui la sua vita o libertà sono in pericolo. Al contrario, sono state proprio Italia e Libia a introdurre la pratica dei rimpatri forzati: che in realtà non sono affatto rimpatri, perché è possibile rispedire nei paesi di transito, oltre che di origine. E il trattato tra Italia e Egitto spiega con chiarezza quali sono i guadagni: quote privilegiate di permessi di lavoro nell'ambito dei decreti annuali. L'Egitto, riconoscente, si è impegnato così a riprendersi non solo i suoi cittadini fermati in Italia in condizione irregolare, ma anche tutti quelli che l'Italia qualifica come egiziani: senza alcuna prova. Attraverso rimpatri che per le modalità e i tempi delle identificazioni e le motivazioni tutte identiche dei provvedimenti, non sono altro che espulsioni collettive, vietate dal diritto internazionale.

E il nostro ruolo di avanguardia, per una volta, non finisce qui: è stato il trattato tra Italia e Tunisia, infatti, a inventare i centri di cosiddetta accoglienza. Dalla Moldavia alla Turchia all'Ucraina: carceri di cui spesso è ignota persino l'esatta ubicazione, finanziate dalle nostre tasse. La detenzione amministrativa è legale: fino a diciotto mesi nei centri europei, a tempo indeterminato altrove. E il controllo è inesistente. "Le condizioni nei campi di detenzione libici sono difficili, ma accettabili alla luce del contesto generale", si legge in un rapporto dell'Unione Europea: un contesto descritto in termini a dire poco approssimativi: "abbiamo apprezzato sia la vastità che la varietà del deserto". Filtrano sempre più numerosi i racconti di chi si è ritrovato schiavo, trascinato a costruire i grandi alberghi a cinque stelle del Mar Rosso. Rastello non ha dubbi: è il meccanismo di Guantanamo: della globalizzazione - trasferirsi dove è possibile sottrarsi alle regole. E così invece di violarle, più eleganti, più innocenti, disapplicarle. Più impuniti.

Quello di Frontex, agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne, è un esercito, ormai: motovedette, navi aerei, elicotteri: e il linguaggio, soprattutto, è molto più militare che umanitario, tra squadre di intervento rapido, centri di comando, reti di pattuglie - con il conto addebitato, tra gli altri, anche al Fondo Europeo per i Rifugiati: che così sostiene non i rifugiati, ma chi li ostacola. L'efficacia di Frontex si misura infatti nella riduzione del numero di arrivi - nonostante il diritto di asilo sia, per l'esattezza, il diritto a cercare asilo: fino alla decisione finale, chi ha presentato in qualsiasi forma domanda di asilo, anche solo a voce, ha diritto di soggiorno: anche se è entrato in modo irregolare. Presidiare una frontiera, naturalmente, non ferma i viaggi: non ferma povertà e guerre: ma devia la pressione verso nuove rotte. E ha una logica: la missione Hera, tra le coste africane e le Canarie, lontano da giornalisti e avvocati, spende meno di 400 euro per ogni migrante intercettato. All'operazione Hermes, tra Algeria e Sardegna, ogni migrante costa invece 63mila euro - a fronte dei 5.400 euro necessari ad accoglierlo per sei mesi.

migranti in un centro di identificazione e espulsione Chi vuol essere rifugiato? Ma il problema non è solo arrivare in Europa. La normativa comunitaria, infatti, si impernia sulla Convenzione di Dublino del 1990 e il successivo Regolamento di Dublino, del 2003: secondo cui il paese in cui si è tenuti a presentare domanda di asilo, a rimanere in attesa della decisione, e soprattutto, l'unico paese in cui si ha titolo a usufruire dei servizi legati allo status di rifugiati, è il paese di ingresso. E cioè, in genere Malta per chi arriva via mare, la Grecia per chi arriva via terra. Né l'una né l'altra, naturalmente, sono la destinazione finale: solo la prima tappa verso il nord - di fatto, si nega ai rifugiati la possibilità materiale di beneficiare dei servizi a cui hanno diritto.

Il problema vero, tra l'altro, è nella formula stessa della Convenzione di Ginevra. Per ottenere asilo, infatti, è necessario dimostrare l'esistenza di un giustificato timore di persecuzione, per ragioni di razza, religione cittadinanza, appartenenza sociale, opinioni politiche, o anche identità di genere: ma per persecuzione si intende una persecuzione individuale, non un generico contesto di violenza o povertà. E come sempre nel diritto, la conseguenza di nozioni così approssimative è una larga discrezionalità nell'applicazione delle norme - ai limiti dell'arbitrarietà. In Italia, il richiedente asilo si gioca la vita sostanzialmente in un lancio di dadi: in venti minuti, la commissione esaminatrice è chiamata a capire non solo se è credibile, ma se il suo racconto risponde a un giustificato timore di persecuzione. E le storie registrate da Rastello sono amaramente esemplari: uomini e donne provenienti dai paesi più diversi, sulla cui situazione politica, economica sociale nessuno dei funzionari ha una reale competenza: soprattutto, uomini e donne che non conoscono i criteri in base a cui si concede lo status di rifugiati, e non sono quindi nella condizione di rimarcare, nel racconto, gli elementi più rilevanti. L'errore più tipico, per esempio, è dire che nel proprio paese non si hanno mezzi per mantenersi: quello che ognuno di noi direbbe di istinto, invece di avventurarsi a spiegare intricati scontri etnici di popoli lontani. Ma così, come Happy, algerina, si è bocciati - classificati "portatori di un disagio di natura esclusivamente socioeconomica". E se si è bocciati per essere stati troppo vaghi, come Francine, dal Lagos, Freddy, anche lui dal Lagos, è stato troppo preciso: la sua vita sembra letta su un giornale e ripetuta a memoria. Salah è arrivato nel telaio di un camion. Curdo iracheno, ha rischiato come gli altri di finire gassificato da Saddam Hussein. Ma non è un attivista, è un semplice meccanico, e ripara le auto degli americani. Per questo è stato minacciato di morte da un gruppo islamico fondamentalista, e si è deciso a fuggire: non è persecuzione, sentenzia la commissione: è la normale ostilità verso i collaborazionisti.

I salvati. E in Italia poi, il difficile non è solo essere richiedenti asilo: è anche essere rifugiati. Perché l'Italia non ha una legge organica in materia: ha norme sparse, e nel contesto di quella che è considerata un'eterna emergenza - invece che la normalità: la ricerca di una vita migliore. Teoricamente, da dieci anni è in funzione un Sistema per la Protezione dei Richiedenti Asilo e Rifugiati, affidato all'iniziativa di associazioni e istituzioni locali: l'obiettivo è costruire dei percorsi individuali di accoglienza e integrazione: offrire non solo vitto e alloggio, ma anche assistenza legale e orientamento al lavoro. In realtà, le risorse sono insufficienti: quando i posti sono esauriti, si ricorre ai Centri di Accoglienza, destinati a tutti i migranti: centri di smistamento, cioè, in cui rimanere il tempo strettamente necessario a capire se si è legittimati a entrare nell'Unione Europea o se si è obbligati al rimpatrio - ai Centri di Identificazione e Espulsione. Ma quale che sia il nome, il principio è sempre lo stesso, denuncia Rastello: il contenimento in stato di minorità: e si è rimbalzati dall'uno all'altro indipendentemente dalle proprie esigenze. Dai propri diritti. Spesso si finisce in tendopoli infami, come quella in cui l'amministrazione comunale di Bari ha accumulato i senza fissa dimora: tossicodipendenti, disoccupati, prostitute, barboni rifugiati, immigrati con regolare permesso di soggiorno, clandestini - lasciati a se stessi. Con mezzo bicchiere di latte al giorno, e il resto a carico dell'elemosina e del volontariato. Come a Torino, d'altra parte: 280mila euro alla Croce Rossa per garantire a 80 persone, per 120 giorni, un materasso e neppure un pezzo di pane, e 400mila euro all'Arci per trovare loro casa e lavoro: sono finiti a raccogliere arance e pomodori alla frusta dei caporali. Fino al prossimo inverno: perché appunto, tutto è affrontato come un'eterna emergenza: quando arriva il freddo, quando arriva la scabbia. Quando esplode la protesta degli abitanti del quartiere. Tutto è improvvisato senza la minima progettualità.

Molti dei rifugiati riconosciuti in Italia, fermati dalle polizie di altri stati e rispediti da noi in base alle norme di Dublino, non sono in realtà mai tornati. Hanno preferito rimanere clandestini altrove.

"Di cosa si stia parlando risulta evidente se solo si considerano i respingimenti in mare: in particolare quando le imbarcazioni sono intercettate in acque internazionali e condotte in paesi in cui i passeggeri verranno imprigionati [...] Come si può essere clandestini se ancora non si è varcato un confine proibito? [...] Si può definire illegale quanto si vuole un migrante, ma fino a quando è trattenuto senza accertamento di reati in paesi in cui non è possibile controllare e garantire la sua possibilità di accedere a diritti fondamentali, è difficile dire da quale parte sia l'illegalità". 

Note: Luca Rastello, La frontiera addosso. Così si deportano i diritti umani, Laterza 2010

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