La minaccia dei brevetti sul software
23 settembre 2003
Fiorello Cortiana (senatore Verdi-Ulivo)
Fonte: Il Manifesto - 23 Settembre 2003
Oggi il Parlamento europeo sarà chiamato a valutare la
proposta sulla brevettabilità delle innovazioni software, la cosiddetta direttiva
McCarthy. E domani il dibattito si concluderà con la votazione della direttiva,
più o meno modificata. Insieme a molti colleghi del senato della camera appartenenti
ad entrambi gli schieramenti politici italiani - compresi esponenti di Alleanza
Nazionale, Forza Italia e il presidente Francesco Cossiga - sono tra i firmatari
di un appello rivolto ai colleghi del Parlamento europeo affinché prendano
in considerazione le ragioni della nostra contrarietà all'approvazione della
delibera così come è stata presentata. Siamo infatti molto preoccupati
dall'effetto che l'eventuale approvazione di tale direttiva avrebbe su uno dei
comparti più avanzati e strategici del nostro sistema economico, quale l'informatica.
Questa proposta di direttiva, con la scusa di armonizzare il sistema brevettuale
europeo in materia di software, di fatto sovverte i dettami della Convenzione
europea sui brevetti, introducendo la brevettabilità del software e dei metodi
commerciali.
Come già dimostrato negli Stati uniti, il sistema brevettuale, che è stato esteso al software da 20 anni, ha rallentato l'innovazione invece che incoraggiarla, spostando i fondi destinati originariamente alla ricerca e lo sviluppo verso i dipartimenti legali delle grosse multinazionali che si occupano a tempo pieno di costose cause brevettuali. Un tale sistema imporrebbe degli oneri eccessivi per le piccole e medie imprese europee, vero motore dello sviluppo software continentale, e le renderebbe succubi di quelle poche grosse aziende, in maggioranza extraeuropee, che posseggono grandi portafogli di brevetti software.
Riteniamo pericolosa tale proposta, perché introduce ostacoli insormontabili alla creazione di software, sia libero che proprietario, sia se ceduto gratuitamente che dietro pagamento. Ogni autore di software, libero o meno, è esposto al rischio di dover elaborare soluzioni tecniche che non siano coperte da alcun brevetto software, rendendo estremamente complesso e oneroso il processo di ideazione del software se non del tutto impossibile; spesso infatti la brevettazione del software va a coprire il processo nella sua interezza piuttosto che la soluzione, rendendo impossibile operare nel settore coperto dal brevetto senza violarlo.
La genericità con cui le idee vengono descritte e brevettate richiede pochi sforzi, se si hanno a disposizione abbastanza fondi, per brevettare i metodi più banali. In tal modo l'istituto della brevettazione, nato per stimolare l'innovazione in settori in cui essa costa molto, diventa nel settore del software una lotteria che va a beneficio di poche aziende. Inoltre la banalità dei brevetti concessi impone notevoli sforzi per elaborare qualcosa di alternativo e, soprattutto, richiede la completa conoscenza di quanto già brevettato, ovvero decine di migliaia di brevetti europei già esistenti e depositati, pur se attualmente non legali. Inoltre non è detto che ciò che viene brevettato piuttosto che una invenzione risulti essere una scoperta, ancorché tardiva. In questo caso la revoca del brevetto è possibile solo dopo una «procedura di opposizione» che dimostri e documenti che ciò che è stato brevettato era in realtà una «tecnica nota». In assenza di ricorso il proprietario del brevetto si godrà la rendita conseguente, seppur parassitaria e, piuttosto che in ricerca, investirà in contenziosi legali. Ciò che sta mettendo in luce la direttiva in discussione non è solo la logica iperprotezionista e limitatrice della creatività - quindi dell'innovazione -: il problema sono i criteri di concessione dei brevetti e, ancor più, l'autorità che li concede. L'Ufficio brevetti europeo è una realtà a sé stante che, al di là dell'aggettivo, non ha a che fare con l'articolazione istituzionale dell'Unione europea e, indipendente mente dalle direttive, ha già concessosvariati brevetti software.
Dalla scelta dei parlamentari di Strasburgo i dipendono l'affermazione di una sovranità politica ed istituzionale dell'Unione, il destino dell'economia europea e la sua capacità di competere sul terreno planetario. Per questo chiediamo loro di non approvare la direttiva in oggetto. Stiamo parlando di una questione che riguarda la natura costitutiva delle relazioni socialinell'era digitale e nella società della comunicazione. Si discute molto in queste settimane di costituzione europea. Ebbene: la libera disponibilità degli alfabeti algoritmici è una questione costitutiva di una democrazia.
Come già dimostrato negli Stati uniti, il sistema brevettuale, che è stato esteso al software da 20 anni, ha rallentato l'innovazione invece che incoraggiarla, spostando i fondi destinati originariamente alla ricerca e lo sviluppo verso i dipartimenti legali delle grosse multinazionali che si occupano a tempo pieno di costose cause brevettuali. Un tale sistema imporrebbe degli oneri eccessivi per le piccole e medie imprese europee, vero motore dello sviluppo software continentale, e le renderebbe succubi di quelle poche grosse aziende, in maggioranza extraeuropee, che posseggono grandi portafogli di brevetti software.
Riteniamo pericolosa tale proposta, perché introduce ostacoli insormontabili alla creazione di software, sia libero che proprietario, sia se ceduto gratuitamente che dietro pagamento. Ogni autore di software, libero o meno, è esposto al rischio di dover elaborare soluzioni tecniche che non siano coperte da alcun brevetto software, rendendo estremamente complesso e oneroso il processo di ideazione del software se non del tutto impossibile; spesso infatti la brevettazione del software va a coprire il processo nella sua interezza piuttosto che la soluzione, rendendo impossibile operare nel settore coperto dal brevetto senza violarlo.
La genericità con cui le idee vengono descritte e brevettate richiede pochi sforzi, se si hanno a disposizione abbastanza fondi, per brevettare i metodi più banali. In tal modo l'istituto della brevettazione, nato per stimolare l'innovazione in settori in cui essa costa molto, diventa nel settore del software una lotteria che va a beneficio di poche aziende. Inoltre la banalità dei brevetti concessi impone notevoli sforzi per elaborare qualcosa di alternativo e, soprattutto, richiede la completa conoscenza di quanto già brevettato, ovvero decine di migliaia di brevetti europei già esistenti e depositati, pur se attualmente non legali. Inoltre non è detto che ciò che viene brevettato piuttosto che una invenzione risulti essere una scoperta, ancorché tardiva. In questo caso la revoca del brevetto è possibile solo dopo una «procedura di opposizione» che dimostri e documenti che ciò che è stato brevettato era in realtà una «tecnica nota». In assenza di ricorso il proprietario del brevetto si godrà la rendita conseguente, seppur parassitaria e, piuttosto che in ricerca, investirà in contenziosi legali. Ciò che sta mettendo in luce la direttiva in discussione non è solo la logica iperprotezionista e limitatrice della creatività - quindi dell'innovazione -: il problema sono i criteri di concessione dei brevetti e, ancor più, l'autorità che li concede. L'Ufficio brevetti europeo è una realtà a sé stante che, al di là dell'aggettivo, non ha a che fare con l'articolazione istituzionale dell'Unione europea e, indipendente mente dalle direttive, ha già concessosvariati brevetti software.
Dalla scelta dei parlamentari di Strasburgo i dipendono l'affermazione di una sovranità politica ed istituzionale dell'Unione, il destino dell'economia europea e la sua capacità di competere sul terreno planetario. Per questo chiediamo loro di non approvare la direttiva in oggetto. Stiamo parlando di una questione che riguarda la natura costitutiva delle relazioni socialinell'era digitale e nella società della comunicazione. Si discute molto in queste settimane di costituzione europea. Ebbene: la libera disponibilità degli alfabeti algoritmici è una questione costitutiva di una democrazia.
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