Discorso sulla servitù volontaria
Discorso sulla servitù volontaria
Perché gli uomini, fatti per essere liberi, rinunciano con tanta naturalezza alla loro libertà?
Ètienne de La Boétie ( Sarlat 1530 – Germignan 1563), scrisse “Il discorso sulla servitù volontaria” attorno ai 22 anni, Michel de Montaigne , suo caro amico, racconta che addirittura l’abbia scritto a 18 anni. Il discorso sostiene che i tiranni detengono il potere in quanto sono i sudditi a concederglielo, e delegittima quindi ogni forma di potere. La libertà originaria sarebbe stata abbandonata dalla società, che una volta corrotta avrebbe poi preferito la servitù del cortigiano alla libertà dell'uomo libero, che rifiuta di essere sottomesso e di obbedire. La Boètie non è interessato alle «congiure di gente ambiziosa» interessata soltanto a «far cadere una corona, non togliere il re, cacciare sì il despota, ma tenere in vita la tirannide», ma auspica un cambiamento ed una liberazione profonda dal potere. Il tentativo di porre La Boétie nella galleria degli antenati della rivoluzione, precursore di Stirner, Proudhon, Bakunin e Tolstoj, in realtà trascura una considerazione più attenta del "Discorso" che lo sottrae al filone tradizionale dei pamphlets democratici per coglierne invece la profondità di pensiero che rimanda a questioni ancora irrisolte. Le stesse ideologie rivoluzionarie del secolo ventesimo così come le raffinate tecniche del potere non possono sopportare le questioni sconcertanti che vengono esposte in questo libretto: l'oggetto d'indagine è la natura dell'uomo, nel tentativo di mettere in chiaro la sua originaria condizione di libertà. La prima ragione per cui gli uomini servono di buon animo è perché nascono servi e sono allevati come tali»«bisogna saper resistere all'aria contagiosa che si respira nella conversazione degli uomini del nostro tempo». In esso non vi sono appelli al popolo perché si liberi dal tiranno ma la constatazione dell'assurdità della condizione dei sudditi. La Boétie non propone alcuna ricetta per il cambiamento del potere, non si fa partigiano di alcuna fazione; ciò che gli sta a cuore è la presentazione in tutta la sua ampiezza e profondità di una situazione paradossale pressoché inspiegabile nella sua radice, che ha talmente impregnato di sé la vita sociale tramite la "coustume" da renderla condizione ormai ovvia e normale della vita di ogni uomo: l'accettazione del dominio. “Il Discorso” pare più una condanna dei servi che dei tiranni, atto a non dare ricette risolutive ma a turbare e meditare. Meditare su quello «strano accidente» per cui gli uomini, volendo la libertà, riescono a porla come oggetto concreto del loro desiderio solo nei termini di un nuovo potere. E quindi perché gli uomini perseverano nella rinuncia della libertà? Il potere non ha fondamento oggettivo: né diritto divino (secondo la dottrina tradizionale), né diritto naturale (come affermano i primi teorici moderni dello Stato). Il potere è un rapporto immaginato e creato, a partire da chi lo subisce. «Non voglio che scacciate il tiranno e lo buttiate giù dal trono; basta che non lo sosteniate più e allora lo vedrete crollare a terra per il peso e andare in frantumi come un colosso a cui sia stato tolto il basamento. Non è necessario fare qualcosa di eroico per scuotere il gioco della schiavitù, ma basta rifiutare il proprio assenso. Per ottenere la libertà basta desiderarla: libertà e desiderio di libertà sono la stessa cosa”.
Il caso Taranto
Lettera di una madre alla Suprema Corte per i Diritti del Bambino
“E' un fatto davvero sorprendente e nello stesso tempo comune, tanto che c'è più da dolersene che da meravigliarsene...Si parla di modificazioni genetiche a Taranto, di bambini nati senza bocca, di ospedali gremiti di bambini spacciati, morti prima ancora d’esser nati! Che razza di vizio è allora questo se non merita neppure il nome di viltà, se non si riesce a qualificarlo con termini sufficientemente spregevoli, se la natura stessa lo disapprova e il linguaggio rifiuta di nominarlo? Quale madre sarebbe degna d’essere ancora chiamata madre, continuando a dare cibo avvelenato ai suoi figlioli e non preferirebbe invece con consapevolezza, la dignità di una morte naturale per assenza di cibo ? Ma, buon Dio, che faccenda è mai questa? Come spiegarla? Quale disgrazia, quale vizio, quale disgraziato vizio fa sì che dobbiamo vedere uomini servire un padrone a tal punto da sacrificargli non solo la nostra vita, ma anche quella dei nostri figli? Chiameremo vili e codardi tutti coloro che gli si sono assoggettati? Che due, tre o quattro persone si lascino sopraffare da uno è strano, tuttavia può accadere; in questo caso si potrà ben dire che è mancanza di coraggio. Ma se cento, se mille persone si lasciano opprimere da uno solo chi oserà ancora parlare di viltà, anziché affermare che si tratta di mancanza di volontà e di grande abiezione? Ma in tutti i vizi ci sono dei limiti oltre i quali non si può andare.. Permettiamo che uccidano i uccidano i nostri figli e nel migliore dei casi che si ammalino a 20 anni invece che a 5. E’ amore quello che vi spinge? È’ per amore del padrone che andate così coraggiosamente in guerra, è per la sua vanità che non esitate a regalare la morte ai vostri figli? Voi seminate i campi per farvi distruggere il raccolto; riempite di mobili e di vari oggetti le vostre case per lasciarveli derubare; allevate i vostri figli per soddisfare le sue voglie e ai vostri figli il meglio che loro possa capitare è di essere trascinati e condotti al macello, trasformati in servi dei suoi desideri e in esecutori delle sue vendette; vi ammazzate di fatica perché possa godersi le gioie della vita e darsi ai piaceri più turpi, mentre voi finito l’orario di lavoro trascorrete il pomeriggio in qualche reparto di oncologia per conclamata leucemia di un vostro figliolo? Nati con il giogo sul collo, nutriti e allevati nella servitù, non riusciamo a immaginare altri diritti se non quello di faticare per un pezzo di pane avvelenato. Sottomessi all’ineluttabile destino, vocati al suicidio per virtù tramandata dai padri, i giovani adolescenti tarantini, affermano che prima o poi bisogna morire, e che sia a 15 o a 20 anni poco importa! Il tiranno vedendo i suoi sudditi prendere tale piega, costruisce esche per la schiavitù, il prezzo della loro libertà. E per questo si allea con gli artisti della città che altrimenti rischierebbero di restare fuori dal mercato, offrendo loro teatri e poltrone in cambio del silenzio, e con i preti ai quali ristruttura chiese dove poter celebrare dignitosi funerali e dove educare al senso del dovere e del sacrificio all’altare del profitto. Vergognosi gli stratagemmi di Riva e dei suoi galoppini, di quali mezzucci e menzogne si siano serviti per chetarci al giogo. E adesso che tutto è compiuto, il tiranno viene difeso proprio dai suoi sudditi con tanto di prole. Oh, tarantini! Abbandonati da Dio, contenti di sacrificare vita e figli pur di tenersi stretta la propria servitù! Quale tragedia più grande è mai esistita! Che l’industria abbia lungamente lavorato e manipolato le coscienze non solo degli operai ma anche di noi “laici” inconsapevoli disoccupati, convincendoci che non esista altro lavoro al di fuori dell’ilva, che è vietato immaginare, è ormai cosa acquisita. Si scende in strada a difendere il diritto a morire! Questa ostinazione del popolo tarantino non è forse il segno di una mutazione antropologica!? Vorrei chiedere a voi signori della Corte, esiste il diritto a morire e a far morire? Si può tutelare un simile diritto? Il nesso tra i tumori e l’inquinamento industriale è ampiamente documentato, i dati sono impressionanti. Ma io sono qui per chiedere un “Giorno della Memoria”, in onore di tutti i bambini di Taranto che sono morti nelle camere a gas dell’ Ilva ed dell’Eni , e di tutti quei bambini che sopravvissuti trascorrono i loro pomeriggi a raccontare la tremenda esperienza vissuta come cavie possibili di trapianti genetici. Chiedo altresì, che vengano abbattuti i cancelli dell’ilva e dell’eni sopra i quali si erge “ Il lavoro rende liberi” oscena e intollerabile bestemmia che ricorda altri inenarrabili trascorsi. Chiedo che i responsabili siano perseguiti con l’accusa di crimini contro l’umanità. Chiedo un giorno in onore di tutti quelli che si sono opposti al progetto di sterminio delle industrie tarantine, difendendo le vite future e i perseguitati dal ricatto occupazionale, lavorando duramente su un’alternativa reale, possibile. Dal canto mio sono convinta, e non credo di sbagliare, che laggiù all'inferno, Dio riservi qualche pena particolare ai delinquenti che hanno tolto ai bambini di Taranto la possibilità di sognare di vivere di respirare”.
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