Alla fine lo hanno fatto: malgrado il Parlamento di ...
Alla fine lo hanno fatto: malgrado il Parlamento di Strasburgo avesse espresso per ben due volte parere contrario, il Consiglio dei ministri Ue ha approvato (il 7 marzo) la contestatissima direttiva per i brevetti sul software. La decisione arriva dopo due anni di dure polemiche fra chi sostiene che un mancato allineamento del sistema brevettuale europeo al nuovo contesto tecnologico significherebbe regalare un formidabile vantaggio competitivo alle imprese americane e chi, al contrario, afferma che adottare i brevetti «all'americana» vuol dire consegnare il mercato nelle mani delle grandi imprese made in Usa (le sole in grado di tutelare legalmente portfolio di brevetti), tagliando le gambe a migliaia di piccole e medie imprese europee. Anche volendo mettere fra parentesi la questione «ideologica» sollevata, fra gli altri, dal senatore verde Fiorello Cortiana (la brevettabilità del software configura una sorta di «privatizzazione degli alfabeti informatici», come se un musicista volesse brevettare le note), resta la sostanziale ambiguità della direttiva che non chiarisce se i nuovi brevetti dovranno tutelare solo i programmi configurabili come vere e proprie «invenzioni» (per esempio, quelli che svolgono funzioni analoghe a quelle svolte in precedenza da macchine o dispositivi elettronici) o potranno essere applicati anche ai programmi «puri» e alle «idee» (i business methods patents , che hanno permesso ad Amazon di brevettare il metodo d’acquisto «one click»).
Nel secondo caso, come ha ammesso il ministro Stanca, la direttiva implicherebbe gravi distorsioni nella concorrenza. Ma allora perché l’Italia, invece di votare contro (come hanno fatto Spagna, Danimarca, Polonia e Portogallo), si è astenuta, in attesa di improbabili miglioramenti del provvedimento da parte di un Parlamento europeo il cui parere viene ignorato?
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