Gaia - La seconda via. Antifascismo e Nonviolenza
RECENSIONE - Sul numero 420 Novembre 2017 di A RIVISTA ANARCHICA
RIVISTA ANARCHICA - Recensione di Daniele Biacchessi al Libro "Antifascismo e nonviolenza"
Alfonso Navarra - Laura Tussi
Prefazione di Adelmo Cervi
Contributi di Fabrizio Cracolici e Alessandro Marescotti
Mimesis Edizioni (2017, 7 euro)
"La seconda via"
Recensione di Daniele Biacchessi al Libro "ANTIFASCISMO E NONVIOLENZA"
Il libro di Alfonso Navarra e Laura Tussi rilancia il binomio antifascismo e nonviolenza, un filone al centro del dibattito politico e culturale del Novecento in varie parti dell'Europa.
In Italia il personaggio chiave di questo pensiero è certamente Aldo Capitini, fondatore con Guido Calogero del liberalsocialismo, perseguitato dal regime fascista, arrestato e incarcerato nel 1942 e 1943, a Firenze e Perugia.
"Parlare della Resistenza italiana - scrive Capitini nell'inedito "La Resistenza italiana" del 1955 - non sarebbe completo né esatto, se non si estendesse il termine a comprendere non soltanto la Resistenza armata dall'8 settembre '43 al 25 aprile '45, ma anche la resistenza politica, morale, ideologica, che fu dal 3 gennaio 1925".
Sempre nel 1955, nello scritto autobiografico "Sull'antifascismo dal '31 al '43", Aldo Capitini rafforza ulteriormente il progetto di una Resistenza non violenta.
"Il periodo della Resistenza armata - osserva Capitini - non esaurisce la Resistenza, in quanto essa è stata qualche cosa di più complesso di un'azione armata, anche qualche cosa di più durevole della fine pura e semplice di quel regime".
E in un altro scritto del 1967, "Aspetti dell'opposizione etico-culturale al fascismo", Capitini osserva che "l'opposizione non è che la lunga premessa morale, culturale e politica di quella che poi è stata detta «Resistenza» e che ne è l'esecuzione, per così dire, armata".
In sostanza, Capitini non rinuncia alla lotta contro il fascismo, non si sottrae allo scontro, anche durissimo, ma sceglie una seconda via: l'antifascismo della nonviolenza.
Si tratta di un pensiero scomodo nell'Italia dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, un periodo in cui le posizioni in campo sono due: la brutalità del regime fascista e la contrapposizione dell'opposizione armata.
"Non volevo né criticare ciò che altri avevano fatto con tanto coraggio ed eroismo, né perdere quella doverosa affermazione che mi toccava, di un metodo diverso, del sogno che gli italiani si liberassero da sé dal fascismo con un'eroica non collaborazione e disobbedienza civile".
In "Note di antifascismo nazionale e perugino", Capitini cita il metodo gandiano della non violenza.
"I miei amici sanno che il mio pensiero e il mio sogno era che in Italia sorgesse una non collaborazione generale, coraggiosa, tenace, secondo il metodo di Gandhi, negando ogni appoggio al fascismo e ogni mezzo, ma senza torcere un capello a nessuno; e in poche settimane il regime avrebbe finito di funzionare, e non sarebbero venuti gli immensi disastri di poi".
Quella di Capitini non è una teoria isolata, bensì un sogno interrotto, una utopia non realizzata, una buona pratica mal interpretata.
In molti l'hanno fatta propria prima, durante, dopo il fascismo: Padre Ernesto Balducci, Don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Riccardo Tenerini, Alex Langer, fino a Stéphane Hessel, a cui si ispira il lavoro di Navarra e Tussi.
"La nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere".
L'indicazione di Hessel resta attuale, ancora oggi, negli anni in cui il fascismo sembra imperversare lungo le vie d'Europa.
Sociale.network