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Commento di alcuni brani tratti dal racconto di Italo Calvino del 1958

"La nuvola di smog"

Una impietosa descrizione della polvere, frutto di una città industriale dominata da una fabbrica di ghisa. Il protagonista è un giornalista che arriva in città e che non riesce ad adattarsi alla polverosità della sua stanza, presa in affitto, e del suo ufficio.
20 maggio 2021

La nuvola di smog, racconto di Italo Calvino

Il racconto di Italo Calvino ha una data importante: il 1958. E' l'inizio del boom industriale. Pochi scrittori fanno caso all'inquinamento che questo boom comporta. Calvino è forse il primo che vi dedica uno spazio letterario nel lungo racconto "La nuvola di smog".

Calvino immagina una situazione reale e descrive una città del nord cosparsa di polvere finissima, che entra ovunque: nei libri, nei cassetti, in tutte le fessure. Si poggia sulle scrivanie e sui fogli d'ufficio.

Solo in seguito si comprenderà l'origine di tutta questa polvere finissima: una fabbrica di ghisa. Nel frattempo il protagonista ingaggia una lotta contro la polvere e sente il continuo bisogno di lavarsi le mani.

Leggete qui questi passaggi del racconto, particolarmente eloquenti.

Avevo solo tre camicie e dovevo darle a lavare continuamente perché – non so se fosse la vita ancora non ben assestata che facevo, l’ufficio da mettere in ordine – dopo mezza giornata erano già sporche. Così mi toccava sovente d’andare in ufficio con le orme del gatto sul colletto.

Alle volte trovavo le orme anche sul guanciale. Doveva esser rimasto chiuso dopo aver seguito la signorina Margariti che la sera veniva «a far la rovescina» al mio letto.

Non c’era da meravigliarsi che il gatto fosse così sporco: bastava posare una mano sulla ringhiera del ballatoio per ritirarla striata di nero. Ogni volta che rincasavo, a manovrare con le chiavi attorno a quattro serrature o lucchetti, e poi a ficcare le dita tra i listelli della persiana per aprire e richiudere la portafinestra, mi sporcavo le mani in modo che entrando dovevo tenerle sollevate per non lasciare impronte e andare subito al lavabo.

Con le mani lavate e asciugate mi sentivo subito meglio, come se ne avessi riacquistato l’uso, e mi mettevo a toccare e a spostare quei pochi oggetti che c’erano intorno. La signorina Margariti, devo dire, teneva la camera abbastanza pulita; spolverare, spolverava tutti i giorni; però alle volte, a mettere le mani incerti punti dove lei non arrivava (era di statura molto bassa, e corta di braccia) le ritraevo tutte vellutate di polvere e dovevo tornare subito a lavarmele.

Il problema più grave erano i libri: li avevo messi in ordine su quell’étagère ed erano essi soltanto a darmi l’impressione che quella fosse la mia casa; l’ufficio mi lasciava del tempo libero e volentieri avrei passato qualche ora in camera a leggere. Però i libri si sa quanta polvere assorbano: ne sceglievo uno allo scaffale, ma prima d’aprirlo dovevo strofinarlo con un cencio tutt’intorno, sul taglio, e poi sbatterlo per bene: ne usciva un polverone. Allora mi rilavavo le mani e poi mi buttavo sul letto a leggere. Ma sfogliando il libro, è inutile,mi sentivo sui polpastrelli quel velo che diventava sempre più soffice e spesso e mi guastava il piacere della lettura. M’alzavo, tornavo al lavabo, mi davo ancora una sciacquata alle mani, ma adesso mi sentivo impolverato anche sulla camicia, sui vestiti. Avrei voluto rimettermi a leggere ma ora avevo le mani pulite e mi dispiaceva sporcarmele di nuovo. Così decidevo d’uscire.

Naturalmente,tutte le operazioni dell’uscita: la persiana, la ringhiera, le serrature, mi riducevano le mani peggio di prima, ma ora dovevo tenermele così fino a che non arrivavo all’ufficio. In ufficio, appena arrivato, correvo alla toilette a lavarmele; l’asciugamani dell’ufficio però era tutto nero d’impronte; facevo per asciugarmi e già mi risporcavo.

I primi giorni di lavoro all’Ente li impiegai a mettere in ordine la mia scrivania. Il tavolo che m’era stato assegnato era infatti carico di roba: fogli, corrispondenza,cartelle, vecchi giornali; insomma, era stato fin allora una specie di tavolo di sgombero su cui venivano posate le cose che non avevano un posto preciso. Il mio primo impulso era stato quello di far piazza pulita: ma poi avevo visto che c’era del materiale necessario per il giornale e altre cose che dovevano avere un certo interesse e che mi ripromisi d’esaminare con più calma. Insomma finii per non togliere niente dal tavolo e invece aggiunsi molta roba, però non in disordine, anzi cercavo di tener tutto ordinato. Si capisce che le carte che c’erano prima erano molto polverose e comunicavano la loro polverosità anche alle carte nuove. Io poi, molto geloso del mio ordine, avevo dato disposizione alle donne della pulizia che non toccassero nulla, e questo faceva sì che un po’ di polvere si depositasse da un giorno all’altro sulle carte, specie sul materiale di cancelleria, carta da lettere, buste intestate eccetera, che nel giro di pochi giorni prendevano un aspetto vecchio e sporco e dava noia a toccarle.

I cassetti,anche lì, la stessa storia! C’erano dentro stratificate cartacce polverose di decenni prima, che testimoniavano la lunga carriera di quella scrivania attraverso diversi uffici pubblici e privati. Qualsiasi cosa facessi su quel tavolo, dopo pochi minuti sentivo il bisogno d’andarmi a lavare le mani.

In un punto del racconto, Italo Calvino apre uno squarcio visivo e narrativo sulla fonte primaria della nuvola di smog: la fabbrica di ghisa diretta dall'ingegner Cordà, che è anche direttore della rivista "La Purificazione". Ecco di seguito la narrazione, particolarmente acuta e che fa di Calvino uno scrittore capace di anticipare i temi attuali.

Nella sera nebbiosa emergevano poche ombre; in primo piano spiccava la sagoma d’un elevatore a catena che portava su grandi secchi – credo – di polvere di ghisa. Si vedeva la fila delle tazze di ferro salire con continui scatti e un lieve ondeggiare che pareva scomponesse un poco la sagoma del mucchio di minerale e mi pareva che un velo fitto se ne levasse in aria e venisse a posarsi anche sulla vetrata dello studio dell’ingegnere.

In quel momento egli diede ordine d’accendere la luce; d’improvviso contro il buio di fuori la vetrata apparve ricoperta d’un minuto smeriglio, certo fatto di polvere di ghisa, luccicante come il pulviscolo d’una galassia. Il disegno delle ombre là fuori si scompose; più nette risultarono in fondo le sagome delle ciminiere, incappucciate ciascuna da uno sbuffo rosso, e sopra queste fiamme per contrasto s’accentuava l’ala nera come d’inchiostro che invadeva tutto il cielo e vi si scorgevano salire e vorticare punti incandescenti.

Note: Per il racconto completo cliccare su http://mediasostenibili.altervista.org/la-nuvola-di-smog-novella-completa/

Una bacheca didattica digitale su Italo Calvino https://wke.lt/w/s/78ok4y

Una unità di apprendimento basata su "La nuvola di smog" https://wakelet.com/wake/UQyMnEiSLJ6Wpf3405gwI

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