I pirati della proprietà intellettuale
L'antica tentazione di «firmare» ogni idea o scoperta alle prese con i vuoti legislativi in materia di Rete
28 settembre 2003
Emanuela Di Pasqua
Fonte: Il Manifesto - 28 Settembre 2003
Tutti provano a mettere il proprio cappello alle idee, ai
medicinali, ai marchi. A tutto. Questa settimana ricorreva il centenario del brevetto
sul cono gelato, attribuito a tale Italo Monday, di chiare origini italiane. Correva
dunque l'anno 1903 quando Monday brevettò la celebre golosità.
Nel 2003 il terreno di conflitto si sposta e dal leggendario cono si arriva al software, all'hardware, all'entertainment, ai modelli di business e all'editoria per finire con i farmaci, settore divenuto tra i più contesi e cruciali, grazie al fatto che in questo mondo si muovono, più che altrove, capitali ingenti.
A questo proposito uno dei protagonisti più assidui delle lotte sui brevetti rimane il Viagra, farmaco simbolo del mito dell'eterna giovinezza, tra i più imitati ed emulati. La bagarre più recente vede la Pfizer, madre della pillola azzurra, contro le multinazionali farmaceutiche Bayer e Glaxo, colpevoli, secondo la produttrice del Viagra, di aver copiato nel loro recente prodotto Levitra il principio attivo della pastiglia che corregge le disfunzioni erettili. Stando infatti all'ultima causa vinta dalla multinazionale, il brevetto targato Pfizer è particolarmente esteso, tale da poter impedire a qualsiasi società di introdurre farmaci che agiscono su un enzima chiamato PDE-5, responsabile dell'erezione maschile.
L'affaire Pfizer vs. Bayer e Glaxo trova dei precedenti, tra gli altri, nella vicenda di Eli-Lilly, azienda farmaceutica madre di Cialis (pillola contro l'impotenza che agisce sullo stesso enzima della sua «collega» più celebre), e nella guerra (risalente a qualche tempo fa) del colosso Pfizer contro un farmacista italiano accusato di aver preparato alcune pasticche a base di sildenafil (principio attivo del Viagra). Ancora una volta il farmaco azzurro si aggiudica il titolo di più conteso e più scopiazzato.
Ma nella lotta per i diritti di proprietà intellettuale non entrano in gioco solo i colossi.
Emblematica la storia di un calligrafo cinese, Guang Dongsheng, incaricato dalla società Dow Jones & Co (niente di meno) di disegnare un logo che riprendesse anche il carattere cinese «dao». Dongsheng manda l'idea a Dow Jones. Dopodiché non sa più nulla.
Quando l'artista viene a sapere che la società, proprietaria anche del quotidiano The Wall Street Journal, sta facendo uso a sua insaputa della sua creazione come logo, in materiali pubblicitari e nel sito web, chiede 49 mila dollari a titolo di risarcimento, accusando il colosso americano di aver infranto la legge sul copyright. La Dow Jones & Co ora dovrà dare i 49 mila dollari a Guang, oltre a dover formulare le proprie scuse per iscritto.
L'ultima in fatto di intellectual property riguarda una vicenda di domini Internet che sottolinea ancora una volta il vuoto legislativo esistente nell'ampia materia. Verisign, colosso americano monopolista dei domini, s'impossessa di tutti gli indirizzi sbagliati del Web, cercando di fatto di utilizzare a proprio vantaggio gli errori di battitura. La più alta autorità internazionale dell'Internet, l'Icann, interviene sventolando un cartellino giallo mentre piove una denuncia da 100 milioni di dollari dai concorrenti nel settore delle ricerche in Rete. Ma il caso Verisign ha dei precedenti (tra i quali Microsoft) e per il momento l'azienda americana resta ferma nella sua strategia, appropriandosi di fatto di tutti i nomi di dominio ancora liberi e difendendo il proprio servizio Site Finder, giudicato «d'aiuto alla navigazione». L'utente che sbaglia verrà quindi immediatamente dirottato sull'homepage del motore di ricerca di Verisign.
Per quest'ultima i vantaggi sono incalcolabili: aumento galoppante delle pagine visitate e degli spazi pubblicitari venduti. Tutti approderanno su Verisign, molti senza essere assolutamente intenzionati. In attesa di regole più chiare.
Nel 2003 il terreno di conflitto si sposta e dal leggendario cono si arriva al software, all'hardware, all'entertainment, ai modelli di business e all'editoria per finire con i farmaci, settore divenuto tra i più contesi e cruciali, grazie al fatto che in questo mondo si muovono, più che altrove, capitali ingenti.
A questo proposito uno dei protagonisti più assidui delle lotte sui brevetti rimane il Viagra, farmaco simbolo del mito dell'eterna giovinezza, tra i più imitati ed emulati. La bagarre più recente vede la Pfizer, madre della pillola azzurra, contro le multinazionali farmaceutiche Bayer e Glaxo, colpevoli, secondo la produttrice del Viagra, di aver copiato nel loro recente prodotto Levitra il principio attivo della pastiglia che corregge le disfunzioni erettili. Stando infatti all'ultima causa vinta dalla multinazionale, il brevetto targato Pfizer è particolarmente esteso, tale da poter impedire a qualsiasi società di introdurre farmaci che agiscono su un enzima chiamato PDE-5, responsabile dell'erezione maschile.
L'affaire Pfizer vs. Bayer e Glaxo trova dei precedenti, tra gli altri, nella vicenda di Eli-Lilly, azienda farmaceutica madre di Cialis (pillola contro l'impotenza che agisce sullo stesso enzima della sua «collega» più celebre), e nella guerra (risalente a qualche tempo fa) del colosso Pfizer contro un farmacista italiano accusato di aver preparato alcune pasticche a base di sildenafil (principio attivo del Viagra). Ancora una volta il farmaco azzurro si aggiudica il titolo di più conteso e più scopiazzato.
Ma nella lotta per i diritti di proprietà intellettuale non entrano in gioco solo i colossi.
Emblematica la storia di un calligrafo cinese, Guang Dongsheng, incaricato dalla società Dow Jones & Co (niente di meno) di disegnare un logo che riprendesse anche il carattere cinese «dao». Dongsheng manda l'idea a Dow Jones. Dopodiché non sa più nulla.
Quando l'artista viene a sapere che la società, proprietaria anche del quotidiano The Wall Street Journal, sta facendo uso a sua insaputa della sua creazione come logo, in materiali pubblicitari e nel sito web, chiede 49 mila dollari a titolo di risarcimento, accusando il colosso americano di aver infranto la legge sul copyright. La Dow Jones & Co ora dovrà dare i 49 mila dollari a Guang, oltre a dover formulare le proprie scuse per iscritto.
L'ultima in fatto di intellectual property riguarda una vicenda di domini Internet che sottolinea ancora una volta il vuoto legislativo esistente nell'ampia materia. Verisign, colosso americano monopolista dei domini, s'impossessa di tutti gli indirizzi sbagliati del Web, cercando di fatto di utilizzare a proprio vantaggio gli errori di battitura. La più alta autorità internazionale dell'Internet, l'Icann, interviene sventolando un cartellino giallo mentre piove una denuncia da 100 milioni di dollari dai concorrenti nel settore delle ricerche in Rete. Ma il caso Verisign ha dei precedenti (tra i quali Microsoft) e per il momento l'azienda americana resta ferma nella sua strategia, appropriandosi di fatto di tutti i nomi di dominio ancora liberi e difendendo il proprio servizio Site Finder, giudicato «d'aiuto alla navigazione». L'utente che sbaglia verrà quindi immediatamente dirottato sull'homepage del motore di ricerca di Verisign.
Per quest'ultima i vantaggi sono incalcolabili: aumento galoppante delle pagine visitate e degli spazi pubblicitari venduti. Tutti approderanno su Verisign, molti senza essere assolutamente intenzionati. In attesa di regole più chiare.
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