I provider: necessario lo scorporo della rete Telecom

Togliere all'operatore la gestione diretta dell'infrastruttura. Lo chiede Assoprovider riproponendo un modello di successo, quello britannico. Una strategia, dicono i provider, che consentirebbe di scuotere il mercato TLC italiano
1 settembre 2006
Dario Bonacina

Roma - Inutile illudersi, se davvero si vuole dare una scossa alle ingessate telecomunicazioni nostrane dominate per la gran parte da un unico operatore, allora è necessario guardare a quanto è accaduto all'estero e procedere senza indugi allo scorporo della rete infrastrutturale di Telecom Italia dalla struttura societaria dell'operatore.

Questo il messaggio che i provider di Assoprovider hanno voluto far arrivare in queste ore al mondo politico italiano, riagganciandosi così ad una questione cara a moltissimi utenti e agli operatori alternativi. L'idea è che un mercato più libero, in cui chi "vende" rete a tutti non la venda anche a se stesso, possa produrre un'accelerazione dell'intero settore.

Maggiore compatezza tra gli operatori?
In un comunicato, l'Associazione critica le "contraddittorie dichiarazioni da parte di alcune grandi società di telecomunicazioni che un giorno denunciano la concorrenza sleale nel settore posta in atto dall'ex monopolista (oggi ad esempio con l'integrazione di offerte fisso mobile) ed un altro reputano lo scorporo della rete, premessa per una par condicio fra operatori nell'offerta di servizi sul fisso, non più necessaria" e ricorda al mondo politico "che solo le associazioni di categoria, impegnate nella difesa degli interessi dei nascenti imprenditori del settore, possono avere interessi coincidenti e non contrastanti con quelli dei cittadini consumatori".

Le "contraddittorie dichiarazioni" appaiono un riferimento niente affatto casuale a Vodafone, più precisamente all'amministratore delegato Pietro Guindani che, a margine del Meeting dell'Amicizia di Rimini, la scorsa settimana aveva dichiarato: "Lo scorporo della rete Telecom non è strettamente necessario a creare condizioni di concorrenza, la misura non è sufficiente a creare concorrenza. Quello che conta è il rapporto con i clienti che deve essere libero e concorrenziale: non devono subire la dominanza di alcun operatore che si chiami telecom o no". L'operatore mobile in luglio aveva infatti denunciato l'incumbent per "abuso di posizione dominante". Un'azione legale con una richiesta di danni da 525 milioni di euro.

All'auspicio di una condizione di maggiore concorrenzialità, al momento non ancora matura, si dichiara naturalmente allineata Assoprovider, che attacca anche su un altro fronte, termometro della situazione del mercato. A detta dei provider, infatti, oggi i nuovi operatori non hanno spazio: "Le misure che ostacolano l'ingresso ai new entrant sono invalicabili: il settore delle telecomunicazioni è saldamente nelle mani di un ristretto gruppo di aziende che a parole dichiarano di essere favorevoli allo sviluppo della concorrenza ma nei fatti ricercano con tutti i mezzi il mantenimento ed il controllo delle rendite generate. Ora che si comincia timidamente a parlare di scorporo della rete di Telecom Italia, unica vera soluzione ai problemi di assenza di concorrenza di settore, non vorremmo assistere passivi a manovre gattopardesche che l "economia oligarchica" progetta e propone ai politici e al Paese".

Chi promuove lo scorporo?
L'appello di Assoprovider giunge in un momento difficile per l'ipotesi scorporo a lungo accarezzata da numerosi soggetti e che Telecom Italia ha più volte bollato come inutile se non persino impraticabile. Alle voci secondo cui sulla questione stava lavorando Agcom hanno fatto seguito numerose smentite. Come quella della Cassa Depositi e Prestiti (CDP), soggetto ipotizzato dalla stampa quale affidatario della rete fissa di Telecom, come già avvenuto in altre operazioni analoghe (con Terna e Snam Rete Gas). "La CDP - ha infatti dichiarato un portavoce ad inizio agosto - non ha allo studio alcuna ipotesi di questo tipo". E il Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, evidenziando che "la rete infrastrutturale delle TLC è un asset irrinunciabile per il Paese", ha reso noto di non essere a conoscenza di "ipotesi di cessione della rete Telecom alla CDP".

Visto l'attuale "stallo", l'associazione di provider indipendenti auspica una soluzione dinamica, rivendicando il ruolo consulenziale delle associazioni di categoria: "Da anni Assoprovider si batte affinché vengano formulate misure che consentano una reale concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni. Riteniamo sia quindi doveroso che qualsiasi azione sulla rete fissa e sulle infrastruture tutte che la ospitano, universalmente riconosciute come monopoli naturali delle telecomunicazioni, debba avvenire con la consultazione preventiva delle associazioni di categoria opportune, onde evitare uno scorporo parziale o addirittura ritenere superato il problema con lo status quo".

L'esempio British Telecom
Il modello da seguire, secondo Assoprovider, resta quello di British Telecom, l'ex monopolista del Regno Unito che è stato privatizzato 22 anni fa e che l'Ofcom, l'Authority TLC britannica, è riuscito a dividere in due entità, con gestione e amministrazione ben distinte. E che, fra le ultime conseguenze ritenute positive, può vantare il raggiungimento di un buon livello di concorrenzialità, che il Garante ha riconosciuto liberando BT dall'assoggettamento al suo controllo tariffario regolatorio, concedendole la possibilità di esercitare una sorta di libero arbitrio sui prezzi applicati sui servizi residenziali. Le quote detenute da BT sul mercato Internet sono assai più contenute di quelle gestite attualmente nel nostro paese da Telecom Italia a otto anni dalla liberalizzazione del mercato TLC.

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