Nelle onde della storia
«I momenti mi sfuggono di mano», afferma il narratore e protagonista all'inizio del romanzo di Abdulrazak Gurnah Sulla riva del mare. «Come li riporto alla mente, sento gli echi di quanto sto soffocando.» E, tuttavia, si ostina, è possibile raccontare qualcosa, «portare una testimonianza dei piccoli drammi a cui ho assistito e in cui ho avuto un ruolo.»
È in questi «piccoli drammi» che Abdulrazak Gurnah tratta alcune grandi questioni del nostro tempo: l'ombra lunga del colonialismo, l'appartenenza nazionale e culturale in un mondo globalizzato, la fuga, l'espulsione, la perdita della terra natale. Il protagonista del romanzo da Zanzibar è arrivato in Gran Bretagna alla ricerca di asilo, in età già avanzata, benché «questa storia dell'asilo» sia una faccenda da uomini giovani, come gli rimprovera sulle prime il funzionario della dogana. È assolutamente distante dalla nostra concezione del profugo: su di lui non incombono violenza né tortura, il periodo di prigionia è ormai alle spalle, non desidera arricchirsi, soltanto un piccolo appartamento in riva al mare e fare una passeggiata ogni mattina. Non è una vittima innocente, un eroe anticolonialista, ha subito delle ingiustizie, ma a sua volta ne ha commesse contro altri, è stato uno sfruttatore e profittatore dell'epoca coloniale britannica che, nei rivolgimenti dell'indipendenza, è caduto in disgrazia presso i nuovi governanti.
Come lui, molti dei personaggi profondamente umani di Abdulrazak Gurnah sono alla mercé delle onde della storia, fortunato è chi riesce a tenere la testa fuori dall'acqua. I personaggi di Gurnah si collocano tra culture, religioni, sistemi, continenti e lingue. La storia di migrazione accomuna Gurnah a molti dei suoi personaggi - negli anni 60 ottenne una borsa di studio in Gran Bretagna, vi restò e fino a poco tempo fa ha insegnato Letteratura inglese all'Università di Kent.
Qui ha condotto ricerche su altri frontalieri della letteratura anglofona: Wole Soyinka, V. S. Naipaul, Zoë Wicomb; su Salman Rushdie ha pubblicato un libro. Con quest'ultimo condivide lo sguardo critico sulla relazione tra storie e narrazione, sebbene stilisticamente non possano essere più diversi. Oltre alla sua esperienza di migrazione, c'è anche il mondo che descrive, in cui i confini tra culture si annullano.
I romanzi di Gurnah tornano continuamente alla storia coloniale e postcoloniale della Tanzania e, in particolare, dell'isola di Zanzibar, dov'è nato. Già molto tempo prima dell'arrivo delle potenze coloniali europee vi sorgeva una zona di contatto culturale; le reti commerciali attraverso l'oceano Indiano collegavano i popoli africani dell'entroterra con i mercati asiatici; vi prendevano dimora commercianti arabi, indiani ed ebrei; Zanzibar divenne un centro commerciale cosmopolita, la cui pluralità culturale non combaciava con la miope visione del mondo delle potenze coloniali e, anche per il nazionalismo anticolonialista nella Tanzania di recente formazione, rappresentò un fattore di disturbo.
La violenza resta ai margini
Rispetto agli altri scrittori africani che a più riprese vengono dati tra i candidati al premio Nobel - si pensi al keniano Ngũgĩ wa’ Thiong'o -, di primo acchito, quella di Gurnah pare la scelta più innocua, forse anche la meno convenzionale. Le trame di Gurnah, seppur di ampio respiro storico, restano vincolate alle convenzioni del romanzo realista, la sua prosa è sobria, chiara e introspettiva. Lo scrittore evita la polemica, non intende fare il moralista, né scioccare con dettagli espliciti. La violenza che consolidò il dominio europeo in Africa, l'abuso di potere nell'autarchia postcoloniale restano ai margini dei suoi testi, più che vedersi si intuiscono. Lo sguardo di Gurnah sul colonialismo, sulla mutevole storia della Tanzania e sulla Gran Bretagna postcoloniale non è accusatorio, bensì riflessivo, uno sguardo anzitutto rivolto all'interno, che osserva meticolosamente in che modo gli enormi stravolgimenti del XX secolo lacerano e deformano l'essere umano.
È proprio questo sguardo nel dettaglio che consente a Gurnah di analizzare ancor più precisamente il dominio, la subalternità e l'opportunismo, come accade col protagonista del suo romanzo Paradiso: dopo essere stato, da bambino, venduto dai genitori come domestico a un negriero arabo, il padrone infine lo caccia ed egli, prontamente, rincorre le truppe coloniali tedesche appena entrate in azione. Ha imparato a temere la libertà: cosa potrebbe esserci di più ovvio che servire i nuovi signori dell'Africa orientale?
I romanzi di Abdulrazak Gurnah mettono in rilievo i complessi rapporti tra le culture e i centri di potere; la polifonia di voci di Zanzibar non è mai elevata a un'utopia multiculturale. L'opera di Gurnah si sottrae a quella polarità in cui la contrapposizione tra occupatori colonialisti e colonizzati diviene l'unica importante differenziazione e le contraddizioni del mondo coloniale e postcoloniale spariscono sotto il tappeto. È proprio questo a rendere l'analisi di Gurnah sul potere coloniale così «intransigente» e tuttavia, al contempo, «compassionevole», come gli ha certificato la giuria per il Nobel. Che, in Germania, l'opera di Gurnah abbia finora ricevuto una considerazione relativamente scarsa e in larga misura non sia ancora stata tradotta dall'inglese, è tanto più deplorevole se si considera il ruolo preminente che l'impero coloniale tedesco svolge in molti dei suoi testi, da ultimo nel suo romanzo pubblicato nel 2020 Afterlives.
Per il dibattito sul colonialismo tedesco, che negli ultimi tempi si è imposto con più forza all'attenzione dell'opinione pubblica, il premio Nobel ad Abdulrazak Gurnah arriva al momento giusto. Dai suoi testi può trarre un'analisi letteraria e, proprio perciò, incisiva del dominio coloniale.
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