Sacrifici umani, dalle civiltà precolombiane agli indigeni jonici
Tlaloc era il dio della pioggia. Gli Aztechi credevano che, se non fossero stati celebrati sufficienti sacrifici a Tlaloc, la pioggia non sarebbe venuta ed il mais non sarebbe cresciuto. Lebbra e reumatismi, malattie causate da Tlaloc, avrebbero colpito il villaggio. Tlaloc chiedeva le lacrime dei bambini come parte del sacrificio. I sacerdoti facevano piangere i bambini durante il cammino che li portava all'immolazione: si trattava di un buon presagio del fatto che Tlaloc avrebbe bagnato la terra nella successiva stagione delle piogge.
Gli archeologi hanno rivelato che la pratica del sacrificio dei bambini precede la civiltà degli Aztechi ed era considerata una normale consuetudine. I bambini sacrificati avevano tra i 5 e i 15 anni d’età.
Anche fra gli indigeni jonici era diffusa la credenza che senza i sacrifici umani il loro dio più importante, che si chiamava Pil, non avrebbe distribuito ricchezza e benessere. Molti indigeni accettarono che 21 bambini su 100 potessero essere scelti fra quelli da candidare sui Sentieri della morte. Ne furono prescelti anche alcuni appena nati. E i sacerdoti del dio Pil li lasciarono piangere nel cammino che li portava all'immolazione. Nonostante la disperazione dei bambini, buona parte degli indigeni continuavano la loro vita normale, senza alcun turbamento. Senza neppure scendere in strada e chiedere cosa stesse succedendo.
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Un giorno un Grande Sacerdote di nome Lealaccio disse che non si poteva andare più avanti così. E propose che tutti i sacrifici umani non autorizzati venissero severamente puniti. I sacerdoti - anche quelli del dio delle stelle - furono concordi che non vi dovessero essere più sacrifici umani abusivi. La comunità, nella quale serpeggiavano dubbi e casi di coscienza, si sentì unità e sollevata. Venne innalzato un coro salvifico a cui parteciparono tutti o quasi tutti. Chi non cantò in coro venne emarginato dalla comunità indigena e perseguitato dai sacerdoti perché posseduto dal demonio.
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