E il software libero smentì Adam Smith
«Non dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere ci possiamo aspettare il nostro pasto, ma dalla cura che essi pongono nei propri interessi». Questa celebre frase di Adam Smith è stata assunta a paradigma della «cooperazione fra egoisti» che, secondo le teorie liberali, solo il mercato capitalistico può garantire. Secondo gli economisti «classici», le utopie cooperative fondate su motivazioni «altruistiche», in quanto contrarie alla natura umana, sarebbero destinate a generare esperimenti sociali autoritari. Eppure l' economia del software libero (migliaia di programmatori e utenti che condividono conoscenze, prodotti e servizi collaborando «gratuitamente» allo sviluppo di un progetto comune) sembra funzionare perfettamente. Un libro di Angelo Raffaele Meo e Mariella Berra (Libertà di software, hardware e conoscenza, Bollati Boringhieri, pp. 346, 17) cerca di spiegare perché: il fatto è che le cosiddette «economie del dono» (tra le quali il moderno esperimento del software libero può essere classificato, assieme alle antiche forme di reciprocità tribale analizzate da Marcel Mauss) non sono affatto fondate sulla «gratuità» o sull' altruismo. Il dono è infatti un atto che - generando un forte legame simbolico - obbliga il beneficiario alla reciprocità. In questo modo nasce una catena virtuosa di scambi che consente una circolazione allargata di beni e servizi. Naturalmente le motivazioni dei programmatori di software non sono le stesse degli antichi indigeni delle isole Trobiand: mentre l' «interesse a donare» di questi ultimi va inquadrato nella prospettiva della costituzione di legami fra tribù, quello dei primi origina sia dalla ricerca di gratificazioni individuali (come il riconoscimento della comunità dei pari), sia dall' acquisizione di opportunità di carriera (chi dona il proprio lavoro attraverso Internet si «firma», certificando pubblicamente la propria abilità professionale, laddove il programmatore che lavora per grandi softwarehouse è un numero senza volto). Ma il risultato è lo stesso: da una motivazione «antieconomica» (da un atto produttivo non finalizzato alla realizzazione di profitti immediati) deriva un risultato economico (il soddisfacimento dei propri interessi).
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