Il summit sulla società dell'informazione a Tunisi Un'oscena pagliacciata

29 novembre 2005
Pepsy

Anche nell'era dell'informazione il mondo continua ad essere diviso in classi: da una parte i paesi ricchi dove i consumatori cambiano un computer all'anno e sono sommersi dai flussi di comunicazione e dall'altra quelli poveri dove gli unici computer a disposizione sono quelli che riempiono le discariche con i loro materiali inquinanti. Da qualche tempo i governi dei paesi "avanzati" hanno preso a chiamare questo stato di cose "divario digitale" (digital divide) e hanno organizzato riunioni periodiche per discutere di questo problema e del modo per risolverlo.

La prima fase del "Summit mondiale sulla Società dell'informazione" (WSIS) si è tenuta esattamente due anni fa a Ginevra (vedi UN n.42, 2003) e, dal 16 al 18 novembre, si svolta a Tunisi la seconda sessione di questo consesso organizzato dalla "International Telecommunication Union" (ITU), una agenzia che fa capo all'ONU.
Quasi diciottomila partecipanti di centosettantaquattro stati accreditati, e cinquanta capi di stato, si sono divisi per tre giorni fra commissioni, gruppi di lavoro e sessioni plenarie. Ma anche fra pranzi all'ambasciata, hotel di lusso e qualche brivido provocato dalle imponenti misure di sicurezza messe in piedi dal regime tunisino. Come già prevedibile fin da quando fu scelto il paese africano come sede del summit, nonostante tutte le belle parole sulla libertà di informazione e sui diritti civili, il governo tunisino ha continuato anche durante questi tre giorni a comportarsi come in tutti gli altri. Ha vietato che partecipassero all'incontro associazioni o persone scomode, ha messo agenti in borghese alle costole dei delegati, in tv ha censurato il discorso critico del presidente svizzero, ha continuato a non dare risposte allo sciopero della fame che un gruppo di dissidenti portava avanti da più di un mese.

La fiera delle banalità

La sessione di Ginevra si era conclusa con l'approvazione di una "Dichiarazione di principi" e di un "Piano di azione" e lo scopo di questa seconda riunione era quello di avviare questo "piano" attraverso l'attivazione di soluzioni ed accordi. Come accade sempre in questi casi, i giochi erano già fatti prima dei discorsi conclusivi, durante incontri "tecnici" molto meno pubblicizzati e il palcoscenico di Tunisi è servito solo da sfondo davanti al quale presentare i risultati. Infatti, già alla fine della prima giornata di lavori era possibile leggere le versioni quasi definitive dei due documenti finali.

Nella nuova "dichiarazione di principio", riproposizione leggermente rivista del documento approvato due anni fa in Svizzera, si riaffermano con una discreta faccia tosta, visto il paese ospitante e quelli ospitati, i fondamentali diritti delle persone anche nel campo dell'informazione. Come in precedenza, si chiamano a questo importante compito i governi, le imprese, la società civile e le organizzazioni internazionali e si individua nel "divario digitale" l'ostacolo più grande sulla luminosa strada dell'avvenire. Addirittura si chiede una "attenzione particolare" ai bisogni "dei gruppi marginalizzati e vulnerabili della società" tra i quali "i migranti, i rifugiati, i disoccupati" e, come se non bastasse, anche "le minoranze, i nomadi, i vecchi ed i disabili". Non mancano naturalmente gli accenni politicamente corretti alla questione del "gender", a quelle dei "paesi in via di sviluppo" e dei bambini. Non hanno davvero dimenticato nessuno.

Il documento sugli impegni presi è di natura più tecnica. Per quanto riguarda gli investimenti, vengono individuate alcune aree nelle quali dovrebbe essere prioritario sviluppare programmi che aumentino il numero delle persone che hanno accesso alla società dell'informazione. I finanziamenti dovrebbero arrivare, per la maggior parte, dalle imprese multinazionali che - grazie al libero mercato - potranno investire i loro lauti guadagni nel settore delle comunicazioni a vantaggio di chi ancora non è partecipe del villaggio globale. Per tale motivo i governi sono invitati a non ostacolare, con lacci e laccioli, le imprese commerciali private. Viene infine riconfermato il "Digital Solidarity Fund" (DSF) creato a Ginevra che raccoglie contributi volontari destinati ai progetti di "solidarietà", un fondo che nessun governo ha deciso ufficialmente di finanziare.

Il controllo di Internet

La parte del documento che ha trovato più spazio sui media è quella dedicata al cosiddetto "Internet governance", sul quale era impegnato uno specifico gruppo di lavoro. Sebbene le reti di comunicazione siano capillarmente diffuse (almeno nel nord del mondo) c'è un solo organismo che attualmente detiene il potere di creazione dei "nomi a dominio", vale a dire i suffissi tipo .com, .org, .it che costituiscono parte integrante di qualsiasi indirizzo internet. Naturalmente si tratta di una struttura statunitense (ICANN) che risponde solo al Ministero del Commercio Usa. Da qualche tempo, vale a dire da quando in molti hanno fiutato gli affari che si possono fare tramite Internet, tale supremazia è stata messa in discussione ed è stata avanzata anche la proposta che il controllo passi ad una nuova agenzia dell'ONU. Ovviamente gli Usa hanno risposto facendo il gesto dell'ombrello. Risultato? È stato inventato un "Internet Governance Forum", vale a dire un luogo virtuale nel quale si discuterà della (remota) possibilità di strappare il "governo" di Internet ai suoi creatori ma anche di tante altre cose: dalla riservatezza alla sicurezza informatica, dalla posta indesiderata ai diritti dei consumatori.

Ai pomposi documenti ufficiali si sono aggiunti, nei tre giorni del consesso, altri avvenimenti: la presentazione del prototipo del computer "a manovella" per i poveri, la creazione di una task force internazionale per l'informatica applicata all'amministrazione della cosa pubblica, la firma di un accordo tra la nazione navajo e l'ITU, ed altro ancora.

L'elencazione delle banalità uscite dal WSIS di Tunisi potrebbe continuare ancora, ma pensiamo che quanto scritto basti a riconfermare la scontata previsione sui risultati di una inutile pagliacciata internazionale. Come dire, "tanto rumore per nulla".

Ancora una volta sono rimaste sullo sfondo alcune delle questioni più scottanti relative al tema dei "diritti digitali", come quella del copyright, delle norme che vengono approvate dagli stati per controllare l'uso di Internet (come, in Italia, il Decreto Pisanu) o dello strapotere delle multinazionali che gestiscono la produzione dei programmi e dei computer.

I buoni ed i cattivi

Tra i maggiori sostenitori di questo summit, molti progressisti nostrani che hanno diviso equamente il loro tempo tra gli impegni ufficiali e la partecipazione alle iniziative di protesta. Nonostante l'accoltellamento di un giornalista di Libération, l'intervento della polizia che ha impedito il "summit dei cittadini", le reiterate proteste di Amnesty International e di Reporter senza frontiere, l'esclusione dal summit di associazioni per i diritti civili, i riformisti italiani hanno tenuto duro e non hanno abbandonato il summit.

E intanto le autorità tunisine hanno bloccato, fin dal 14 novembre, il sito web del "summit dei cittadini sulla società dell'informazione", una censura che si aggiungeva a quella contro altri siti da sempre vietati. Tutto questo la dice lunga sulla distanza fra le inutili chiacchiere a proposito della libertà di espressione e la realtà della repressione che i delegati hanno avuto davanti al proprio naso per tre giorni.

Sempre più spesso, l'organizzazione di un "contro vertice" in occasione di quello ufficiale diventa solo l'occasione per alcuni politicanti di continuare a mantenere un piede in due scarpe e, in definitiva, uno strumento per ammorbidire le proteste che dovrebbero e potrebbero essere più radicali nei confronti di una istituzione, come l'ONU, ampiamente complice dello sfruttamento e della repressione. Alcune ONG sono arrivate al punto di chiedere una commissione di inchiesta dell'ONU (sic!) per indagare sugli episodi repressivi avvenuti durante i tre giorni del vertice.

Il prossimo anno, salvo sorprese, il circo internazionale si sposta ad Atene.

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