Professori contro Bersani
L'abusata parola innovazione compare 14 milioni di volte sul motore di ricerca Google (e 207 milioni di volte se si cerca «innovation», in inglese). Nicola Rossi, già consigliere economico del governo D'Alema, oggi deputato Ds, pensa che essa « nasca dove vuole nascere e che sia mal riposta la speranza che in questo o quell'ufficio ministeriale si possa stabilire in anticipo dove e come essa debba manifestarsi». Rossi dice di avere apprezzato assai lo spirito e l'obbiettivo di fondo del documento sull'innovazione presentato il 22 settembre dal ministro Bersani, testo convenzionalmente chiamato «Industria 2015», ma subito dopo gli elogi rituali e nel più limpido spirito del Partito comunista di una volta, scarica le sue palle incatenate: farraginosità e discrezionalità delle procedure, poco applicabile concretamente, sconfinata fiducia nell'azione dell'operatore pubblico. In definitiva «poco o per nulla capace di incidere sulla distanza fra l'industria italiana e i suoi concorrenti». Insomma, Bersani bocciato e con lui tutte le velleità di politica industriale.
Altri commentatori, specialmente allocati nel giornale della Confindustria, hanno preso di mira un bersaglio francese per colpire in Italia Prodi e il suo supposto dirigismo. Oggetto della polemica il cosiddetto piano formulato da Jean-Luis Beffa, manager della St. Gobain, con cui il governo francese intende innovare con metodologia dal basso in alto, e cioè scovando le eccellenze e facilitandone l'aggregazione.
La discussione, vecchia quanto il capitalismo, sul ruolo dello stato nell'economia è stata il sottofondo della vicenda Telecom Italia ed è il cuore del pamphlet «Goodbye Europa», scritto da . due professori universitari, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. A differenza di altri polemisti da strapazzo essi non sostengono che si debba fare come l'America, di cui ricordano limiti e difetti, ma solo che qualcosa di sano andrebbe importato utilmente perché il vecchio continente sta perdendo il treno per mancanza di concorrenza e per eccesso di protezioni. E' una tesi che ha molti sostenitori anche nel centro sinistra, ma questo volumetto, costruito a partire da alcuni saggi dei due professori, già pubblicati su riviste economiche, è a tal punto ricco di imperfezioni e informazioni sbagliate che rischia di risultare poco utile.
Qualche esempio: a pagina 117 si sostiene che l'industria europea è andata avanti con una ricerca di imitazione, inseguendo le invenzioni altrui, specie americane. E citano ad esempio i Tgv, treni a grande velocità francesi, e l'Airbus, che «utilizzano tecnologie relativamente vecchie». Chissà chi glie l'ha raccontato: certamente non quelli della Boeing che semmai sono stati costretti a inseguire l'elevata informatizzazione dell'Airbus europeo.
A pagina 108 riscrivono un po' di storia dell'informatica, sostenendo che «fu la minaccia rappresentata dal successo della Apple a convincere la multinazionale americana (Ibm) ad accelerare i tempi dell'introduzione del personal computer (..) se il governo statunitense avesse sovvenzionato la Ibm, il pc Ibm sarebbe arrivato molti anni dopo». Le cose non andarono così, come abbiamo ricordato nell'agosto scorso, festeggiano i 35 anni del personal Ibm: il colosso dell'informatica non valutava il computer Apple una cosa seria, né un concorrente, e sviluppò il suo come un oggetto laterale, affidandolo a un gruppo di ricercatori distaccato. Non era mosso dalla concorrenza ma dalla volontà di avere in casa ogni «pezzo» dell'informatica, dai chip alle stampanti. E quanto agli aiuti dello stato all'industria dei computer, se non furono mai diretti, certamente furono generosi nelle commesse e negli acquisti, tutelando e rafforzando il monopolio.
A pagina 105 si sostiene che i telefoni cellulari sono il frutto di ricerche «il cui costo è stato sostenuto in gran parte dalle spese militari (Usa; ndr)». Peccato che nella telefonia mobile gli Stati Uniti abbiano segnato un ritardo clamoroso rispetto alla vecchia Europa, la quale ha conquistato una posizione leader, di tecnologia e di mercato, soprattutto grazie alla saggia decisione di sviluppare una politica industriale comune, che generò lo standard Gsm.
Guai agli aiuti statali dicono i due autori, ma certe eccezioni gli vanno bene. E' il caso delle linee aeree low cost, Ryanair in particolare (a pagina 126). Questo vettore viene incentivato da alcuni enti locali che si caricano delle spese di marketing e le girano alle linea aree, sotto forma di sconti o versamenti diretti. In questo modo questi governi certamente allargano il fatturato del loro territorio, raccogliendo milioni di passeggeri che consumano localmente, ma si tratta, fuor di dubbio, di un finanziamento occulto e anticoncorrenziale. Statalista, diciamolo pure, nonché interventista e protettivo. Perché quello sì e la rete fissa no? E' uno di quei tipici casi in cui un governo sceglie il vincitore, «pick the winner» come certamente direbbero gli amici americani dei due professori.
(1. continua)
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