Condividere la conoscenza

9 giugno 2005
Gilberto Gil

Vorrei ora considerare alcuni elementi filosofici che sottostanno ad alcune delle cose che sono state dette fino ad ora. Nel corso dell’ultimo Forum Sociale Mondiale che si è tenuto nel gennaio di quest’anno, abbiamo organizzato un gruppo di lavoro col Free Software Project Brasile insieme a Manuel Castells, Lawrence Lessig, John Perry Barlow ed io durante il quale abbiamo disccusso le conseguenze sociali della cultura digitale. Uno degli aspetti più emozionanti del Forum Sociale Mondiale è stata la vastità dell’agenda proposta perché essa è stata in grado di comprendere dalle organizzazioni marxiste più ortodosse, le proposte che contegono idee per la rivoluzione digitale nonché il ruolo della stessa per un mondo migliore. Abbiamo quindi ascoltato moltissimi punti di vista e in tutti essi ho riconosciuto un impluso di fondo, confesso tuttavia che la mia agenda politica, il mio territorio, il mio movimento, tutto quello che io considero contemporaneo e che secondo me è davvero una sfida è contenuto nella prospettiva delle nuove opportunità date dalla cultura digitale. Tra l’anti e il pro, tra la lamentela e l’azione, la mia scelta è del pro e dell’azione. Questa è la mia scelta personale sulla quale non mi tiro indietro e senza dubbio io rimango nel tentativo positivo di comprendere le cose nella loro complessità, di essere in grado di creare delle strategie di trasformazione che si concentrino sul qui e ora. La cultura digitale è un movimento che è sorto dalle contro culture degli anni ’60, un movimento che oggi combatte per divulgare l’etica degli hacker. Hacker che non devono essere confusi con i cracker. Gli hacker condividono le informazioni e le conoscenze e lavorano a favore di un processo basato sulla collaborazione con la costruzione di un nuovo concetto di cittadinanza. Ed è così che è stato costituito Internet ed è così che è stato costituito il software libero. Gli hacker creano, innovano, ricercano e destinano le conoscenze attraverso un atteggiamento radicalmente nuovo ed altruistico in cui la forza di propulsione non è il denaro. Ciò che cercano gli hackers è il “commons”. Ecco perché io, Gilberto Gil, cittadino brasiliano, cittadino del mondo, ministro della cultura del governo brasiliano e musicista, lavoro presso il ministero e nel mio campo e in tutte le dimensioni della mia esistenza ispirato dall’etica degli hacker, concentrandomi sulle questioni del mondo di oggi, con i suoi paradossi, le sue contraddizioni, le sue virtuù e le sue opportunità. Io sono un sostenitore entusiasta del software libero e dell’uso esteso di internet come di democratizzazione dell’accesso all’informazione attraverso un processo interattivo di scambio e condivisione che io ritengo sia il più intenso, il più radicale, il più innovativo nell’ambito della manifestazione della libertà del pensiero e dell’espressione della creazione. A prescindere da quello che possono pensare le corporation e quello che possono sentire nel momento in cui fanno soldi o risparmiano soldi attraverso GNU/Linux, attraverso le reti informatiche con l’hardware, le fibre e la rivoluzione digitale, una cosa è certa: la battaglia per il free software, per l’internet libero, l’accesso libero, le connessioni libere, va bene al di là dei loro interessi. La cultura digitale è una delle battaglie politiche di oggi più importante e forse anche più interessante e gli oratori di questa mattina hanno parlato a lungo della dimensione politica della cultura digitale. E’ una battaglia da combattere nel campo della tecnologia, dell’economia, delal vita sociale e culturale. Il mio è un caso che si mette in relazione con un’altra battaglia essenziale dei nostri tempi: quella della diversità culturale che attraverso i nuovi mezzi digitali, attraverso internet trova un habitat che permette di tutelarsi e svilupparsi, essenso così in grado di invertire la minaccia del consumo di cultura globalizzata e pastorizzata. Lo scenario odierno della cultura digitale può significare un vero cambiamento per quanto riguarda le forme di produzione e distribuzione della soggettività umana che è in grado così di trasformare il concetto stesso di civilità e di sviluppo utilizzato fino ad oggi. La domanda che ci poniamo qui è: può esserci un impatto più profondo e più libertario di questo? Ciò che è veramente affascinante del movimento della cultura digitale è che essa trae le sue origini dalla società stessa, quindi non dal governo, dalle aziende, dai partiti politici, dalle associazioni o da altre forme di rappresentazione sociale tradizionale. Tutto ciò luogo in un processo decentralizzato e molto ampio, è il risultato di un lavoro collettivo ed individuale di persone che hanno interessi diversi, visioni diverse e origini culturali diverse. Persone che hanno deciso di collaborare insieme, quasi sempre gratuitamente per dare un nuovo significato alla parola lavoro. L’obiettivo è quello di permettere a sempre più persone al mondo di diventare le guide del proprio destino, quindi di realizzare nella vita sociale, nella produzione e quindi nella creazione. Questa nuova cultura propone dei cambiamenti strutturali non solo per quanto riguarda i contenuti ma anche per quanto riguarda le forme e anche per quanto riguarda il processo di riflessione di ciò che viene detto e il modo in cui lo diciamo, di ciò che si propone e il modo in cui lo si propone, di come ci mettiamo in collegamento e ci relazioniamo gli uni con gli altri. La cultura digitale cambia radicalmente le questioni del lavoro e anche il modo in cui pensiamo, il modo in cui creiamo, in cui amiamo, in cui condividiamo, nel modo in cui governiamo. Molti, infatti, questa mattina hanno parlato della necessità di modificare il quadro legislativo in base alle nuove sfide dettate da questo tema. In Brasile abbiamo già accumulato una vasta esperienza nel tema del free software, dell’inclusione digitale e della creazione di territori autonomi per la riflessione, per la produzione e la creazione. Ora questa vasta mobilitazione di intelligenze e sensibilità sta penetrando anche nello stesso governo. E’ un’esperienza veramente affascinante, non solo il governo federale ma alcuni governi locali stanno rendendo la cultura digitale una politica strategica e parlo di free software, di collegamenti gratuiti e di servizi informatici gratuiti. Hanno capito che la cultura digitale saà essenziale per ottenere l’autonomia nel ventunesimo secolo e parlo di autonomia a tutti i livelli, per i governi, per gli individui, per le organizzazioni, per le comunità, per i governi nazionali e locali e anche per le aziende. Ecco perché il ministero della cultura del governo Lula ritiene che il Brasile deve prepararsi concretamente a diventare il campus della cultura digitale nel mondo. Noi lavoriamo a favore di un movimento nazionale e internazionale il cui obiettivo è aumentare l’uso e la produzione di free software, di hardware ad un costo minore, cyberterritori indipendenti, reti, collegamenti pubblici a banda larga e wi-fi. Il pieno uso della distribuzione digitale dei contenuti multimediali ha risvegliato in qualche modo una questione molto importante, quasi esplosiva: quella della proprietà intellettuale e dei diritti d’autore. La dichiarazione universali dei diritti umani adottata dalle Nazioni Unite stabilisce nell’art. 27 che “ognuno ha il diritto di accedere alla conoscenza universale attraverso la cultura, l’arte e la scienza. Ogni autore ha il diritto di trarre il beneficio morale e materiale dalla propria proprietà intellettuale, artistica e scientifica”. Il contenuto di questi due paragrafi è contenuto a sua volta in quasi tutte le costituzioni degli stati occidentali. La contraddizione esistente in questi due paragrafi è stata resa più visibile dalla nuova distribuzioen digitale delal proprietà intellettuale. E’ innegabile che la distribuzione digitale sia un mezzo eccezionale per democratizzare l’accesso. Basta un click e un documento multimediale digitalizzato, sia scritto, registrato o filmato può essere inviato a tutti gli indirizzi di posta elettronica che vogliamo in maniera istantanea ed ad un costo quasi nullo. Oggi giorno la distribuzione meccania è all’apparenza del tutto medioevale, non solo un mezzo antiquato ma anche molto costoso. La trasformazione priam della musica in un prodotto industriale, quindi con i CD, il suo immagazzinaggio ed il suo trasporto di migliaia e migliaia di versioni di questi CD affinché possano essere distribuiti nei negozi di dischi di tutto il mondo, per via aerea o su gomma, negozi che poi li offriranno al pubblico, appare davvero una cosa ridicola al giorno d’oggi. Uno degli aspetti della distribuzione digitale della creatività intellettuale e che essa è in grado di distribuire tutto quello che è o che può essere prodotto. Internet diventa quindi un magazzino magico che avrà sempre uno spazio per imagazzinare qualche cosa e quindi sono passati i giorni in cui i prodotti andavano fuori stampa e non erano più disponibili sul catalogo. Nell’era digitale l’accesso democratico e pieno alle conoscenze è finalmente una vera possibilità. La diversità culturale, una specie in via d’estinzione nel ventesimo secolo, potrà non solo sopravvivere ma verrà addirittura stimolata. Ogni produzione culturale locale sia in parole, immagini o suoni può essere resa disponibile nel cyberspazio in pochi click e quindi per tutti i cybercittadini in qualunque posto al mondo. Ci domandiamo: non è questo quello per cui tutti i governi al mondo hanno lottato? Tuttavia oggi la distribuzione digitale della proprietà intellettuale è praticamente impossibile perché in questo modo si violerebbe la legge. Le leggi di tutti quei paesi liberi che impediscono ciò che dovrebbero incoraggiare: l’accesso democratico alle conoscenze. L’unico modo per contemplare questa situazione paradossale con onestà e nel pieno rispetto è quello di riconoscere che le leggi e i regolamenti esistenti non sono più adeguati e di comprendere che essi non erano stati fatti per l’era digitale. Si richiede quindi la revisione dei concetti, delle leggi e dei regolamenti sulla proprietà intellettuale. Una questione scottante per tutto il mondo. Le ragioni che stanno alla base della disputa sono molto facili da comprendere. Le aziende vogliono mantenere i processi antiquati di distribuzione meccanica. Questo perché il loro modello di business si basa su concetti di distribuzione meccanica. Non capiscono o non vogliono capire che il loro modello è già sorpassato. A loro non piacciono le nuove opportunità digitali perché questo nuovo modello non permette loro di fare i grandi profitti a cui sono abituati. In realtà la cultura digitale elimina il bisogno di avere un mediatore. Ai fini di affrontare le nuove opportunità date dal digitale, considerate dalle industri una minaccia, le stesse industrie cercano di creare degli apparecchi digitali limitativi che sono, tuttavia, reazionari, molto costosi e per niente efficaci. Queto perché ci sono migliaia di teenagers che non vedono l’ora di entrare e capire questi meccanismi per poterli poi superare. Questo è uno dei passatempi preferiti dai giovani di oggi. Nella storia vediamo che questo atteggiamento reazionario è una strada che è stata intrapresa da molti. Tuttavia le opportunità date dal digitale stanno crescendo sempre di più al cuore della società e quindi risponde alle necessità sempre più prementi della società stessa. Ne consegue che sono questioni inesorabili. Prima o poi ogni singolo governo dovrà affrontare la questione della cyberconsapevolezza dei propri cittadini. Per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale, abbiamo dato il nostro appoggio atttivo alla creazione dei creative commons nel Brasile. Abbiamo dato il lancio ufficiale di questa iniziativa al forum internazionale del free software a Porto Alegre nel giugno del 2004. Il creative commons è un modello semplice per dare in licenza i diritti d’autore e quindi un modo per rendere più flessibile il vecchio ed inadeguato copyright. Le creative commons hanno appreso a pieno le nuove basi dell’era digitale in cui ci approntiamo ad entrare.
Nel ministero della cultura stiamo lavorando su due obiettivi principali. In primo luogo portare le questioni della cultura digitale all’attenzione pubblica con la società e il governo sia a livello nazionale che internazionale. Questo perché il cyberspazio è una questione internazionale e proprio perché lì le frontiere nazionali non hanno più senso. Ritengo che portare queste questioni all’attenzione del pubblico sia molto importante, che sia una funzione determinante del nostro ministero. Uno degli aspetti più importanti della rivoluzione digitale è la convergenza delle tecnologie. Un fenomeno che fa in modo che un cellulare sia in realtà uno strumento multimediale interattivo completo. Diventa quindi un apparecchio miracoloso che combina in un unico bene di consumo ciò che una volta erano diversi beni. L’sms di oggi è quello che una volta era un telegramma. Vi rircordate cos’era un telegramma? D’altra parte anche la televisione era una cosa che si aveva solo a casa nel proprio soggiorno. Ciò che è una cosa molto semplice per l’utilizzatore del cellulare, è una cosa molto complicata a livello governativo quando si tratta di fare le leggi. La questione di fondo è che la realtà digitale si evolve molto più velocemente dei regolamenti. Internet esiste, così come è oggi, perché i governi e i mercati non hanno colto la sua esistenza in tempo e lo stesso è successo con il free software. Questo fenomeno di convergenza porta ad una nuova situazione a livello delle agenzie internazionali delle Nazioni Unite e all’interno di conferenze tematiche come Organizzazione Mondiale per il Lavoro, l’Organizzazione Mondiale per la Salute, l’UNDP o al WSIS. Improvvisamente tutte queste agenzie sono coinvolte in una cosa che precedentemente era vista come affare di qualcun altro, come se non le riguardasse. E non è una cosa semplice. Oggi vi è convergenza in quasi tutte le agende politiche a livello nazionale e internazionale.
E poi c’è un secondo aspetto molto importante del nostro lavoro che è mettere in pratica la cultura digitale. Questo viene fatto attraverso il programma che si chiama “Punti di cultura” che io ritengo sia uno dei programmi più profondi e più estensivi fatti nell’area della cultura e della cittadinanza nel ministero della cultura. Il programma “Punti di cultura” inizia con l’incoraggiamento del ministero nei confronti delle organizzazioni non governative di tutto il paese che si adoperano in azioni sociali e culturali a livello locale affinché si chiedano dei fondi governativi. In queto modo loro hanno l’opportunità di ricevere circa 1.500 euro al mese per due anni e mezzo. Allo stesso tempo a loro viene dato un collegamento a banda larga e un kit multimediale. A queste ONG non diciamo cosa fare. Il ruolo del ministero della cultura è quello di dare il fondo e di rafforzare le capacità di progetti e strutture già esistenti. Offrendo loro strumenti che siano in grado di allargare gli orizzonti della produzione culturale attraverso azioni basate sulla comunità. L’attuazione del programma era volto ad attuare un processo dinamico e continuo molto simile a quello che ha luogo all’interno di un arganismo vivente con un collegamento ad elementi già esistenti. Qundi anziché imporre azioni e comportamenti locali, il programma è volto alla stimolazione della creatività realizzando i desideri e creando lo scenario per incantare in qualche modo le persone. Se vogliamo incantare le persone dobbiamo entrare in relazione con loro dal punto di vista intellettuale ed emotivo. Creando quindi uno scenario magico che possa stimolarli a creare e partecipare. Tuttavia le persone sanno o conoscono ciò che vogliono. Tuttavia essi vogliono anche ciò che ancora non conoscono. La conoscenza significa acquisire famigliarità, acquisire gusti. Sviluppare l’abilità di interpretare segni e codici. Il motto di questo progetto potrebbe essere “la cultura è ciò che facciamo qui”, man mano che i punti vengono riconosciuti come creatori attivi, essi stessi sono in grado di riconoscere gli altri e rafforzare lo scambio reciproco. Ora chiederò a Claudio Prado che è il nostro coordinatore per le politiche digitali e che gestisce il dipeartimento per la cultura digitale presso il ministero, di spiegare il ruolo del kit multimediale utilizzato nei punti per la cultura.

Note: Intervento tenuto a Venezia il 9 giugno 2005. Trascrizione adattata

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