Italia, traffico internet sotto sequestro
Roma - I Monopoli dello Stato lo avevano detto ed ora, grazie all'intervento normativo della Finanziaria, è stato fatto: il nostro paese è il primo nell'intero occidente democratico ad aver istituzionalizzato il web hijacking, odiosa pratica di sequestro dei siti web fin qui appannaggio di truffatori, cracker e phisher di varia natura.
Basta un attimo per averne conferma: è sufficiente recarsi sul sito http://www.williamhill.co.uk/. Si scopre così che il dominio intestato ad uno dei più antichi bookmaker inglesi, William Hill, società rispettata nel Regno Unito e conosciuta in tutto il Mondo, non è più a disposizione dell'azienda ma è sotto il giogo delle autorità italiane: gli utenti italiani infatti non possono più accedervi. E lo stesso accade con altri 516 siti. Chi ancora riuscisse ad accedervi non si preoccupi: presto il suo provider aggiornerà la rete. Come? C'è persino una pagina dedicata del MIX che lo spiega, agli italiani e ai cop cinesi che fossero digiuni delle ultime tecniche di filtering.
Mi si dirà che strumenti per arrivare comunque su quel sito ce ne sono tanti. Ed è vero, chiunque bazzichi darknet e dintorni conosce più di un tool utile ad aggirare un simile strumento di censura. Ma va da sé che non intendo utilizzare qualcosa in più del mio browser per accedere a quel sito, intendo invece rivendicare il diritto di tutti gli italiani di recarsi in rete a proprio piacimento su qualsiasi spazio web.
Non c'è altro modo per dirlo: l'Italia, obbligando provider e gestori dei backbone di connessione ad agire in questo modo, ha intrapreso una via perniciosa, quella sulla quale fino ad oggi si erano avventurati soltanto regimi illiberali. Ogni riferimento alla Cina, all'Arabia Saudita, al Vietnam è oggi non solo legittimo: è doveroso.
La questione è evidentissima: qui si vuole da un lato punire un'azienda europea che non intende soggiacere agli obsoleti monopoli nazionali, dall'altro frantumare la libertà degli utenti italiani, non più in grado nemmeno di leggere quello che è pubblicato su quel sito, di studiare le politiche adottate da William Hill e dai suoi omologhi, di capire come funzionano le scommesse web. Viene loro inibita la possibilità di formarsi un'idea propria su quel sito.
Il testo con cui l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato ha rimpiazzato la home page di William Hill trasuda ignoranza delle cose della rete: si sostiene che il sito è oscurato perché l'azienda non ha licenza per operare in Italia. Si ammette, cioè, che la censura all'accesso di qualsiasi informazione pubblicata su quel sito, dalle FAQ alla policy sulla privacy, è stata inibita. Non solo il gioco, infatti, ma anche tutto il resto, dall'aspetto grafico agli indirizzi email di William Hill. Ciò significa che è di fatto vietata anche la sola navigazione web.
Non mi si fraintenda: credo sia doveroso per un paese che rispetti la legalità, concetto peraltro demodé in Italia, darsi da fare per impedire che questo meraviglioso medium che è Internet venga usato con finalità illegali. Ben vengano quindi tutti gli strumenti utili a reprimere comportamenti illeciti. Ma c'è un limite che non è stato rispettato, quello del diritto all'accesso all'informazione. Se quanto è stato fatto non verrà ritirato, i responsabili avranno dato vita ad un precedente che non sappiamo - non lo sanno loro e non lo sappiamo noi - dove potrà portare.
Mi dicono che i bookmaker inglesi stiano ricorrendo alle istituzioni europee perché l'Italia venga condannata per il suo clamoroso gesto. Certo, spero che l'Unione Europea si dimostri per una volta all'altezza, ma mi riempie di tristezza sapere che per cancellare un'odiosa censura italiota, superficiale e rozza, ridicola persino sul piano tecnologico oltreché claudicante su quello giuridico, ci sia bisogno di attendere l'intervento interessato di un nugolo di società di scommesse d'Oltremanica.
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