Gilberto Gil: «Sono un hacker e solleverò il mondo»

A Roma il ministro della Cultura brasiliano incontra Bertinotti e rivendica la sua etica da “pirata”, la questione del software libero e la necessità di regolare lo sviluppo, la produzione e la diffusione degli audiovisivi
4 luglio 2006
Marco Peretti
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

«Ringraziamo due volte per la sua presenza il ministro della Cultura del Brasile, Gilberto Gil, come espressione del governo di un grande paese e come uomo di cultura che ha allietato le nostre ore». Così, il Presidente della Camera Fausto Bertinotti, ha aperto ieri i lavori del convegno organizzato dalla Camera dei deputati e dalla regione Lazio, “I Pontos de cultura brasiliani incontrano le Officine dell’arte. Politiche giovanili nella Società della Conoscenza”. E già nell’ufficialità che la sala della Lupa di Montecitorio impone, quel riferimento all’uomo di cultura non nasconde un’empatia che va al di là del protocollo, una solidarietà per la scelta di spendere la propria biografia in funzione di un comune obiettivo: colmare la distanza che fino ad oggi ha reso impermeabili le istituzioni a quanto di creativo e alternativo si sperimenta in microcosmi economici e culturali che non si adeguano ai paradigmi vigenti. L’esperienza dei “pontos de cultura” brasiliani e il progetto di “creative factory” delle Officine dell’arte che la Regione Lazio sta avviando rappresentano per Fausto Bertinotti «un rapporto reticolare tra esperienze e culture diverse che può diventare una possibilità di costruire ecosistemi in grado di alimentare un’idea diversa dell’occupazione e della produzione di beni materiali e immateriali, in grado di contrastare i rischi della povertà e i pericoli della disoccupazione, in particolare di quella giovanile». Un antidoto, inoltre, «alle tendenze della globalizzazione che producono un’omologazione delle culture. Ritrovare le radici della cultura originaria è elemento prezioso contro i rischi di incomunicabilità tra culture e civiltà diverse. Bisogna attingere alle radici della cultura e della storia dei popoli per riprogettare il futuro e ciò può avvenire solo attraverso il dialogo».
Un dialogo, un ponte che la regione Lazio intende gettare per condividere le esperienze e i progetti che recuperano le radici africane bahiane e cercano di arginare lo spaventoso numero di morti dei meninos de rua nella zona sud di San Paolo. Per una volta si è trattato di un Brasile mille miglia lontano dalla violenza, semmai è emerso quell’“essere estetico brasiliano” che il video proposto durante il convegno ha ricordato attraverso immagini e interventi che sottolineavano la capacità artistica, l’istinto musicale, la creatività di una controcultura, costringendo la memoria, vista la presenza del ministro-musicista, a tornare agli anni in cui Gilberto Gil era un “dolce barbaro” e con il movimento tropicalista minava il perbenismo della società brasiliana.

Uno scambio che le realtà della regione laziale intendono intensificare, proponendo progetti autoctoni che pretendono ridare dignità ai luoghi di provincia abbandonati, rivalutando l’identità del territorio e interagendo attraverso i laboratori delle Officine delle Arti per costruire un sapere condiviso. Il fulcro del progetto risiede in un accesso democratico alle nuove tecnologie, attraverso le quali si possa produrre una cultura multimediale sempre più espressione di un “essere al mondo” giovanile che rifiuta la passività e vuole creare il proprio futuro. La creazione, non solo artistica, può divenire appunto un antidoto alla precarietà, un laboratorio di idee ed esperienze che modifica la struttura tradizionale del lavoro e che parallelamente introduce elementi radicali circa l’acquisizione di nuovi diritti di proprietà. Un’alternativa in forma cooperativistica che cerca di dominare e di non essere dominata dalla società della conoscenza che si presenta apparentemente universale ma che continua a produrre esclusione. Il supporto logistico e finanziario dei progetti e l’accesso alle tecnologie digitali tramite kit multimediali basati su software libero e collegamenti internet è l’ausilio che renderà possibile ai giovani di essere “attivatori di produzione” sul territorio. La decentralizzazione del sapere è uno degli argomenti cari al governo Lula ed è anche per questo che i “pontos de cultura” brasiliani rappresentano in qualche modo il modello di riferimento, un’esperienza già avviata che nasce in tempi lontani, grazie al volontariato, alle associazioni giovanili, alle scuole di percussioni nelle favelas e che l’arrivo al ministero della Cultura di Gilberto Gil ha fatto diventare progetto nazionale. Il programma Cultura Viva non poteva che nascere grazie a un ministro che ha ricordato come i “pontos” rappresentino un argine alla morte della diversità culturale, la possibilità dell’indio di comunicare con un carioca di Rio de Janeiro, la marcia della moltitudine per la giustizia digitale. Un percorso che ha per obiettivo la condivisione delle conoscenze e che utilizza il mutamento strutturale tecnologico, attraverso la rete, in alternativa ai sistemi organizzativi tradizionali come partiti o sindacati.

Non è casuale che il cittadino brasiliano e cittadino del mondo Gilberto Gil anche nel palazzo di Montecitorio abbia voluto rivendicare la sua etica hacker, la questione del software libero e la questione della regolazione e dello sviluppo della produzione e della diffusione dei contenuti audiovisivi e altrettanto non casuale in questo senso, la frase “rivoluzionaria” che il ministro della cultura brasiliano ha scelto per simboleggiare questo progetto culturale: «Datemi una leva e un punto d’appoggio e solleverò il mondo».

Il convegno è proseguito con la partecipazione del Ministro per le politiche giovanili Giovanna Melandri, il Vice-Ministro degli Affari Esteri Patrizia Sentinelli, e con gli interventi più “tecnici”, tra i quali ricordiamo quello dell’assessore alla ricerca e alle nuove tecnologie del Comune di Parigi, Daniéle Auffray. Per capire il clima che si respirava nella Sala della Lupa è però sufficiente menzionare come Stefano Rodotà, che ha ricordato appartenere a un’area di pensiero moderata, abbia sentito l’esigenza a margine del suo intervento, che considerava positivamente le potenzialità della cultura come alternativa a un mondo che va in direzione del rendimento e dell’“essere economico”, di citare Fidel Castro: «El niño que no estudia no es un buen revolucionario».

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