La chiacchiera rivoluzionaria
Moltissimi conoscono e usano Google, il più diffuso, potente e simpatico motore di ricerca. Anzi per una larga percentuale di lavoratori della conoscenza, noi giornalisti per esempio, è uno strumento di lavoro del quale sembra impossibile fare a meno: se ci mancasse verremmo presi da un attacco d'ansia.
Molti parlano e citano, anche a sproposito, MySpace, la più grande comunità online, giovanile e non solo, che ha raggiunto i 70 milioni di utenti registrati e che è ormai divenuto un fenomeno mondiale, per la musica e non solo. Tanto importante che nel luglio scorso è stato acquistato per 580 milioni di dollari dal re dei media, Rupert Murdoch. Anche Wikipedia, l'enciclopedia online costruita da migliaia di volontari, è decisamente un fenomeno consolidato. Alcuni frequentano Digg, Flikr, Del.icio.us, You Tube, Flock, stelle splendenti di un firmamento che convenzionalmente viene chiamato il Web 2.0, ovvero la seconda ondata del world wide web. Pochi infine si sono già cimentati con altri servizi e siti web i cui nomi sembrano personaggi della trilogia di Guerre Stellari: Roxio, Gahbunga, Renkoo, Squidoo, Ning, Writelyeccetera (la battuta linguistica è del settimanale Business Week). Ce ne sono ormai centinaia di «cose» digitali del genere.
Cosa sta succedendo dunque? Succede che alcuni recenti progressi delle tecnologie digitali di rete si sono incontrati con quello che è il bisogno-piacere più caratteristico della specie umana, l'intrattenere relazioni, conversazioni e chiacchiere con i propri simili. In libertà, ovvero senza vincoli pratici né procedure frenanti. Sembra infine realizzarsi il sogno in base al quale, agli inizia degli anni '90, Tim Berners-Lee progettò il suo web: «Avevo (e ho) un sogno, che il web potesse essere meno un canale televisivo e più un mare interattivo di conoscenza condivisa. Immagino un caldo e amichevole ambiente fatto delle cose che noi e i nostri amici abbiamo visto, sentito, creduto o immaginato. Mi piacerebbe che rendesse più vicini i nostri amici e colleghi sì che lavorando insieme su questa conoscenza, possiamo ricavare una migliore comprensione».
Allora era appunto un sogno, oggi ha le caratteristiche di una realtà corposa, almeno quanti sono i milioni di corpi reali (persone) che ogni secondo aggiungono materiali e conoscenze in rete. E la sensazione è che siamo solo agli inizi di un'avventura dai caratteri «distruttivi», ovvero destabilizzanti delle regole e dei modelli precedenti.
Questo significa che è facile e praticamente istantaneo aprire un proprio sito o un blog: provare con l'italiano http://blog.dada.net per credere. Ma questa «facilità di chiacchiera» si traduce anche in una minaccia per i media precedenti e in un possibile spostamento di poteri. Un osservatore attento di questi fenomeni, Beppe Severgnini del Corriere della Sera,nei giorni scorsi ha invitato ad avere più coraggio: «L'idea del pubblico passivo è vecchia: buttiamola. Non basta piangere gli utenti che ci lasciano ... cerchiamo di rimpiazzarli con dei soci (gente che vuol esserci, capire e dire la sua) ... Le grandi media companies si scervellano, ma non riescono a concepire uno scenario in cui l'utente mette nei media tanto quanto ne tira fuori». Severgnini parla dei quotidiani, ma il fenomeno va ben oltre: va nel mercato dei contenuti musicali e video, impatta sulle agende politiche; avviene un po' dappertutto fuorché nel nostro malandato paese, dove l'unica eccezione positiva è il blog di Beppe Grillo, messo lì al servizio della società per farla pesare on e off line.
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