Quell'impresa collettiva

Altro che precarietà. Per la flessibilità ci vuole un welfare che coniughi la libertà di combinazione cognitiva su progetti con la dignità del lavoro
28 settembre 2006
Fiorello Cortiana
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Se nel modello di produzione materiale/industriale l'alienazione è il prodotto della riduzione a merce del lavoro umano, ma è un problema dei lavoratori, nel modello di produzione creativa/cognitiva che sta prendendo corpo l'alienazione diventa un problema per l'efficacia del modello stesso. Se oggi riconosciamo la questione della conoscenza come un diritto da difendere e da esigere, se la riconosciamo come questione costitutiva e non settoriale, se riteniamo necessaria una nuova alleanza tra la dimensione biologica e quella antropologica, tra sapere e sapienza, ciò è dovuto in particolare a quella rete inclusiva di apprendimento/produzione costituita da hacker e smanettoni e dalla loro educazione alla libertà e alla solidarietà. Qui facciamo i conti con la cultura e la pratica del dono e della condivisione, dell'uso produttivo del tempo libero, così come lo sono gli spazi ed i luoghi utilizzati per la produzione cognitiva. La cosa può suonare incredibile e paradossale: l'attività cognitiva risulta produttiva proprio perché sottratta all'organizzazione mercantile del lavoro.
Per raccapezzarci dobbiamo mutare il nostro approccio e il nostro bagaglio culturale attraverso i quali definiamo il lavoro e la produzione di valore.
Secondo Adam Smith «il lavoro è la misura reale del valore di scambio di tutte le merci».
Nella teoria del valore, quindi, il lavoro è una misura, un metro, ma già Marx, negli scritti filosofici, sosteneva l'impossibilità di misurare il lavoro, in quanto legato a una esperienza soggettiva incommensurabile. Si è così passati, per necessità, dalla misurazione del lavoro a quella del tempo di lavoro, considerandole equivalenti. Questa convenzione è strettamente legata alla modalità di produzione industriale delle merci e alla sua evoluzione come produzione industriale di massa. Dalla bottega artigianale all'officina, dalla fabbrica alla catena di montaggio: i ritmi e i tempi di lavoro erano comunque legati al tempo di produzione manifatturiera delle merci. Questo aspetto quantitativo del tempo, come misura, non consente di apprezzare la qualità del lavoro.
La natura del lavoro, la natura della produzione, sono chiamate in causa in modo non rinviabile dalla dimensione digitale, con la sua pervasività, la sua interconnessione e la sua interazione.
L'innovazione tecnologica nell'era digitale interessa tanto il prodotto quanto il processo. Tutti gli elementi di automazione e di robotizzazione richiedono un investimento particolare nelle funzioni di gestione delle procedure di comunicazione e di comando, la dimensione cognitiva del lavoro diviene così centrale nella produzione di valore. Anche nei processi di innovazione che interessano settori maturi occorre una attività di servizio relazionale nella formazione del cliente, con un suo diretto coinvolgimento nella definizione dell'innovazione che questi processi implicano. Anche qui si rileva una modalità cooperativa nella definizione della relazione domanda/offerta di innovazione.
Il lavoro cognitivo mette in discussione i parametri quantitativi quali quelli legati allo sforzo fisico e/o al tempo impiegato: entra in gioco la dimensione soggettiva e la relazione tra sapere e sapienza che in essa si è data. Se anche nella produzione dei manufatti della catena fordista il lavoro non era meramente esecutivo, ma chiamava il lavoratore a valutazioni, adattamenti, relazioni con altri, nella produzione cognitiva la discrezionalità e la soggettività diventano l'elemento caratterizzante della attività produttiva. Siamo in presenza di uno scarto individuale enorme, a fronte di prescrizioni procedurali che pur si possono definire. La conoscenza e la sua condivisione sono condizioni costitutive per la produzione di valore e richiedono modalità e a codici espressivi imprevedibili: risulta perciò necessario operare scelte tecnologiche e normative tali da non precludere futuro. Più che nel rispetto della prescrizione occorre lavorare sull'inaspettato: l'errore diventa utile, persino necessario, così come l'infrazione di procedure definite può permettere di sviluppare le soluzioni più efficaci.
E' più funzionale un quadro aperto che richieda dialogo e contaminazione in luogo dell'esclusività, condizioni per la creatività in luogo della ripetitività, modelli economici e commerciali basati sull'aumento qualitativo e quantitativo del prodotto immateriale condiviso, in luogo del suo consumo ed esaurimento. Gli esempi e le pratiche conseguenti legati alle licenze GPL e ai Creative Commons sono in atto, così come tutto il mondo costituito da interessi sociali, economici e scientifici dell'omeopatia, che non vive, appunto, di brevetti posti sui principi curativi dei propri preparati. E' così chiaro che la finalità principale del sistema industriale e di ricerca legato agli Ogm risiede nella brevettabilità delle sequenze geniche degli organismi modificati e nella tutela delle licenze ad essi collegati. Ne sanno qualcosa gli agricoltori danneggiati, via impollinazione, da inquinamento genetico delle proprie colture, che si sono trovati coinvolti in contenziosi giudiziari per uso illegittimo di organismi geneticamente modificati tutelati da brevetto.
Nel lavoro cognitivo risulta straordinariamente produttivo condividere i "trucchi del mestiere", invece di coltivarli come segreti, quindi occorrono modalità operative e di relazione capaci di valorizzare la condivisione piuttosto che la discrezione. L'accessibilità e la trasparenza relativi ai processi di sviluppo delle soluzioni diventano cruciali rispetto al non detto e alla non visibilità. II mondo non è conoscibile che in base a una certa descrizione, proprio questa diventa oggetto di competizione, di contesa, di concorrenza. Dagli agronomi agli ingegneri il controllo semiotico diventa controllo sociale su/attraverso i processi di produzione.
La relazione che, nel corso del tempo, attraverso la descrizione strutturata del lavoro, ha definito un rapporto di dominio, anche simbolico, del sapere tecnico/scientifico sulla sapienza , nel mondo digitale diviene una preclusione di possibili soluzioni a problemi e a necessità oggi imprevedibili ed inaspettati. C'è una preclusione di futuro laddove questa relazione descrittiva diviene un controllo privato ed esclusivo di standard e di protocolli del mondo digitale. Dietro alle soluzioni più efficaci tanto nell'innovazione di processo che di prodotto nella società digitale, della conoscenza e dei servizi, vi è una combinazione libera di potenzialità creative, di organizzazione del tempo e dello spazio del lavoro cognitivo. Per questo è importante anche l'ambiente fisico nel quale uno lavora, la libera organizzazione dei tempi, la possibilità di disporsi alle suggestioni multidisciplinari.
Occorrono garanzie costitutive per queste libertà, una consapevolezza e una cultura che le riconoscano come bisognie che le esigano come diritti. Altro che precarietà, per la flessibilità ci vuole un welfareche coniughi la libertà di combinazione cognitiva su progetti con la dignità del lavoro, tanto nell'accesso alla conoscenza quanto nelle garanzie previdenziali e nell'incontro tra credito e creatività, qui dove non esistono pratiche di venture capital. Nel lavoro cognitivo come è possibile pensare di ridurre le "partite Iva" a lavoro nero camuffato? La questione va ben oltre la tutela degli "atipici" messa in atto fino ad oggi dal sindacato e richiede un adeguamento profondo.
Ann Mettler è la Direttrice Esecutiva del Lisbon Council for Economic Competitiveness, il network non-profit dedicato a fare dell'Europa «la più competitiva e dinamica economia basata sulla conoscenza al mondo» entro il 2010, come vuole l'Agenda di Lisbona. Al Forum Internazionale annuale dell'Ibm, Mettler ha ricordato che il 70% dell'economia europea è oggi costituito dai servizi: proviamo a pensare quanta comunicazione, quanta conoscenza, sia in termini di relazioni sociali che di pervasività digitale, sono contenute in quel 70%. A fronte di questa percentuale occorre osservare che il sistema normativo, le procedure di rappresentanza e di negoziazione del mondo del lavoro, la definizione stessa delle politiche pubbliche, sono ancora l'espressione di un modello economico industriale manifatturiero. Non cambieranno da sole, occorre che dalle filiere della qualità alimentare, alle comunità del software libero e della condivisione della conoscenza un blocco sociale dell'innovazione qualitativa prenda coscienza di sé e agisca. E' ciò che in forme inedite e contraddittorie sta avvenendo.

Note: Una teoria che viene da lontano
Fiorello Cortiana, già senatore verde, ma tuttora animatore delle iniziative «Condividi la conoscenza» (tra poco ci sarà un terzo appuntamento), allarga il tema di cui Chips&Salsa si è occupato nelle settimane scorse. Parlavamo allora del progetto Ichino di licenziamento dei «fannulloni» e di come il problema fosse semmai interno alle pubbliche amministrazioni e alle loro organizzazioni, storicamente incapaci di valorizzare le persone e le loro conoscenze.
Cortiana in questa pagina di oggi propone alcune riflessioni teoriche sul tema del lavoro in una società che non è più governata dal paradigma industriale (lavoro massificato per consumi di massa), ma dove, più intensamente che nel passato, informazione, conoscenza e saperi (che sono tra di loro apparentate, ma anche diverse) sono fattore produttivo. Per inciso questi temi sono comparsi anche nella discussione sul socialismo del ventunesimo secolo che si è svolta sulle pagine di Repubblica, in particolare nell'intervento di Fausto Bertinotti il 13 settembre e nella replica di Eugenio Scalfari il 24 settembre. Stralci di questi due interventi sono riprodotti sul blog http://mobidig.dada.net, alla voce «lavoro», insieme all'intervento completo di Fiorello Cortiana.
Che non si tratti di fantasie estremiste e radicali lo conferma del resto un voluminoso saggio di Yochai Benkler, professore di diritto a Yale. Si intitola «The wealth of networks», esplicita citazione del «Benessere delle Nazioni» di Adam Smith (scritto nel 1776, ovvero 230 anni fa). Dunque sono oggi le reti, i networks, alla fonte dello star bene del mondo. E anche il sottotitolo lo rende esplicito: «Come la produzione sociale trasforma i mercati e la libertà». La traduzione italiana del libro di Benkler è stata prevista dall'editrice dell' Università Bocconi, la stessa che meritoriamente ha tradotto i tre tomi fondamentali del sociologo Manuel Castells, dedicati a «L'età dell'informazione». In ogni caso il libro è leggibile, in inglese, dal suo sito www.benkler.org, insieme ad altri saggi e anche questo è nello spirito pratico di quanto egli va scrivendo.

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